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giovedì 19 gennaio 2012

Mediterraneo, oltre 2mila gli immigrati morti in mare nel 2011


Negli ultimi 20 anni sono almeno 17.856 le persone inghiottite dai flutti mentre cercavano di raggiungere l'Europa. I dati raccolti dal blog Fortress Europe attraverso le notizie riportate dalla stampa internazionale
Mediterraneo, oltre 2mila gli immigrati morti in mare nel 2011
ROMA - Il barcone carico di disperati ribaltatosi al largo della costa brindisina è destinato inevitabilmente ad aggiornare il conto dei morti in mare per immigrazione. Un bilancio pesantissimo: nei primi nove mesi del 2011, sono più di 2mila le persone scomparse tra i flutti nel tentativo di raggiungere l'Europa. Ampliando il lugubre conteggio all'ultimo ventennio, si scopre che nel Mediterraneo hanno trovato la morte almeno 17.856 persone. Numero che potrebbe essere inferiore a quello reale, considerando la possibilità di naufragi fantasma di cui potrebbe non essere mai avuta notizia. I dati sono tratti dal blogFortress Europe, che li raccoglie analizzando le notizie riportate dalla stampa internazionale degli ultimi 23 anni.

Questo l'elenco dei principali naufragi, vittime e dispersi segnalati nel 2011.

11 FEBBRAIO - Nella notte naufraga un vecchio motopesca partito dal porto di Zarzis, in Tunisia: circa 40 gli immigrati dispersi, quasi tutti presumibilmente morti.

14 FEBBRAIO - Sempre di notte, cinque persone morte ed altre 17 disperse, dopo un naufragio avvenuto avvenuto ancora al largo di Zarzis.

4 MARZO - Due dispersi nella carretta rimasta per quattro giorni in balia del mare in tempesta dopo essere partita dal porto di Biserta, nell'estremo nord della Tunisia. La barca è stata soccorsa da un motopesca di Mazara del Vallo al largo delle coste trapanesi.

14 MARZO - Almeno 60 i 'fantasmi' che erano 
a bordo di un barcone naufragato non lontano dalle coste della Tunisia dopo essere partito da Zarzis. Il fatto è stato raccontato  dai superstiti che sono riusciti a mettersi in salvo, raccolti da altri barconi.

19 MARZO - Tre persone sono risultate disperse dopo il naufragio di un'imbarcazione partita da Zarzis.

28 MARZO - Dodici migranti che, a bordo di un barcone, stavano tentando di entrare in Tunisia, sono annegati nel naufragio del natante, a largo delle coste di Kerkennah.

30 MARZO - Altro naufragio nel Canale di Sicilia e sette persone morte, tra le quali una donna incinta e un bambino, figlio della migrante.

22 MARZO - Un barcone con 335 somali ed eritrei è partito dalla Libia, ma nessuno dei passeggeri si è da allora fatto vivo.

25 MARZO - Nessuna notizia anche di un barcone, salpato sempre dalle coste libiche, con 68 persone a bordo.

1 APRILE - I cadaveri di 27 tunisini, di età compresa tra i 19 e i 23 anni, morti in due naufragi di barche dirette in Italia, sono stati scoperti sulle coste dell'isola di Kerkennah.

3 APRILE - Settanta corpi sono stati recuperati dopo un naufragio davanti alle coste di Tripoli.

6 APRILE - Un barcone si rovescia nella notte in acque maltesi. Salvati in 51, ma a bordo erano circa 300 secondo alcune testimonianze. Decine di cadaveri sono stati avvistati da un elicottero della Guardia di finanza.

13 APRILE - Due donne sono morte durante lo sbarco di migranti avvenuto a Pantelleria. Erano a bordo di un barcone con circa 250 persone.

28 APRILE - Un peschereccio sovraccarico nel porto di Tunisi si rovescia al molo prima ancora di salpare per Lampedusa, decine le vittime.

6 MAGGIO - Un barcone con oltre 600 migranti è naufragato all'alba davanti alle coste libiche, nei pressi di Tripoli. Centinaia i dispersi.

2 GIUGNO - Almeno 270 dispersi dopo che una nave, partita dalla Tunisia con a bordo 700 persone provenienti dalla Libia, è andata in avaria.

1 AGOSTO - 25 cadaveri vengono trovati in un barcone arrivato a Lampedusa. Erano nella stiva, uccisi probabilmente dai fumi del motore e dal caldo. Il 26esimo morto è un migrante che durante la traversata è stato gettato in acqua dopo una lite.

8 AGOSTO - I passeggeri di un vecchio peschereccio soccorso alla deriva al largo di Lampedusa riferiscono di una trentina di morti in mare durante una traversata.

14 AGOSTO - Un gommone si capovolge a largo dell'isola di Marettimo: 3 dispersi in mare.

19 AGOSTO - Due ragazzi tunisini cadono in acqua durante la traversata verso Lampedusa.

2 SETTEMBRE - Dispersi in mare 14 ragazzi di età tra i 18 e 25 anni. Erano partiti da una spiaggia di Aïn Témouchent, in Algeria ,diretti verso le coste spagnole.

3 SETTEMBRE - 4 morti e 15 dispersi in un naufragio nello Ionio sulla rotta per la Calabria, al largo dell'isola di Cefalonia.

13 SETTEMBRE - Dispersi 17 ragazzi partiti da una spiaggia di Benazzouz, a Skikda, in Algeria, diretti in Sardegna. La loro barca viene ritrovata vuota.

21 SETTEMBRE - I corpi senza vita di 4 uomini affiorano dal mare lungo le coste di Izmir, a Seferihisar, in Turchia, sulla rotta per l'isola greca di Samos.

23 SETTEMBRE - Naufragio nello Ionio sulla rotta per la Calabria, al largo dell'isola di Zakynthos (Grecia), 3 morti.


Tratto da: Repubblica.it

Ancona. Primo incontro delle polisportive e palestre popolari.


primo incontro polisportiveIl 14 e il 15 Gennaio 2012 una ventina di realtà appartenenti al circuito delle polisportive e palestre popolari italiane, si sono riunite per la prima volta, nella città di Ancona, presso il centro sociale Asilo Politico, per dare forma ad un progetto comune legato allo sport e alla sua accessibilità.
La due giorni è stata caratterizzata da momenti diversi,  in cui dal triangolare di calcio di sabato alla riunione della domenica, siamo stati insieme per conoscerci ed approfondire le relazioni già esistenti.
Ne è emerso un panorama estremamente vivo e ricco di attività differenti e sperimentazioni che ci hanno suggerito la necessità di intraprendere un confronto costante sia per moltiplicare le iniziative,  sia per sostenerci nelle problematiche in cui ci imbattiamo  ogni giorno.
Nonostante le differenze territoriali e quelle legate alla specificità di ogni proprio percorso, abbiamo tutti manifestato l’esigenza di portare il concetto di sport all’interno dei ragionamenti sui beni comuni. Anche lo sport è e deve essere un bene comune come tutto ciò che struttura i fondamentali della nostra vita.
Lo sport è vita in quanto è ricerca consapevole del benessere così come è ricerca di aggregazione  e bisogno di misurarsi con esso per apprendere dei comportamenti sani e auto-educanti. Lo sport fa parte del nostro bios e ci permette di imparare a gestire il nostro corpo e quello altrui.
Abbiamo anche condiviso l’estrema forza che attraversa lo sport come mezzo per comunicare le nostre battaglie e con esso intraprenderne altre nuove. Significative le esperienze di alcune realtà in cui grazie  all’attività delle palestre popolari sono riuscite  a diventare punto di riferimento in molti quartieri anche difficili in cui si è ridato  senso e valore all’aggregazione giovanile e all’integrazione con chi troppo spesso viene definito diverso e per questo escluso. Come non citare gli esempi di chi oggi utilizza lo spazio della palestra popolare per dare cittadinanza a coloro a cui è stata tolta: malati psichiatrici, detenuti, rom…
In questo senso ci siamo resi conto che anche inconsapevolmente abbiamo sdoganato il concetto di popolare che oggi acquisisce un nuovo significato rispetto alla capacità di includere all’interno delle rivendicazioni dello sport per tutti, anche le rivendicazioni proprie dei movimenti.
Le nostre scuole oggi, grazie alla riforma Gelmini, rischiano di perdere le ore dedicate all’educazione fisica e gli spazi in cui praticarla. Il desiderio e il bisogno di riappropriarci del nostro tempo libero per fare “ginnastica” parte anche da questa presa di coscienza.
Quando riempiamo gli spalti per seguire le nostre squadre di calcio  amatoriali o di terza categoria che sia, lo facciamo condividendo quello spazio insieme ad altre persone alle quali si cerca di  trasmettere i nostri contenuti e il senso della scelta fatta quando ci siamo costituiti in vere società sportive.
Vogliamo attraversare più ambiti possibili per fare emergere le contraddizioni esistenti e denunciare le profonde discriminazioni che ci sono nello sport e nei regolamenti che lo “governano”. 
Per questo abbiamo voluto lasciarci con elementi concreti con cui iniziare a strutturare il nostro lavoro di rete. Innanzi tutto vogliamo aprire una campagna pubblica a livello nazionale per chiedere che venga riconosciuto come diritto di cittadinanza la possibilità per un migrante, o figlio di quest’ultimo, di praticare lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna pre-condizione.
Una battaglia di dignità che sentiamo urgente proprio in un momento in cui si moltiplicano i casi in cui la FGCI rifiuta tesseramenti di stranieri a causa dei propri regolamenti discriminatori.  Indipendentemente dalle categorie in cui un ragazzo, anche figlio di seconde generazioni, vuole tesserarsi per giocare a calcio,i vincoli ed i requisiti richiesti sono troppi ed illogici sia rispetto alla composizione dei nostri contesti sociali sia rispetto alla struttura precaria  con cui le nostre  vite fanno i conti ogni giorno.
Questa campagna che ci vedrà tutti uniti vuole attivare  un meccanismo di riproducibilità in ogni territorio in cui siamo presenti, dal nord al sud dell’Italia, per raccogliere numerose  adesioni e per far nascere una discussione più ampia possibile.
Dare cittadinanza ai giovani migranti nello sport è per noi motivo di riportarlo al suo  spirito originario  e per strapparlo alle  logiche del business e  dello sfruttamento economico di cui è purtroppo ostaggio. E anche se sappiamo quanto sia importante il calcio nel nostro paese siamo anche consapevoli dell’importanza di tantissime altre discipline  che vogliamo promuovere e che in parte già stiamo facendo per coinvolgere e mescolare linguaggi e pratiche diverse.
Per fare questo abbiamo pensato di dover potenziare i nostri mezzi di comunicazione per far risaltare l’enorme ricchezza di cui siamo portatori e soprattutto di continuare ad occuparci dello sport non  come un nostro passatempo personale ma come ambito di strutturazione di un percorso politico in cui costruire la nostra alternativa.


Tratto da: Globalproject.info

lunedì 16 gennaio 2012

Buon compleanno Ali. Il Mito fa settanta anni


Nasceva il 17 gennaio del 1942 uno dei più straordinari personaggi della storia della boxe e dello sport. Una vita eccezionale anche fuori dal ring, dalle battaglie per i diritti civili alla dignità nel mostrare al mondo la malattia LE FOTO

di LUIGI PANELLA
Probabilmente Muhammad Ali non è stato il più forte pugile di tutti i tempi: molti 'datati' navigatori dei ring indicano Joe Louis o, scendendo dai massimi ai medi, Ray Sugar Robinson complessivamente superiori. Questione di opinioni... Su un dato però non c'è storia: sicuramente Muhammad Ali è stato il più grande pugile, forse il più grande sportivo di tutti i tempi. Dal 17 gennaio del 1942, settanta anni da mito, sul ring ma anche e soprattutto fuori. Mai una parola figlia illegittima della banalità. Non una bocca la sua, ma una mitragliatrice: raffiche di pallottole verso il bersaglio del perbenismo di una certa America, conservatrice ed incapace di accettare che il campione del mondo dei pesi massimi rifiutasse di 'onorare' la patria nella follia del Vietnam. ''Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro...''. Non una frase buttata al vento, ma una precisa scelta di coscienza che gli costò il ritiro della licenza e la perdita del titolo negli anni sessanta.

Senza coraggio il ring neanche si sfiora. ''I campioni non si fanno nelle palestre. I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione''. Ali quella visione l'ha saputa portare fuori dal ring, ha rinnegato un paese che non sentiva suo per riaffermare il principio indissolubile della pace. Settanta anni di Ali, lo sportivo super del secolo scorso, con una incursione tenera, ormai stanco e malato, in quello attuale. Un frullatore di frammenti che hanno accompagnato ognuno di noi, appassionati di sport e non. Per chi ama il pugilato, Ali è stato anche il percorso dal letto alla stanza dove era posizionata la televisione: rito collettivo nel cuore della notte per assistere ai suoi match, per ovvie ragioni di fuso ad orari improponibili per l'Italia. 

Ma anche coloro  ai quali del pugilato non frega assolutamente nulla, hanno saputo e sanno di Ali. Chi lo venerava, e chi non vedeva l'ora che qualcuno gli desse una lezione per quel suo modo linguacciuto di indispettire gli avversari. Show man sul ring e nella vita, perseverante ed ossessivo quando si trattava di raggiungere i propri obbiettivi. ''I want Holmes, I want Holmes''. Sapeva di non potercela fare, ma quante volte lo ha ripetuto prima di tentare, ormai trentottenne, l'ultima impresa impossibile, quando con le prime avvisaglie del morbo di Parkinson si illuse di spodestare dal trono il più giovane e forte rivale, quel Larry Holmes che in una straordinaria manifestazione di rispetto e paradossale affetto gli risparmiò una punizione pesantissima prima dell'inevitabile conclusione al decimo round. 

Show man anche nel capolavoro della sua carriera, nel 1974. Tutto lo Zaire, allora si chiamava così, ai suoi piedi. George Foreman, un gigante texano di potenza disumana, ma soggiogato dalla personalità del rivale: campione ridimensionato a sfidante, nero trasformato in amico dei bianchi, indesiderato inquilino dell'Africa Nera. Foreman arrivò a Kinshasa come un pugile che voleva conservare il proprio titolo, Ali come il liberatore di un intero continente. E tutti lo accolsero da re, la sua macchina solcava le strade polverose, e tra le nuvole i volti dei piccoli neri lanciavano il loro grido di implorazione. ''Ali boma ye'', ''Ali uccidilo''. ''George faceva male, ogni suo colpo qualche danno lo provocava sempre, ti spaccava un muscolo, ti incrinava qualche osso''. Ma lui seppe sopportare stoicamente, per otto round, poi zittì i detrattori, tornando a pungere come un ape e danzare come una farfalla, e per Foreman non ci fu scampo. 

Dovendo però scegliere però l'immagine dei settanta anni, individuiamo quella in cui lo show man già non c'era più. Il maledetto Parkinson ne aveva già spento i movimenti, ma non lo sguardo ad Atlanta nel 1996. Ultimo tedoforo, delegato ad accendere la torcia olimpica. No, niente show quella volta, ma probabilmente il round più bello di una meravigliosa carriera che si chiama vita: il coraggio di mostrarsi malato, un commovente tremolio, la sua fragilità di un uomo di fronte a quel mondo che aveva avuto in pugno. Da Atlanta ad ora sono passati altri sedici anni, il male non fa sconti. Lo dimostra l'ultima apparizione in pubblico, poco tempo fa, nell'ultimo saluto al più acerrimo rivale Joe Frazier, l'uomo che Alì in una leggendaria trilogia di sfide ha sofferto più di tutti. 'The Greates' e 'Smokin Joe', quanto si stavano vicendevolmente sulle scatole. Eppure dopo la battaglia di Manila, probabilmente nel match più duro di tutti i tempi, Ali commentò la vittoria con fair play, riconoscendo che se l'avversario non avesse abbandonato alla fine del quattordicesimo round, forse lui stesso non si sarebbe ripresentato sul ring. Ali e Frazier, fisici d'acciaio erosi dal tempo, anime indistruttibili. 


Tratto da: Repubblica.it

APPELLO GIÙ LE MANI DALL’ACQUA E DALLA DEMOCRAZIA!


Logo_ForumIl 12 e 13 giugno scorsi 26 milioni di donne e uomini hanno votato per l’affermazione dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e per la sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto.
Le stesse persone hanno votato anche la difesa dei servizi pubblici locali dalle strategie di privatizzazione: una grande e diffusa partecipazione popolare, che si è espressa in ogni territorio, dimostrando la grande vitalità democratica di una società in movimento e la capacità di attivare un nuovo rapporto tra cittadini e Stato attraverso la politica.
Il voto ha posto il nuovo linguaggio dei beni comuni e della partecipazione democratica come base fondamentale di un possibile nuovo modello sociale capace di rispondere alle drammatiche contraddizioni di una crisi economico-finanziaria sociale ed ecologica senza precedenti.
A questa straordinaria esperienza di democrazia il precedente Governo Berlusconi ha risposto con un attacco diretto al voto referendario, riproponendo le stesse norme abrogate con l’esclusione solo formale del servizio idrico integrato.
Adesso, utilizzando come espediente la precipitazione della crisi economico-finanziaria e del debito, il Governo guidato da Mario Monti si appresta a replicare ed approfondire tale attacco attraverso un decreto quadro sulle strategie di liberalizzazione che vuole intervenire direttamente anche sull’acqua, forse addirittura in parallelo ad un analogo provvedimento a livello di Unione Europea che segua la falsariga di quanto venne proposto anni addietro con la direttiva Bolkestein. In questo modo si vuole mettere all’angolo l’espressione democratica della maggioranza assoluta del popolo italiano, schiacciare ogni voce critica rispetto alla egemonia delle leggi di mercato ed evitare che il “contagio” si estenda fuori Italia.
Noi non ci stiamo.
L’acqua non è una merce, ma un bene comune che appartiene a tutti gli esseri viventi e a nessuno in maniera esclusiva, e tanto meno può essere affidata in gestione al mercato.
I beni comuni sono l’humus del legame sociale fra le persone e non merci per la speculazione finanziaria.
Ma sorge, a questo punto, una enorme e fondamentale questione che riguarda la democrazia: nessuna “esigenza” di qualsivoglia mercato può impunemente violare l’esito di una consultazione democratica, garantita dalla Costituzione, nella quale si è espressa senza equivoci la maggioranza assoluta del popolo italiano.
Chiediamo con determinazione al Governo Monti di interrompere da subito la strada intrapresa.
Chiediamo a tutti i partiti, a tutte le forze sociali e sindacali di prendere immediata posizione per il rispetto del voto democratico del popolo italiano.
Chiediamo alle donne e agli uomini di questo paese di sottoscrivere questo appello e di prepararsi alla mobilitazione per la difesa del voto referendario.

Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.

Clicca qui per firmare l'appello!


Tratto da: Acquabenecomune.org

venerdì 13 gennaio 2012

La civiltà dell’accoglienza


Dal 19 gennaio, quattro appuntamenti per un corso sull’accoglienza dei migranti

Sarà il 19 gennaio il primo appuntamento di un percorso formativo dedicato agli operatori degli enti pubblici, delle cooperative sociali e delle associazioni che si occupano a vario titolo di accoglienza dei migranti.

Quattro giovedì, dalle 9 alle 13, al Seminario Minore in via Solferino 25, a Parma.Si vuole contribuire alla costruzione di un sistema dove la capacità di accogliere divenga virtù civile del territorio.

Il corso considera in modo particolare la condizione dei richiedenti asilo e dei rifugiati che costituiscono una larga parte di coloro che sono accolti e cercano accoglienza.
Ecco come si articola:





·         Giovedì 19 gennaio:  L’accoglienza dei migranti forzati. Emergenza o sistema? 
Interverranno: Chiara Marchetti (Università di Milano), Elisa Floris (Provincia di Parma), Claudio Sambri (Protezione Civile ER), Teresa Serra (SIPEm ER) 
·         Giovedì 26 gennaio: La procedura di asilo in Italia. 
Interverranno Livio Cancelliere (ASGI), Marika Armento (Ciac), Ben Hammouda Lotfi (Voce Nuova Tunisia).
·         Giovedì 2 febbraio: I percorsi sociali e sanitari per una accoglienza integrata 
Interverranno Faissal Choroma (Spazio Salute Immigrati Ausl Parma), Paolo Merighi (Ciac), Adele Tonini (Coordinamento Ciac-Ausl)
·         Giovedì 9 Febbraio: Oltre l’emergenza
Interverranno: Maria Silvia Olivieri (Servizio Centrale dello SPRAR), Alessandro Fiorini (Progetto Emilia Romagna Terra d’Asilo), Michele Rossi (Ciac)
Per iscriversi al corso non è necessario compilare una scheda di iscrizione ma basta inviare una mail a g.sacchelli@forumsolidarieta.it indicando: nome e cognome, ente di appartenenza ed eventuale ruolo all’interno dello stesso, indirizzo e-mail, telefono. Entro il 13 gennaio
Per saperne di più:  Greta Sacchelli g.sacchelli@forumsolidarieta.it  0521.228330. 
L’iniziativa rientra nel progetto “La civiltà dell’accoglienza” che, a fronte del bisogno di ospitalità che si evidenzia in ambito nazionale e  locale, si rivolge alla cittadinanza per rilanciare il valore imprescindibile umano e civile dell’accoglienza. In particolare, si rivolge alle associazioni, agli enti locali, alle cooperative di solidarietà sociale, ai singoli cittadini per estendere la pratica dell’accoglienza e renderla costante nel tempo.  E’ la stessa Dichiarazione dei Diritti Umani a chiederci d’essere capaci di accogliere. Il progetto propone un’idea di accoglienza che parta dalla conoscenza della condizione delle persone ospitate, che metta in campo disponibilità, che sappia farsi sistema favorendo il dibattito su modelli organizzativi, coinvolgimento dei servizi e proposte di percorsi capaci di risposte integrate, qualificate ed efficaci verso le persone e pensata per tutti i migranti.
Il progetto è promosso dalle associazioni CIAC, Coordinamento Pace e Solidarietà, Solidarietà Muungano, Mwassi, Pane e vita, Perché no?, Pozzo di Sicar, SIPEm ER, Voce nuova Tunisia con la collaborazione di Forum Solidarietà e Caritas diocesana Parma.


Tratto da: Forumsolidarieta.it