di Mauro Valeri
Gli insulti razzisti subiti dal romanista Juan da
parte della tifoseria laziale, non è che il trentunesimo episodio di razzismo
che si è verificato in questa stagione calcistica. Se ha fatto notizia è perché
il calciatore brasiliano ha avuto il coraggio di rispondere “alla Balotelli”:
con il dito sul naso a zittire i razzisti. La Lazio è stata multata, per
responsabilità oggettiva, con 20.000 euro, comprensivi però anche dell’ammenda
per il lancio nel recinto di gioco di due petardi. Inoltre, come sempre, il
giudice sportivo ha riconosciuto l’attenuante alla Società per aver concretamente
operato con le forze dell’ordine a fini preventivi e di vigilanza. Insomma,
nonostante le minacce dello speaker che aveva dovuto ricordare ai tifosi i
rischi di simili comportamenti, e nonostante i richiami dell’arbitro Bergonzi
ai capitani delle squadre, il totale della multa appare ben poca cosa.
Forse il giudice ha preso in considerazione un’iniziativa
promossa due giorni prima dal Campidoglio “con Roma e Lazio unite per dire ‘No
al razzismo e all’antisemitismo’”? Eppure si era trattato di un’iniziativa non
solo passata del tutto inosservata, riservata a pochi, tra i quali,
presumibilmente, personaggi che, dopo aver fatto parte di tifoserie assai poco
antirazziste, ora hanno ruoli istituzionali. Fare iniziative farsa non costa
niente, ma se diviene anche motivo per avere sconti, non dubitiamo che
l’antirazzismo di facciata avrà un sicuro futuro. Ma anche volendo essere
positivi, viene da chiedersi perché chi, della Roma e della Lazio, pur avendo
partecipato a questa “Importante iniziativa” non ha poi avuto il coraggio di
denunciare apertamente quanto avvenuto domenica. Ma si sa, l’antirazzismo da
passerella è molta in voga nella Capitale.
In realtà, Juan ha dichiarato che qualche giocatore gli ha
espresso, sul campo (cioè privatamente), la propria solidarietà: i laziali
Klose, Dias e Matuzalem (forse non a caso tutti stranieri!) e del compagno di
squadra De Rossi, che ha anche commentato che “i cori razzisti li fanno i
tifosi di mezza serie A, sarebbe da cambiare mentalità”. Nella speranza di vedere
presto De Rossi testimonial di una campagna antirazzista (ma quando l’ha fatto
Totti, la curva romanista si era apertamente dissociata), resta la sua
osservazione: il razzismo è diffuso in “mezza serie A”. Ma qualcuno della FIGC,
della Lega Calcio o il giudice sportivo li legge i giornali o va allo stadio?
Così come ben poca cosa appare la presa di posizione del
presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, Nicchi, che ancora
tergiversa sul ruolo dell’arbitro in questi frangenti. Anche se la norma prevede
la possibilità di sospendere la partita in caso di cori razzisti, il presidente
ha ricordato che farlo comporta problemi di ordine pubblico. Quindi, non è il
caso di applicarla. E i razzisti la fanno franca. Ma, come detto, non sembra un
problema interessare particolarmente le istituzioni calcistiche.
Sull’argomento non sono mancate le parole di Luis
Enrique, che si è detto convinto che la sospensione delle partite non possa
essere una soluzione al razzismo, perché non si giocherebbe mai (il che vuol dire
che anche lui è consapevole di quanto il razzismo sia diffuso anche nel calcio
italiano). Pur se sostiene la necessità di combattere il problema, poi conclude
“ma non so quale possa essere la soluzione”. Insomma, anche lui la pensa come
le istituzioni calcistiche.
A ricordarci che il razzismo è un problema ben più
preoccupante, è ancora l’Inghilterra. E questa volta per un comportamento messo
in atto dall’italiano Federico Macheda, ex Lazio e Samp, e ora al
Queens Park Rangers (ma di proprietà del Manchester United), che è stato
multato con 15.000 sterline per aver scritto su Twitter una frase omofoba. Lui
si è difeso dicendo di aver scritto gay, ma che voleva scrivere guy. Ora, dato
che sulla tastiera la a e la u sono piuttosto distanti, appare una difesa
decisamente debole. Se l’avesse fatto in Italia, probabilmente nessuno se ne
sarebbe accorto.
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