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lunedì 30 aprile 2012


La verità su BergaminiPDFStampaEmail
Scritto da Claudio Dionesalvi, tratto da "Il Manifesto"   
Giovedì 26 Aprile 2012 17:24
Non deve essere sereno in queste ore il clima negli uffici della procura di Castrovillari. Nella ridente città del Pollino calabrese, conosciuta nel mondo per il suo carnevale internazionale, da ormai tanto tempo i locali inquirenti convivono con lo spettro di un’inchiesta birichina che si riapre e richiude ad intervalli isterici, tormentando il sonno di investigatori ed “attenzionati”.
Il capriccioso fascicolo è quello relativo al delitto di un giovane giocatore ferrarese del Cosenza Calcio, Denis Donato Bergamini, avvenuto da queste parti circa 23 anni fa.

All’epoca le indagini della medesima procura non portarono a nulla. Il caso fu archiviato come suicidio. Il ragazzo si sarebbe lanciato sotto un camion in un momento di depressione. Queste le conclusioni scaturite dall’inchiesta, sulla base anche della versione fornita da Isabella, ex fidanzata di Denis, testimone dei fatti. Secondo i risultati dell’autopsia effettuata dal dottor Francesco Maria Avato, ci fu un unico punto d’impatto tra l’autotreno e il calciatore. Escluse quindi il trascinamento, parlando piuttosto di un “sormontamento” con il corpo già disteso al suolo. Nel cadavere si riscontrarono tracce di alcol etilico pari allo 0,6 e una sofferenza polmonare. Ma il giovane era astemio e non ha mai avuto problemi respiratori. Qualcuno ipotizzerà un possibile uso di narcotico a suo danno. Dal processo il camionista uscì assolto. Nel ’92 l’appello a Catanzaro, e la conferma dell’assoluzione per non aver commesso il fatto. Eppure compagni di squadra, amici e familiari hanno sempre dichiarato che Denis non aveva motivi concreti per togliersi la vita. E che nonostante vivesse un momento felice nella sua carriera, il ragazzo in quei giorni appariva turbato, come se qualcuno o qualcosa lo perseguitasse.
A Castrovillari sono stati costretti a riaprire il caso nell’estate del 2011 a seguito della presentazione di un corposo e dettagliato dossier prodotto dall’avvocato Eugenio Gallerani, legale incaricato dalla famiglia di Denis. I Bergamini non hanno mai cessato di chiedere giustizia e verità, sia in piazza sia nelle sedi giudiziarie competenti. Così dalle nuove indagini sono emersi particolari decisivi e testimonianze inchiodanti di cui all’epoca non si tenne o non si volle tenere conto. In merito alla dinamica della morte di Donato, le nuove risultanze delle analisi svolte dal RIS, nonché la perizia del professore Roberto Testi, incaricato dalla procura di Castrovillari, confermano i sospetti manifestati nel libro-denuncia “Il calciatore suicidato”, scritto dall’ex giocatore e scrittore Carlo Petrini, di recente scomparso: Bergamini era già morto quando il camion gli passò sopra! Quindi lo hanno ammazzato. Diverse le ipotesi sul movente. Scartata la possibilità di un coinvolgimento della malavita organizzata, in tempi recenti si sono accreditate la pista passionale o quella del gioco clandestino. Ma il delitto di una giovane promessa del calcio, può essere stato coperto senza la complicità di soggetti interni alle istituzioni? Si trattò d’insabbiamento o d’incapacità? A Cosenza se lo chiedono in tanti, dopo aver letto nell’ultimo weekend i titoli dell’ennesima fuga di notizie: Bergamini sarebbe stato torturato, addirittura evirato, prima di morire per dissanguamento.
La voce rimbalza ed atterrisce. In serata il procuratore di Castrovillari Franco Giacomantonio si precipita a smentire: lo schiacciamento dei testicoli sarebbe una conseguenza dell’impatto col camion. Di sicuro, al di là dello splatter mediatico, cresce la sensazione diffusa che a breve il tribunale potrebbe emettere dei provvedimenti a carico dei presunti responsabili del delitto. Non accenna a diminuire l’attenzione dei comitati spontanei e delle associazioni che da alcuni anni sostengono la battaglia per la verità sulla morte di Denis. Ieri durante una partita casalinga del Cosenza, la curva che non ha mai dimenticato il suo campione, è tornata ad esporre striscioni ed a scandire urla di rabbia: “per Bergamini, per questo lutto, pagherete caro, pagherete tutto”.

domenica 29 aprile 2012







Siamo palestre, polisportive, semplici amatori, atleti, associazioni: quello che ci unisce è la pratica dello sport come esperienza che unisce, che offre possibilità di integrazione ed affermazione di diritti, da vivere come bene comune da condividere..
In questi anni a partire dalle nostre esperienze differenti per luogo, forma e storia abbiamo visto che è possibile con lo sport diventare punto di riferimento in molti quartieri e territori, anche difficili.
La pratica sportiva è una grande occasione per dare senso e valore all’aggregazione sociale, all’integrazione di chi troppo spesso perchè straniero o diverso viene escluso.
Oggi ci sembra sia arrivato il momento per affermare insieme, in tanti e diversi, che venga riconosciuto come diritto di cittadinanza per tutti compresi i migranti la possibilità di praticare lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna pre-condizioni.
Ad ormai 20 anni dal loro apparire, i flussi migratori verso il nostro paese non possono più essere considerati un fenomeno eccezionale, oggi gli immigrati regolari soggiornanti in Italia sono quasi 5 milioni, più un numero imprecisato di clandestini. Ma ancora oggi, purtroppo, nella nostra società esistono ancora due categorie ben distinte: i cittadini e gli stranieri. I primi vivono dentro la società e godono di determinati diritti civili e sociali, gli stranieri, invece ne sono esclusi.
L’attuale legge sulla cittadinanza (Legge 91/92 e successive modifiche) è strutturata ed impostata secondo il criterio del diritto di sangue (in termini giuridici si chiama jus sanguinis), cioè è cittadino italiano chi ha sangue italiano che scorre nelle vene.
Ma questa legge non soddisfa più i bisogni di una società come quella italiana dove quasi il 10% della popolazione scolastica è composta da figli di genitori entrambi stranieri, per questo è stata lanciata da più parti la mobilitazione che vuole affermare il diritto di cittadinanza per ius solis etc …
Anche dal mondo dello sport noi vogliamo contribuire alla conquista per tutti di una cittadinanza piena e completa.
La situazione attuale vede la stessa legislazione sportiva, peraltro diversa federazione per federazione, configurata in maniera tale da contenere diverse barriere e restrizioni per chi è straniero; esistono infatti limitazioni legali e amministrative per la partecipazione dei non italiani nell’attività sportiva sia a livello professionistico che dilettantistico.
Una caso emblematico è quello del mondo del calcio dilettantistico dove norme nate per evitare la cosidetta “tratta dei giocatori” volta a speculare sulla pelle e sui sogni di giovani migranti, oggi andrebbero riviste alla luce delle modificazioni dei fenomemi migratori.
Stiamo parlando in particolare dell'art. 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della F.I.G.C. , dove si descrivono le condizioni di tesseramento, evidentemente discriminatorie, per soggetti stranieri che siano (comma 11) o non siano (comma 11 bis) precedentemente stati tesserati in paesi esteri.
Tali norme prevedono che in ogni squadra dilettantistica può essere inserito SOLO UN GIOCATORE precedentemente tesserato in campionati esteri e che chi non è stato tesserato all'estero per poter giocare deve essere residente in Italia da almeno 12 mesi e nel caso di extracomunitari deve avere il permesso di soggiorno valido fino alla fine del campionato.
Per restare sempre nel mondo del calcio un figlio di immigrati nato in Italia al diciottesimo anno d'età, mancandogli la cittadinanza, non può agevolmente continuare a giocare così come un giovane arrivato nel nostro paese attraverso il ricongiungimento famigliare si ritrova ad avere grosse difficoltà nel giocare.

Si crea così un evidente restringimento dell'accesso all'attivita soprtiva dilettatistica.
Noi crediamo fermamente nel diritto universale di accesso allo sport (per altro sancito a livello europeo dal trattato di Lisbona e a livello internazionale dalla Convenzione dei diritti del’uomo e del fanciullo) come la possibilità di accedere a pratiche indispensabili per la realizzazione della persona, basate sulla socializzazione, l'auto-affermazione, il benessere fisico e psichico, la partecipazione e la cultura.
Ciascuno di essi è un elemento indispensabile per la promozione e l’emancipazione dell’individuo all’interno dei gruppi e delle comunità entro cui si trova e tutti quanti sono dei requisiti che dovrebbero essere universalmente garantiti alla persona, indipendentemente dalla sua appartenenza o colore della pelle.
Dare cittadinanza ai migranti ed ai loro figli nello sport è per noi la scelta di riportarlo al suo  spirito originario, strappando alle  logiche del business e  dello sfruttamento economico di cui è purtroppo è ostaggio per aprire una battaglia di civiltà oramai indispensabile in questo paese.
Ci sembra importante che i regolamenti sportivi nazionali non ostacolino la partecipazione di migranti e di persone con background migratorio nello sport, soprattutto negli sport amatoriali.
Per questo chiediamo al Coni e alle Federazioni Sportive le revisioni dei regolamenti al fine di consentire il diritto al gioco a tutti, nessuno escluso!
In particolare per il calcio chiediamo che tutti i giovani stranieri siano equiparati, secondo la norma antidiscriminatoria, ai giovani calciatori italiani, e non debbano subire iter burocratici pesanti e trattamenti diversi dai loro coetanei.
Per info e contatti scrivete a:

“Gioco anch’io street football”, viva il calcio antirazzista! - BolognaPDFStampaEmail
Scritto da Hic Sunt Leones e Palestra Popolare Tpo   
Venerdì 27 Aprile 2012 13:51
Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio.
Jorge Luis Borges
Un 25 aprile meraviglioso è quello che abbiamo vissuto in piazza San Francesco, nel cuore del Pratello a Bologna, in una giornata tanto importante e oggi più che mai significativa come quella della Liberazione dal nazifascismo.
La nostra squadra di calcio, Hic Sunt Leones e la palestra popolare Tpo, aderendo alla campagna nazionale “gioco anch’io” ha pensato di caratterizzare questo 25 aprile non limitandosi esclusivamente alla pratica irrinunciabile dell’antirazzismo, ma focalizzando l’attenzione sul tema dei diritti, sulla questione dell’accesso allo sport e al calcio in particolare che oggi, nel momento in cui l’emigrazione verso il nostro paese è un fenomeno costante, resta colpevolmente indietro mostrando un sistema che è incapace di evolversi e che con le sue regole anacronistiche impedisce ai migranti senza permesso di soggiorno di praticare questo fantastico sport, violando apertamente quello che secondo noi è il più fondamentale dei diritti, quello alla felicità. Ci riferiamo principalmente alla norma palesemente discriminatoria secondo cui un figlio di migranti nato in Italia dopo esser diventato maggiorenne, essendo privo di cittadinanza o un giovane che arriva nelle nostre città per ricongiungersi alla sua famiglia, incontra enormi difficoltà, soprattutto burocratiche per continuare o iniziare l’attività agonistica.
Il nostro 25 aprile ha ripudiato con decisione tutto questo, risultando estremamente incisivo. Al torneo hanno partecipato circa 15 squadre, alcune organizzate altre composte da tante e tanti che si sono incontrati al momento. Era previsto un tabellone senza nessuna classifica, ogni partita era una nuova occasione, una nuova entusiasmante sfida. Tre squadre erano composte da migranti del centro Villa Aldini e altre due dalla Comunità minorile del carcere del Pratello che stabilmente, ormai da quasi un anno, intrattengono relazioni con l’Hsl. Numerosa è stata la partecipazione di squadre miste e la presenza di bambine e bambini, in un lungo momento di socialità e di passione all’insegna del divertimento e della spensieratezza. Ne è nata una stupenda giornata di resistenza, di socialità, di condivisione di esperienze, di mescolanza di sguardi e di vite all’insegna di quello che è realmente il calcio e lo sport, in netta opposizione alla cultura della prevaricazione dell’avversario, dell’imbroglio finalizzato alla vittoria, di tutta questa “cultura” che ha ormai privato il calcio della sua essenza popolare. Niente di meglio che una piazza così importante in una giornata tanto significativa trasformata in un campo meraviglioso e partecipato, per affermare il diritto allo sport, al divertimento, alla felicità. E siamo solo all’inizio!
HicSuntLeones football antirazzista -Bologna

Gioco Anch’io National CupPDFStampaEmail
Scritto da Ivan Grozny - @ivangrozny3   
Venerdì 27 Aprile 2012 13:08
In contemporanea in diverse città d’Italia si è disputato il Trofeo Gioco Anch’io: Ancona, Bologna, Napoli ePadova.
Sono alcune delle realtà che si sono trovate ad Ancona nel mese di gennaio di quest’anno, incontro da cui è nato l’appello Gioco anch’io , che si pone come obiettivo quello di mutare regole in netto conflitto non solo con il buon senso ma ancora di più con la società in cui viviamo. Quelle regole rigide che impediscono a centinaia di migliaia di giovani e giovanissimi di sentirsi protagonisti attraverso lo sport. La scusa è quella di impedire che si inneschino meccanismi che possono incentivare la tratta di minori, in realtà sappiamo bene che non è questo il modo di impedirlo. Non sapendo come affrontare i cambiamenti sociali che stanno avvenendo nella nostra società, il governo dello sport si sta ancora interrogando sull’opportunità di andare incontro a un mondo che muta.
Il senso dell’appello, ma anche quello delle iniziative, è lo stesso. Quello di dimostrare, attraverso la cosa più semplice, ovvero il gioco, che si può stare insieme, si possono condividere spazi ed esperienze. Ci si può misurare gli uni con gli altri. Cosa fa crescere più di questo? Cosa rende migliore una società se non la condivisone e lo scambio?
Con tale spirito si è dato vita a questo torneo. La contemporaneità in diverse città crea a maggior ragione un punto di coesione, tenendo insieme esperienze diverse ma che hanno le stesse finalità. Ridiscutere certe regole che escludono tutti quei ragazzi di cosiddetta seconda generazione, che sono nati in Italia. Ragazzi che vanno a scuola, che lavorano. Come si fa a tenerli fuori dallo sport?
E qui dovrebbe scattare la retorica sul ruolo fondamentale dello sport nella società. Dal punto di vista della salute, ad esempio, al benessere delle persone. Ma dato per assodato questo, viene ancora più spontaneo chiedersi che senso abbia tenere lontane così tante persone. I cittadini di domani.
Ad Ancona come a Bologna, ma anche a Padova e Napoli la giornata si è svolta con un numero di partecipanti al di sopra delle previsioni. Circa venti squadre per torneo. Squadre che rappresentano comunità presenti sul territorio, come può essere Afro-Napoli, un team iscritto al campionato AICS che farebbe la sua bella figura anche in un campionato FIGC. Ma lo stesso vale per molte altre squadre che hanno partecipato a queste giornate. Pensiamo ai finalisti dell’edizione padovana. La squadra dei Kick Refugees, composta da ragazzi che arrivano da Costa d’Avorio e Mali che mai avevano disputato un torneo in vita loro. E la finale si è svolta all'Appiani, lo storico stadio della città, e non un giorno qualunque ma il 25 aprile, data che accresce il senso della campagna che si sta portando avanti. Figuratevi l’emozione!
Bologna il torneo si è svolto addirittura di fronte la Basilica di San Francesco. Numerose le persone che hanno seguito queste giornate. Ad Ancona come a Napoli, un gran numero di persone alle quali si sono aggiunti molti curiosi attratti dal gioco e dall’atmosfera di festa.
Ci saranno altri appuntamenti dopo questo. E anche in altre città oltre a quelle dove si è svolta questa prima edizione. Perché sempre più persone possano dire “Gioco anch'io”!
La prima classificata: la squadra composta dai supporters della Polisportiva San Precario di Padova

La squadra seconda classificata: Kick Refugees di Padova

domenica 22 aprile 2012

DANCEHALL TRASH NIGHT! IN CAMPO CON LA PAZ!

DANCEHALL TRASH NIGHT! IN CAMPO CON LA PAZ!Tifosi, simpatizzanti, sportivi, antirazzisti, una serata tutti assieme per sostenere un progetto di integrazione e multiculturalità, per riconoscere e rispettare le differenze culturali e sessuali che siano. Per imparare a vivere la competizione come uno stimolo e non come il fine ultimo. Usiamo onestà e lealtà con l'avversario per riportare lo sport fuori dalle logiche di mercato, per ribadire che lo sport è un bene comune e non un mezzo di arricchimento.
Martedi 24 aprile a partire dalle 23 in Casa Cantoniera Autogestita, via mantova 24, serata di autofinanziamento La Paz!
Non mancate, venite numeros@

domenica 15 aprile 2012

La poesia dimenticata


di Ivan Grozny   
E’ un po’ che mi chiedo con che stato d’animo dirigenti, allenatori e giocatori stiano affrontando questa fase di campionato.
Non fraintendetemi, non mi riferisco a questo periodo perché è quello dove si decidono, sul campo, le sorti di quella o questa squadra.
Affatto, anzi, a questo proprio non ci sto pensando. E appunto non credo essere il solo. Perché varie procure sparse per l’Italia (Cremona, Bari, e Napoli, tanto per fare degli esempi) sono a un punto cruciale delle indagini riguardante il calcio-scommesse, e molti addetti ai lavori non dormono sonni tranquilli.
E a giorni scatterà quell’operazione che potrebbe, o dovrebbe, portare all’arresto di personaggi di spicco del mondo del calcio. Di Serie A e B. Sono numerose le partite incriminate, e dopo ogni colloquio se ne aggiungono sempre di nuove. Gli interrogatori vengono secretati, e addirittura alcuni di questi avvengono in luoghi ignoti. Un po’ come si fa con le indagini sulla criminalità organizzata, sulle cosche mafiose.
La cosa che però colpisce è che l’unica preoccupazione pare essere quella legata alle squadre che potrebbero essere penalizzate. L’unico pensiero è quello, per poi fare ripartire il carrozzone come se nulla fosse.
Proprio oggi a riguardo, Pierpaolo Marino, direttore generale dell’Atalanta ai microfoni di Radio Anch’io, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: “Ormai dell'Atalanta si parla solo in relazione al calcio-scommesse, mentre sappiamo che è un letamaio, che con tante procure sguinzagliate c'è di tutto per tutti. Mi sembra che le classifiche stiano per essere stravolte in maniera straordinaria – continua Marino - non vedo perché dobbiamo preoccuparci solo noi dell'Atalanta che abbiamo già pagato a titolo di responsabilità oggettiva secondo me oltre misura, perché sei punti per una gara soltanto, quando ce ne erano stati assegnati tre, e spero che il Tnas metta giustizia in questo senso. Sento parlare di fatti molto importanti che stanno per venire fuori. Ulteriori stravolgimenti? Me li aspetto per gli altri, perché per l'Atalanta ci sono già stati e sembrava fosse solo l'Atalanta colpevole. Ci sono indagini che stanno procedendo e secondo quanto sento dire sento parlare di fatti molto importanti che stanno per venire fuori. E bisognerebbe tornare a parlare di questa responsabilità oggettivadelle società nei confronti di questi tesserati che fanno delle ignominie a loro vantaggio attraverso il calcio-scommesse e che quindi creano già danno al campionato e alle società sul campo e poi le fanno anche in classifica».
Mi verrebbe voglia di citare Garzya, difensore del Lecce negli anni novanta. Celebre la sua frase “sono completamente d’accordo a metà con il mister!”
Trovarsi d’accordo a metà con Pierpaolo Marino viene facile. Perché è vero, anzi verissimo che quello che sta per accadere potrebbe sconvolgere il campionato, anche quello di vertice (Napoli e Lazio, per fare degli esempi). E’ altresì vero che non c’è solo l’Atalanta che rischia. Ma non possiamo trovarci d’accordo con il fatto che le società siano le vittime. Proprio a partire dalla sua Atalanta. Pare invece evidente che ancora una volta si cerca di creare un clima da barricate per evitare che il sistema calcio, ma direi il sistema sport professionistico in generale, cambi direzione. Cambi dirigenti. Cambi politiche. Un mondo così conservativo sa bene come difendersi. E utilizzano tutto quello che hanno a disposizione. Stanno facendo a gara le televisioni per screditare le dichiarazioni di Hristiyan Ilievski e Geric, che tirano in ballo non solo i calciatori, ma anche un buon numero di dirigenti e presidenti.
E’ chiaro che non si possono prendere come oro colato le loro parole, ma dichiarare come ha fatto qualcuno che non è possibile che i dirigenti di Serie A scommettano e che anzi è fuori questione, è una dichiarazione che non si capisce cosa e dove voglia portare.
Come lo si fa ad escludere? Perché lo si esclude?

Siamo così certi che l’unica cosa che interessi ai tifosi sia che la proprio squadra non venga penalizzata? E se invece gli sportivi pretendessero, a costo di vedere i proprio colori precipitare, un calcio diverso?
Ormai serve solo aspettare. Vedere cosa succederà e poi fare le valutazioni.
Ma siccome di questo tipo di vicende ormai ce ne occupiamo da tempo, sappiamo bene che la partita che si gioca è molto più importante che vedere finire al fresco (cosa che peraltro non auguriamo mai a nessuno) qualche nome grosso nome per avere qualcuno con cui prendersela. Perché poi, finisce sempre così. Una lista di nomi, una serie di servizi su quanto fosse impensabile che tizio o caio fossero coinvolti in uno scandalo del genere, invece che guardare alle sostanza. E dallo scandalo si passa al pettegolezzo, al gossip. E così finisce tutto.
Mi chiedo invece perchè se tutti gli osservatori che sono presenti alle partite, i dirigenti, i giornalisti, non si accorgono mai quando queste non si svolgono correttamente? Forse può solo volere dire che non sono così professionisti esperti come si professano?
E come mai tutti i giocatori coinvolti hanno ottenuto trasferimenti anche di un certo rilievo? Gente che ne ha combinate, in campo, di tutti i colori.
Sono i misteri dello sport.
Prima di lasciarci, un ultimo pensiero va a Antonio Tabucchi. Era un grande appassionato di calcio, oltre che di Pessoa e del Portogallo tutto. E non si può amare “Lusitania” senza apprezzarne anche il modo in cui si gioca a pallone da quelle parti. Dove un bel passaggio conta più di un goal, dove un dribbling accende i cuori più di un tiro.
L’estetica nel pallone è un aspetto tutto fuori che secondario. E non si può vivere di solo quello, è certo. Ma siamo sicuri che siamo tutti imperdonabilmente condannati a vincere? In un modo nell’altro, che siano soldi o punti in classifica?
Quando abbiamo scritto di Texeira abbiamo proprio giocato con il titolo di un suo famoso romanzo, pensando anche a quanto gli uomini di potere spesso si dimentichino della poesia. Che strana coincidenza.

Tratto da: Spor alla rovescia

La bella storia della Porcenese: una squadra al passo con i tempi


di Ivan Grozny   
Marco Zanella è il presidente della Porcenese, una squadra della provincia di Belluno. Sono iscritti al campionato di calcio CSI che stanno tutt’ora disputando.
Abbiamo telefonicamente incontrato e conosciuto Marco Zanella incuriositi dalla loro storia che è balzata agli onori della cronaca nazionale; Repubblica gli ha dedicato non poco spazio, per il fatto che la squadra è composta per lo più da ragazzi che o sono figli di immigrati stranieri, o sono nati qui ma da genitori non italiani. Sappiamo quanto sia discutibile la norma sulla cittadinanza nel nostro Paese..
I ragazzi che compongono questa squadra sono quindi di molteplici provenienze, e come spiega Zanella “sono lo specchio nono solo della realtà di questa zona, ma direi dell’Italia intera. Che è in continua mutazione, in continuo cambiamento. E questa è una cosa che molti ancora non hanno recepito”.
Il team coinvolge ragazzi di diverse provenienze, addirittura a volte schiera undici atleti tutti di paesi diversi. Come possiamo non sentirci legati, vicini e attratti da una realtà così? Loro sì che sono il nuovo che avanza.
Interessante sentire la storia di questa che di fatto mira a diventare una Polisportiva. E noi ce lo auguriamo di cuore.
Nell’ultima settimana sono stati loro malgrado protagonisti di un episodio di intolleranza. Ce lo racconta Zanella stesso, interessanti soprattutto le osservazioni che fa commentando questo episodio.

Ascolta l'intervista:


Bahrain: il GP che non c’è


di Ivan Grozny
Come Ponzio Pilato, se ne lavò le mani. “Sono le scuderie che devono prendere una posizione, io non posso decidere”. Ma come, Bernie (Ecclestone n.d.r.), non sei tu a decidere? Non sei tu a cambiare i regolamenti, a trattare i diritti televisivi? Si fa sempre più interessante la situazione del GP di F1 in Bahrain. Ma si fa sempre più dura la situazione per i dimostranti.
Il padrone assoluto della FIA non è credibile quando dice che non è lui che deve decidere. Piuttosto, si chiedono alcuni esponenti politici britannici, come si sia potuto, dopo quanto accaduto lo scorso anno, ritentare di organizzare la gara proprio in quei territori. Cosa avrà spinto Ecclestone a riprovarci? Quattrini dite? Può darsi.
La repressione è sempre più dura, e solo grazie al fatto che la protesta è legata al GP ha un minimo di visibilità.
La minoranza sunnita comanda, la maggioranza sciita, che è circa il 70% della popolazione, protesta. Sembrerà una banalizzazione, e lo è, di fatto, ma per inquadrare la situazione non c’è di meglio. Poi sappiamo tutti che le questioni non si possono liquidare in questo modo, perché mai nulla ha la linearità che sembra avere.
Il piccolo Paese in questione è di fatto un protettorato dell’Arabia Saudita, e solo gli iraniani sono apertamente per i dimostranti, e non certo per una questione di libertà, mi verrebbe da dire. Quindi qualsiasi intervento “esterno”, anche solo diplomatico, si può comprendere quanto venga ponderato.
Certo, una volta che si sposterà il GP, perché così andrà a finire, del Bahrain si smetterà di parlare. E non oso immaginare cosa potrà accadere a quel punto.
Quindi approfittare di questo momento è importante per coloro che in piazza scelgono di andarci, anche a costo di venire uccisi o imprigionati (e torturati..). E badate che anche questa volta, più che la spinta per maggiori diritti e libertà, il motivo che ha portato la gente in piazza è stata la fame, la difficilissima condizione in cui è costretta a vivere gran parte della popolazione in Bahrain.
L’Iran è l’unico dei Paesi arabi ad avere una guida sciita. Ma come si potrà immaginare non tutti gli sciiti sono uguali, e le differenze sono ancora più evidenti se si guarda la situazione tra un Paese e l’altro. Lo stesso vale per i sunniti, ovviamente. Le differenze tra i due “gruppi” non sono di tipo etnico, come erroneamente si potrebbe pensare,ma è il tipo di approccio al credo religioso e le differenze nel praticarlo che determinano la divisione. Religiosa e quindi anche politica. Soprattutto, politica.
Per i sunniti lo stato svolge un ruolo molto importante perché pensavano che solo il legittimo successore del profeta potesse guidare lo Stato al meglio. Nel sunnismo, tale guida si chiama califfo. Una sorta di monarca e allo stesso tempo guida spirituale.
Gli sciiti invece credono che l'ultimo imam sia diventato eterno e che ritornerà. Questa visione corrisponde un po' alla concezione che hanno i cristiani rispetto al Messia. Tornerà durante il giudizio universale e nel frattempo è rappresentato da altri religiosi.
In ogni caso però, la religiosità si è sviluppata diversamente nei vari paesi.

L'Iran è l'unico Stato sciita, come accennavamo prima, ma in questo Paese si è sviluppato il credo secondo cui ogni fedele si sceglie la propria guida spirituale. Se una di queste guide spirituali ha molti fedeli viene chiamata Ayatollah.
Fatto un po’ di ordine sulle questioni politico-religiose, possiamo tornare alla F1? Mi sembra un po’ difficile. Comunque tranquilli, Bernie ha già pronto il Piano B; un GP in Europa. Ma è deluso, ci sperava tanto. Tutti quei petroldollari che se vanno così, come fossero fumo che sale dalle barricate di chi protesta.

La folle corsa in Bahrain


di Ivan Grozny
Era il 14 febbraio 2011, giorno in cui la maggioranza sciita ha iniziato a protestare contro il governo sunnita, inBahrain. Da quel giorno non c’è stata pace.
Non se ne parla molto ma ci sono stati un numero imprecisato di morti, scontri in piazza, il solito vago numero di persone scomparse nel nulla, ecc..
Questo video è solo di qualche giorno fa, ma spiega bene lo stato delle cose. Ce ne sono tantissimi come questo, in rete. Certo, molti sono di qualità scadente, altri poco nitidi, ma questo è solo un altro aspetto che ci spiega che regime è quello del Bahrain. Controlla tutto.
Reportage ce ne sono stati diversi invece, come questo che vale la pena vedere, che è postato sulle pagine diwww.nena-news.globalist.it , uno dei pochi siti di informazione che si occupa ancora di Medio Oriente.
Tra qualche settimana, domenica 22 aprile, in questo Paese si svolgerà il Gran Premio di Formula 1BernieEcclestone, il capo indiscusso del circus sta svolgendo ancora in questi giorni incontri con i diplomatici del Paese per capire se ci sono rischi nell’organizzazione di questo evento. Rischi? Mi sembra esagerato, Bernie..
La popolazione ha capito che questa potrebbe essere un’opportunità per fare conoscere al mondo quanto sta accadendo da quelle parti e sta facendo di tutto per fare saltare l’appuntamento. Un ragazzino di 12 anni è morto a fine marzo di quest’anno in una di queste manifestazioni. Soffocate con il sangue. Freddato da un colpo di arma di fuoco, non da un proiettile di gomma, sparato dagli agenti sauditi per disperdere la folla. E badate, soldati sauditi.
A parte una seria riflessione su cosa sia davvero la Primavera Araba, sul perché il modo di agire di certi Paesi venga messo sotto la lente di ingrandimento dalla grande stampa, e altri no; ci si dovrebbe chiedere che senso ha organizzare una manifestazione simile in una situazione del genere. Lo sport, tutto, sta perdendo sempre più il senso della realtà. Ed è sempre più un carrozzone che mira solo al business, e si è venduto l’anima.
E’ il petrolio a determinare “interventi umanitari”, campagne stampa, opinioni.
Si è tanto parlato di liberare la Libia da Gheddafi e oggi quale sia la situazione li nessuno se ne cura. Che il Paese stia diventando una nuova Somalia, che abbia subito una sorta di “balcanizzazione”, con la differenza che le divisioni, che a dire il vero ci sono sempre state, è tra tribù. Facile fare la guerra, liberarsi di un avversario, o peggio di uno scomodo concorrente, e poi lavarsene le mani. La copertura mediatica c’è stata fino alla morte delColonnello, dopo stop.
Del Bahrain non si parla mai, non ci si chiede perché un Paese dove la popolazione, nonostante le risorse petrolifere, non è ricca, non è libera. Gente che chiede e manifesta per i suoi diritti e si vede, oltre che ignorare, anche organizzare il Gran Premio di Formula 1. E’ uno smacco non da poco. Proprio da parte di quei Paesi occidentali a cui paradossalmente si appellano per fare sentire la propria voce.
Lo sport non è da oggi che viene utilizzato per operazione di marketing in grande stile da parte di dittatori. I Mondiali di Calcio di Argentina ‘78, le Olimpiadi di Berlino.. Gli esempi da fare sarebbero tanti.
Con il beneplacito dell’Arabia Saudita, la repressione continuerà. Questa è l’unica certezza. Sono suoi, va sottolineato, gli uomini armati che si occupano di queste operazioni, sul campo. E’ bene ricordarselo. Quindi quando vediamo e sentiamo cosa accade in Siria, che è condannabile tanto quanto, pensiamo anche che ci sono Paesi dove accadono le stesse cose ma non hanno lo stessa visibilità. E non può essere che solo perché uno è un alleato e partner commerciale dell’Occidente, e l’altro un nemico, cambi il modo di interpretare quanto accade.
Un ultima notizia. Abdulhadi Al-Khawaja, il fondatore del Gulf Centre for Human Rights, che aveva segnalato le condizioni in cui vivono gli abitanti del suo Paese e che ha denunciato la violenza repressiva del regime, sta morendo in carcere. Dopo quasi due mesi si sciopero della fame le sue condizioni sono a dire poco, critiche. L’appello che lancia la figlia sembra stia candendo nel vuoto.
Altro sangue per il petrolio. Potete accendere i motori.

sabato 14 aprile 2012

#dirittodiscelta - Raggiunte le 10.000 firme. Ora vogliamo i permessi!!!


Centinaia di banchetti, migliaia le firme cartacee raccolte. Ora la richiesta deve diventare realtà. Servirà mobilitarci!!!

Finisce la maratona ma non finisce la raccolta firme che nei prossimi giorni continuerà in attesa dell’incontro con il Ministero dell’Interno.
Centinaia di donne e uomini, di associazioni e collettivi si sono messi al lavoro in questi quattro giorni di maratona e grazie allo sforzo di tutti l’obiettivo di firme a sostegno della campagna #dirittodiscelta è stato ben presto superato. Sono oltre 10.000 le sottoscrizioni effettuate on line attraverso il sito www.meltingpot.org ma altre migliaia raccolte sui moduli cartacei sono arrivate e ancora stanno arrivando alla nostra redazione, via fax e via mail.
Un permesso di soggiorno per i richiedenti asilo provenienti dalla Libia ed accolti nel piano di emergenza affidato alla Protezione Civile: questa la richiesta unanime, affinché i tortuosi percorsi di inserimento intrapresi, gli sforzi e le risorse impegnati, la dignità e la vita di questi ragazzi non si debbbano dissolvere nella penombra della clandestinità, tra le braccia dello sfruttamento e le reti della criminalità organizzata.
E’ un paese, questo, in cui alla crisi economica corrisponde un altrettanto feroce impoverimnento della sfera dei diritti di chi il lavoro lo aveva, di chi lo ha perso, o di chi lo ha e lo perde ad ogni rinnovo o scadenza del contratto. Un paese in cui le già difficili condizioni dell’irregolarita per i migranti si intrecciano ad un progressivo venir meno di interventi sociali, di possibilità, di garanzie.
E’ anche per questo, perché sappiamo che in questa crisi farebbe comodo a molti un nuovo esercito di braccia e corpi ricattabili da sfruttare, che la richiesta di un permesso di soggiorno umanitario per i migranti provenienti dalla Libia non è solo e semplicemente una necessità per loro, ma una battaglia di dignità per tutti noi. 
Non è poi così strano. I diritti non sono un gioco a somma zero. non c’è debito che tenga, non si acquistano diritti perché vengono sottratti a qualcun altro. 
Ora attendiamo l’incontro con il Ministero consapevoli che non sarà semplicemente una firma ad imporre il rilascio di un permesso di soggiorno per i profughi ma che esserci messi in cammino, aver insieme costruito questa richiesta, è un primo passo per mobilitarci insieme.
Vedi anche:
- L’appello di Padre Alex Zanotelli per il #dirittodiscelta
- Anche a Rimini un Odg comunale per sostenere la Campagna e la Maratona per il #dirittodiscelta
- Emilia Romagna – La Regione approva la risoluzione a favore della campagna #dirittodiscelta per i migranti provenienti dalla Libia
- Caparezza a sostegno della Campagna per il #diritto di scelta!!!
- Anche il Tavolo Asilo si appella al Governo per i permessi umanitari
- Diritto di scelta - Ascanio Celestini per il rilascio di un permesso ai richiedenti asilo provenienti dalla Libia
- Napoli - Diritti bene comune: rilanciamo la campagna per un permesso di soggiorno ai profughi
- Il Sindaco di Napoli - Un appello al Governo per un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie ai profughi 
- Comune di Fosdinovo (MS) - Una mozione per sostenere la richiesta di un permesso per i richiedenti asilo
- Il Comune di Vicenza - Lo stato deve rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari
- Trento - Il Consiglio Provinciale approva la mozione che chiede il permesso per i profughi provenienti dalla Libia
- Il Trentino si mobilita per il permesso umanitario a chi è fuggito dalla Libia
- Le parole di Alex Zanotelli sostenitore della campagna "diritto di scelta"
- Non è ora di dormire! - Un video per supportare la campagna Diritto di Scelta
- L’inverno dell’accoglienza: emergenza, asilo e migrazioni nel 2011
- Se gli enti locali si battono per i profughi (Il Manifesto)

Tratto da: MeltingPot

Giovanile Rimini


Di Roberto Terra 
Roberto Renzi e Aziz sono rispettivamente l’allenatore-factotum ed una giovane promessa della “Giovanile Rimini”, squadra di calcio che milita in seconda categoria FIGC, passata, suo malgrado, alle luci della ribalta non perché la sua rosa multietnica è un esempio virtuoso di integrazione e tanto meno perché lo scorso anno, oltre a vincere il campionato, ha vinto la Coppa Disciplina.
La ribalta non è arrivata neanche perché uno dei suoi giovani talenti è stato acquistato da un top-club, ma semplicemente perché, tre settimane fa, società e giocatori, di comune accordo, hanno deciso di ritirarsi dal campionato. I motivi che hanno portato a questa scelta sofferta sono molteplici e hanno fatto si che il vulcanico allenatore, Renzi, e i suoi ragazzi, gettassero la spugna. Questa è una storia di razzismo ma non solo, di ignoranza a volte mal celata e soprattutto di diritti negati ed indifferenza, ancora una volta. Lo sfondo è una benestante città romagnola, Rimini, tanto luccicante l’estate quanto noiosa ed indifferente a tutto ciò che accade, il resto dell’anno, tronfia del suo benessere tanto da mal sopportare chi, tra mille difficoltà e tanto sudore, voglia sedersi al suo banchetto. Anche il tardivo tentativo dell’Assessore allo sport, ex noto giocatore locale di Pallamano, non è riuscito a far tornare la società sui suoi passi.
Renzi, con i suoi modi tipici e irriverenti del buon romagnolo, ci accoglie, in un caldo pomeriggio di fine marzo, nel suo ben curato centro sportivo, a due passi dalla stazione centrale. Qui ci racconta un po’ la storia di questa società: inizialmente, di migranti, non ce n’era neanche uno, è stato il tempo e la posizione, dietro la stazione, in un quartiere multietnico a scrivere questa storia. Il primo “straniero” è stato un giovane studente giapponese con grande passione per il calcio che abitava a due passi da lì, poi man mano, altri ragazzi, ivoriani, senegalesi si sono affacciati al centro sportivo e non se ne sono più andati.
Oggi in una rosa di 24 giocatori, solo 2 sono italiani, gli altri arrivano da ogni angolo del mondo, dal continente africano soprattutto. Insomma, una bella storia di integrazione e socialità, ma soprattutto di passione per il calcio. La maggior parte di questi ragazzi, tutti regolarmente residenti in Italia, vivono facendo lavori di fatica, chi il muratore, chi l’operaio, ma nonostante questo, quattro volte a settimana, tolgono la tuta da lavoro , vestono le casacche, infilano gli scarpini con i tacchetti e scendono in campo ad allenarsi, per amore di questo sport ma anche per quel romantico sogno, che da ragazzini tutti abbiamo cullato, di farcela,di sfondare,di diventare professionista ed abbandonare fatica e stenti e poter vivere agiatamente di calcio, di passione.
Ci sarebbero tutti gli elementi per una storia a lieto fine, ma come ci racconta Renzi, la realtà, anche nel calcio, è più infima. Di idioti, sparsi lungo le tribune dei campi che avrebbero calcato, erano certi di trovarne, ma anche in campo, speravano di no. Invece sono numerosi gli episodi di calciatori avversari, oltre che di tifosi, che lungo tutti i 90 minuti hanno insultato, provocato, sbeffeggiato i giovani atleti e perfino anche qualche arbitro ha pensato bene di dare il meglio di sé. Addirittura, una domenica, un direttore di gara, ha pensato bene di chiamare la polizia per controllare i documenti ai ragazzi della squadra, temendo (e forse sperando?) di avere davanti qualche “pericolosissimo irregolare”.Risultato: partita persa a tavolino, perché le operazioni sono state lunghe, nessun irregolare scovato, ma intanto il buio è sceso sul campo di via Roma ed il direttore di gara ha dovuto sospendere la partita e decretare la sconfitta d’ufficio della Giovanile.
Le volte in cui, invece, l’arbitro di turno, non ha accettato in distinta i giocatori che si presentavano con la copia del documento d’identità, non si contano. Senza sapere e neanche immaginare, cosa significhi e quanto sia importante, per un migrante preservare e non perdere il proprio documento, unico accesso ai quei diritti minimi che posseggono. Pena sarebbero iter burocratici lunghissimi e costosissimi per riaverlo, nella migliore delle ipotesi, l’espulsione o il finire rinchiusi in un CIE, quella peggiore.
Altro aspetto drammatico della vicenda,poi, è il ruolo della federazione e della sua mancanza totale di tutela per un’esperienza così rara ed importante nel calcio dei nostri giorni. Una Federazione sorda e superficiale, che a parole rifiuta il razzismo ma che con i suoi atteggiamenti volti a sminuire l’accaduto a semplici problemi societari, finisce per essere connivente e in qualche modo mandante di quello che è accaduto.
Questo a partire dalla difficoltà con cui le società possono tesserare stranieri, specialmente extracomunitari: sfilze di documenti, raccomandate, soldi e pratiche infinite che rendono difficoltoso per le società tesserare atleti stranieri, negando l’accesso allo sport più praticato al mondo a tantissimi ragazzi. Renzi lo sa bene, avendone avuti tanti di questi ragazzi nelle sue fila e avendo vissuto in prima persona le difficoltà e l’inciviltà di questa burocrazia.
Ora, mettete insieme gli insulti sul campo e sugli spalti quasi tutte le domeniche, metteteci degli arbitri che non ti tutelano e che anzi, ti guardano con sospetto,metteteci una federazione immobile e che ti ostacola con le sue regole fuori tempo e storia e la frittata è fatta. Un bell’esempio di integrazione, di passione, di antirazzismo vero e non parlato sceglie di fermarsi, di dire stop, di non scendere più in campo. Troppa stanchezza, troppi mulini a vento contro cui combattere, troppa superficialità ed ignoranza intorno. E allora basta,il calcio non è questo, non ne vale la pena. Allora ci si continua ad allenare, tutti insieme, contenti anche dopo una giornata stancante di lavoro, con magari tante bollette da pagare, con la propria famiglia e la propria terra distante migliaia di chilometri, per continuare a respirare la vera essenza del calcio,:il pallone che rotola sull’erba, sperando di saltare l’avversario e trovarsi davanti al portiere, pronto a segnare per poter continuare a sperare in quel sogno di farcela, di sfondare e di gridare agli avversari, ai tifosi, alla federazione: “GIOCO ANCH’IO!”.