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sabato 27 agosto 2011

Il campionato inizia: ma finirà?



di Giuliano Foschini e Marco Mensurati
In Italia sta per cominciare un campionato di calcio che non si sa come e se finirà. La questione non è sportiva. Ma giudiziaria, meglio criminale. Ci sono quattro procure italiane che in questo momento stanno indagando sulla regolarità delle stagioni appena concluse. E tre di queste istruttorie sono condotte da dai pm dell’antimafia. Sì perché i magistrati e i migliori investigatori di polizia, carabinieri e Finanza stanno scavando – ascoltando migliaia di intercettazioni telefoniche, ricostruendo flussi di denaro su conti protetti esteri, riempiendo pagine con le dichiarazioni dei pentiti – sui rapporti, spesso simbiotici, tra un pezzo del mondo del pallone e la associazioni mafiose. ‘Ndrangheta, camorra, così come le mafie slave e asiatiche hanno messo le mani sulla quinta azienda italiana, il calcio, lucrando sulle scommesse sportive, corrompendo giocatori e dirigenti, indirizzando i risultati sportivi dei campionati maggiori, compreso quelli di serie A.
La prima inchiesta a svelare il vaso di Pandora è stata quella della procura di Cremona che recentemente ha determinato i verdetti della giustizia sportiva: penalizzazione per l’Atalanta in serie A (con squalifica del suol capitano Cristiano Doni) e una raffica di punizioni tra serie B e serie C. Per i giudici sportivi, così come per i magistrati di Cremona, esisteva un’associazione a delinquere che truccava le partite per favorire gruppi di scommettitori. Il più attivo era quello dei bolognesi, che faceva capo all’ex centravanti della nazionale Giuseppe Signori, adesso radiato. Ora, questo gruppo è stato bollato dall’ambiente come una “mandria di sfigati”, un po’ come hanno fatto gli uomini del Pdl con la P3 di Flavio Carboni e Pasqualino Lombardi. I pm anche in questo caso, però, sono convinti che le cose non stiano esattamente così. Anzi. La convinzione nasce dal lavoro che in queste settimane sta svolgendo sotto traccia la squadra mobile di Cremona in collaborazione con il Servizio centrale operativo della Polizia. Analisi dei tabulati telefonici, di alcuni reperti sequestrati agli indagati (agendine e computer, soprattutto) e soprattutto dai controlli bancari. In sostanza stanno seguendo i soldi. E non mancano le sorprese.
A finanziare “questo gruppo di sfigati” c’è senza dubbio la criminalità organizzata serba che faceva riferimento al gruppo “degli zingari”, per citare alcune conversazioni telefoniche. Gli “zingari” sono soliti avvicinare i giocatori, anche di serie A, pagare loro 300mila euro (mentre le tariffe scendevano a 120mila per la B, 40-60mila per la C) e combinare le partite. I metodi sono standardizzati. E li ha raccontati Massimo Erodiani, il gestore di alcune ricevitorie di Pescara dove il gruppo andava giocare, nel suo interrogatorio con il procuratore capo di Cremona, Roberto Di Martino. Si parla di Genoa-Lecce, partita che doveva finire con tanti gol, “over”, ed effettivamente finirà poi con un rocambolesco 3-3. Il match interessava alla mafia serba che, tramite il portiere della Cremonese Marco Paoloni (anche lui radiato), cerca di contattare l’attaccante del Lecce, Daniele Corvia. Ora, Paoloni racconta di aver sempre millantato i contatti con il suo ex compagno nelle giovanili della Roma e di essersi spacciato per lui su Skype in più occasioni. La procura non gli crede completamente e in attesa di ricevere i risultati delle analisi tecniche ha iscritto Corvia nel registro degli indagati. Comunque, racconta Erodiani: “L’unico gruppo che era in grado di finanziare quella partita era quello degli “Zingari”, al costo di 200mila euro. La corruzione riguardava i soliti giocatori del Lecce”. Gli “zingari” sono un gruppo organizzato: muovono grandi quantità di denaro, spostano fino a otto milioni di euro su ogni partita, se sgarri fanno male (“avevamo paura uccidessero Paoloni” ammettono gli investigatori). Una realtà mafiosa attiva anche all’estero e già emersa nelle istruttorie della magistratura tedesca su risultati taroccati e puntate record. Ma non ci sono solo i serbi.
Al pallone italiano sono interessati i gruppi asiatici che entrano nel business tramite i bolognesi. Il sistema per scommettere è semplice, il più classico utilizzato dai riciclatori di denaro all’estero. In Asia c’è un emissario dei bolognesi che punta grandi cifre (lo scorso anno su un match di serie B sono stati giocati 12 milioni in un’ora) senza che venga spostato denaro. Provvede da solo e incassa da solo la vincita. Dall’Italia arrivano le imbeccate e c’è un uomo di collegamento. Per questo filone la procura di Cremona ha già un nome sul taccuino: Gigi Sartor, ex difensore e compagno di squadra di Signori a Bologna. Mentre sono cominciati gli accertamenti su una strana visita che lo scorso anno proprio Signori fece al campo di allenamento del Bologna (con tanto di chiacchierata con alcuni giocatori) insieme con un gruppo di asiatici: disse si trattava di giornalisti, non era vero. Ora si sta cercando di capire chi fossero.
Ma la criminalità di casa nostra non resta a guardare. E sarebbe entrata in campo da tempo. I magistrati di Cremona hanno trasmesso verbali e intercettazioni a due procure distrettuali antimafia: Bari e Napoli. In Puglia il punto di collegamento è Antonio Bellavista, ex capitano della squadra biancorossa, centrocampista dai piedi grezzi dal cervello assai svelto. Bellavista entra in contatto con il gruppo dei bolognesi e porta in dote qualche risultato di campionati minori e amici scommettitori pugliesi. Chi sono? La domanda se l’è posta il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati. E la risposta, che potrebbe venire formalizzata molto preso, sembra essere deflagrante. Bellavista è in contatto diretto con alcuni uomini vicinissimi al clan più spietato della mafia barese, quello dei Parisi. Più volte nelle intercettazioni compaiono alcuni dei fiduciari che gestiscono la cassa della famiglia: riciclatori professionisti che puntano forte sul calcio. E’ il caso dell’over di Bari-Livorno (incontro di Coppa Italia) o di alcune soffiate che arriverebbero direttamente dallo spogliatoio barese, come per il derby perso con il Lecce. I carabinieri del nucleo operativo hanno bussato nelle scorse settimane a una serie di ricevitorie di tutta Italia per recuperare alcune matrici di schedine vincenti.
A Bari c’è il clan Parisi, mentre a Napoli ci sono un po’ tutti. Ha fatto il giro del mondo la foto di Antonio Lo Russo, figlio del padrino Salvatore e ora latitante, a bordo campo durante Napoli-Parma del 2010. Non fu una partita qualsiasi. Il Napoli era in vantaggio per 2-1 nel primo tempo. Poi accadde qualcosa. “Una fonte confidenziale già giudicata attendibile – ricostruiscono i carabinieri in un’informativa inviata alla Procura – racconta che molte persone riconducibili ai clan Lo Russo e degli Scissionisti, durante l’intervallo tra primo e secondo tempo, hanno effettuato svariate scommesse con puntate piuttosto elevate sulla vittoria del Parma”. Non sbagliarono. Rientrato in campo il Napoli sembrava un’altra squadra, Fabio Quagliarella si fece espellere e il Parma ribaltò il risultato: vinse 3-2 escludendo il Napoli dalla Champions ma facendo incassare tanti soldi agli Scissionisti e agli uomini di Lo Russo. Ed era stato proprio il boss Salvatore Lo Russo, in cella dal 2007, a svelare qualche mese prima ai pm napoletani i retroscena degli interessi della camorra nel calcio scommesse, sin dai tempi di Maradona. Mentre un altro pentito, il cui nome rimani top secret, sta riempiendo pagine di verbali davanti al procuratore aggiunto Giovanni Melillo e ai pm Antonello Ardituro, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri. Il primo racconto risale allo scorso 15 giugno, al quale ne sono seguiti altri. Le partite nel mirino per il momento sono tre: Napoli-Parma, appunto, ma anche Sampdoria-Napoli 1-0, ultima del campionato 2009-2010 e Lecce-Napoli 2-1, terzultima giornata dello scorso campionato. Dopo averlo ascoltato, i magistrati hanno ordinato alcune perquisizioni: quella dell’ex calciatore del Chievo, Michele Cossato, e del giornalista di Sky, esperto di calciomercato e amico di molti calciatori del Napoli, Gianluca di Marzio, entrambi indagati. Il sospetto è sempre lo stesso: la camorra corrompe giocatori o compra informazioni sulle partite truccate per ragioni sportive (non è un caso che la maggior parte delle gare sospette si giochino al termine del campionato, quando i giochi sono fatti) per scommetterci, guadagnare e riciclare.
Nel business si sarebbe tuffata, in modo importante, anche la ‘Ndrangheta. Che un tempo gestiva i campionati minori al Sud mentre ora avrebbe fatto il grande salto puntando ad alcuni dei club più importanti in Italia. E’ quello a cui sta lavorando una procura antimafia del centro Italia che ha in mano intercettazioni, deposizioni e controlli incrociati su tabulati e conti correnti che dimostrerebbero come boss calabresi abbiano messo le mani su un giro di scommesse legate alla serie A (con la complicità di alcuni ex calciatori) e creato, con il sostegno di imprenditori insospettabili, società per ripulire i fondi riciclati. L’indagine è chiusa, presto potrebbero esserci grandi sorprese in questo campionato giocato in parallelo da pm e calciatori.

Tratto da: l’ Espresso del 23.08.11

Basta! La Padania non esiste. La nostra Repubblica è l’Italia, la nostra patria è il Mondo intero


Sabato 10 settembre è prevista l’ennesimo colpo di teatro di Bossi & C. teso a riaffermare una fantomatica Padania per distrarre l’attenzione dalla dura realtà di tutti i giorni che in molti viviamo e soprattutto dai pesanti sacrifici che, con la manovra economica, il Governo PDL_LEGA sta per scaricare sui lavoratori dipendenti, pensionati e famiglie.

Montecchio Maggiore dovrebbe diventare il palcoscenico del cosiddetto “Giro della Padania”, presentato come una gara ciclistica importante, altro non è che l’ennesimo tentativo di far passare in modo subdolo nell’immaginario collettivo l’esistenza di questa inesistente terra promessa, che secondo i leghisti risolverebbe i nostri problemi.
Per questo non si fanno scrupoli di usare, per bassi interessi di parte, per dividere, per ingannare i cittadini, uno sport nobile e popolare come il ciclismo il cui momento più significativo è invece proprio il Giro d’Italia che unisce, nel suo passaggio tutti i territori.
La Lega, che al nord si lancia contro “Roma ladrona” e tappezza le nostre strade con slogan come “paròni a casa nostra”, cerca di nascondere le sue importanti responsabilità di governo che durano da quasi un decennio. Il disastro economico e sociale che investe oggi l’intero paese, i provvedimenti di bilancio che strangolano i cittadini e gli enti locali (alla faccia del federalismo), il coro di chi criminalizza i cittadini che si ribellano alle imposizioni antidemocratiche, in Val di Susa come a Vicenza con il Dal Molin, C.I.S. di Montebello ecc. sono anche opera loro. Non basta più agitare la bandiera della Padania per lavarsi la coscienza e la reputazione.
Le responsabilità della Lega, i suoi insuccessi al governo, le sue clientele e nepotismi, la sua fame di potere e denaro stanno ormai diventando evidenti anche per sostenitori storici del carroccio e non serve distogliere l’attenzione attraverso l’idea di questa inesistente nazione padana, o individuando di volta in volta nuovi nemici su cui scaricare le colpe.
Una volta erano i terroni, da mandare in pasto ai leoni, poi i migranti, poi la cosiddetta ’Casta’ ma nella sostanza nulla è cambiato. Sono proprio loro che fanno parte della Casta; perchè dovrebbero cambiare? Si crea invece un capro espiatorio additando i deboli e gli ultimi, per nascondere l’incapacità di chi ha la responsabilità, la forza ed il potere per agire.
Esiste, per fortuna, un altro Veneto, tollerante e solidale, che vuole ricostruire un senso di comunità e solidarietà per affrontare la crisi, senza utilizzare le armi della paura e dell’esclusione, che non si fa ingannare da slogan vuoti e falsi, ma che intende lavorare giorno per giorno per ricreare una società aperta, inclusiva, giusta ed equa. Dalla palude in cui tutto il nostro Paese è immerso si può uscire solo con un enorme gesto di generosità e solidarietà tutti insieme.
Dobbiamo dire BASTA a questa mistificazione!
Per questo il 10 settembre saremo a Montecchio Maggiore, senza distinzione di provenienza, senza guardare allo stato sociale, alla carta d’identità o al permesso di soggiorno, perché quel giorno noi, cittadini del mondo, diremo chiaramente e a voce alta che LA PADANIA NON ESISTE, la nostra Repubblica è l’Italia e la nostra Patria è il Mondo Intero.
per sottoscrivere l'appello scrivi a comunicazione@nodalmolin.it

Tratto da: www.nodalmolin.it

lunedì 22 agosto 2011

Politica e pallone casta contro casta



di Alberto Piccinini
Per Calderoli i calciatori sono una «casta di viziati». Per Galliani sono «signorini». O meglio, lo sarebbero nel caso non volessero versare il loro contributo extra allo stato. Il tono è vagamente breriano. Vagamente.
Perché Brera prima che sugli abatini avrebbe puntato il dito sui «ricchi scemi», i presidenti di calcio e le loro follie. Certo quelli erano gli anni Sessanta, tutt’altro clima. Ma qualcuno sussurra che il messaggio di Galliani sia forte e chiaro soprattutto per i calciatori del Milan, protagonisti spesso inconsapevoli della politica italiana degli ultimi anni per tramite del loro Presidente. Pagate, o sono cavoli amari. Si parla di supertassa. Supertassa e calciatori. Supertassa e casta. Casta contro casta. C’è soltanto una categoria sociale potenzialmente più odiata dei politici, ogni volta che lo Stato, la crisi, la congiuntura, costringono i cittadini a mettere le mani nel portafoglio: i calciatori. In mutande. Loro in mutande. E noi cittadini, allora? Eccetera.
In questo, la sparata di Calderoli è abbastanza elementare. Capitò già all’epoca degli ultimi Mondiali un botta e risposta tra la Lega e la Nazionale sui «premi partita» e gli ingaggi. «E’ giusto – disse Calderoli – che anche i calciatori italiani partecipino dei sacrifici degli italiani di fronte alla crisi».
Il fiscalista Uckmar ha semplicemente spiegato l’altro giorno al Corriere che «se si trattasse un tributo autonomo non sarebbe coperto dal contratto stipulato tra calciatore e società, se invece si trattasse di un aggiunta all’aliquota Irpef saremmo nel regime dell’Irpef». Dunque, dovrebbero pagare la società. I calciatori, come si sa, sono lavoratori dipendenti. Tanto che fino a qualche giorno fa minacciavano di scioperare per il rinnovo del loro contratto. In alcuni casi, abbiamo appreso, gli accordi tra società e calciatore si spingono a considerare una retribuzione netta, lasciando tasse e imposte ai club. La palla, in questo caso, passerebbe ancora ai «ricchi scemi». E’ un altro dei grandi espedienti retorici del calcio, per chi frequenta la materia: «Non sono io che li ho chiesti – rispondono i calciatori a chi li accusa di irresponsabilità – sono loro che me li danno».
Non è chiaro davvero, tuttavia, da dove vengano le voci che vorrebbero i calciatori restii a mettere le mani nel loro portafoglio per il «contributo di solidarietà» imposto dalla manovra. Si tratterebbe, facendo i conti all’ingrosso, di circa 55 milioni di euro sugli 1,1 miliardi di stipendi corrisposti per la sola serie A. Non è poco.
E’ abbastanza probabile che le superstar, assistite da uno stuolo di agenti e commercialisti, non si interessino granchè della questione. Del resto il calcio ad alto livello sta diventando un mercato completamente globalizzato, i legami dei calciatori con le nazioni nelle quali risiedono sono sempre più labili. Come nel caso di Eto’o, si può andare a giocare nel Daghestan dall’oggi al domani per una tombola di soldi. E senza tradire nessuno. O quasi.
Altro sarebbe il problema – ha fatto notare tiepidamente l’Assocalciatori nella persona del suo presidente Damiano Tommasi – per i moltissimi che giocano nelle piccole squadre, o nelle categorie inferiori. «Nessun problema – ha ribattuto prontamente il ministro La Russa – Si ricorra al mutuo soccorso di coloro che guadagnano 10 milioni l’anno».
Casta contro casta, di nuovo. Come finirà? Il presidente della Lega calcio Maurizio Beretta ha chiesto ai calciatori «un segnale di responsabilità». Costerà poco, renderà bene. Fino alla prossima crisi.
tratto da: il Manifesto

ST. PAULI STA CON LE MONTAGNE – NO TAV!


Diseguito il testo della mail mandata dai sontenitori del St.Pauli ai comitati NoTav
Ehi,
siamo sostenitori del FC Sankt Pauli, una squadra di calcio di Amburgo, in Germania. Lo scorso fine settimana un nostro amico dall’ Italia ci ha informato circa il vostra lotta in Val di Susa e in particolare sul movimento NO TAV.
Proprio ora dopo gli incidenti con la polizia, all’inizio di questa settimana vogliamo esprimere la nostra solidarietà con la vostra lotta contro il progetto della tav.
Vi scriviamo questa mail per aggiungere almeno un po ‘di supporto al vostro movimento.
Mostreremo uno striscione allo stadio per quanto riguarda la vostra lotta contro il TAV alla nostra prima partita in casa tra due settimane. Lo consideriamo come una possibilità per rendere il vostro problema noto qui, perché in realtà, dal nostro punto di vista, ci sono pochissime notizie a riguardo nei media tedeschi.
Noi sosteniamo la vostra lotta contro il progetto e tutto ciò che ad essa  è connessa. Compresa la lotta contro il capitalismo ambientale, la repressione e  di chi  soffre l’occupazione delle forze di polizia e politici corrotti.
Vi auguriamo di riuscirci!
Saluti di solidarietà!
Tratto da: Sport alla rovescia

I clienti del fallimento


di Jacob Foggia
Uno spettacolo che invece di sollazzare gli astanti, di svuotargli la testa dai pensieri pesanti, li costringe alla noia, al diversivo attendista, è uno spettacolo fallimentare. Uno spettacolo che è diventato auto-referenziale, disinteressato alle sorti della parabola, al lancio del satellite progettato e spedito in orbita, alla sua traiettoria, è un non-spettacolo. Difficilmente attraente persino per i più acritici amanti del genere. E se una cosa del genere vale, può valere, per la tradizionale conferenza di fine anno del Governatore della Banca d’Italia – il tipo in giacca e cravatta richiama attorno a sé qualche decina di giornalisti coi taccuini, di cameraman e di inviati coi palmari e i pc portatili, e parla dei tassi d’interesse, delle prospettive finanziarie, delle ricadute di questo o quell’evento sulla vita del Paese – sicuramente non vale per i sorteggi dei calendari della Lega Pro. Perché nel primo caso il problema non è il tizio in giacca e cravatta. È l’addetto al palinsesto che decide di mandarlo in diretta sulla Rai, in pieno dicembre, finendo per sfinire una popolazione di tele-utenti con un non-fatto nato senza velleità d’intrattenimento. Ma nel secondo, per lo spettacolino da strapaese messo in piedi per fare da companatico al sorteggio, si può tranquillamente parlare di sostanzioso passo avanti sulla via del baratro. Verso la Damasco del grottesco.
Un tempo – e maledizione per quante volte si dovrà ancora dire “Un tempo”! – i calendari erano una cosa come un’altra. Una voce dal tg sportivo diceva che erano stati stilati e stop. Poi si passava alle immagini del casello di Melegnano, in diretta dalla centrale operativa delle Autostrade pubbliche. Elettrici eravamo noi, che aspettavamo di sapere le sorti della nostra squadra, ma nessun altro. Non c’era un’industria dello spettacolo incarognita a voler spremere fino al midollo il limone dell’astinenza estiva da calcio (se è per questo il massimo delle amichevoli, “un tempo”, erano Juventus-Villarperosa e Foggia-Lodigiani, ma questa è un’altra storia…). Invece: diretta dalla sala di un palazzo storico di Firenze, gonfaloni e omaggi, schiere di convenuti, ad imitare il parterre dei sorteggi mondiali o della Champion’s league. E dirigenti a iosa. Al volante di questa presuntuosa utilitaria chiamata Raisport, Amedeo Goria (che ricordavo cassato dallo star-system de noantri per quell’impeto onanista dinanzi ad una subrettina, ma forse è la mia memoria che fa cilecca), che si perde – come il Ciotti della Domenica sportiva di tanti e tanti anni orsono – nel magnificare il “cervello elettronico” del computer che “espellerà” (sic!) i nomi delle squadre e delle sfide. Roba che se i maya avessero evitato di estinguersi o di farsi sterminare, uno come Goria lo userebbero ancora oggi come clistere per i loro dopocena. Ma tant’è. Finito l’omaggio ad Artemio Franchi – e anche qui: chissà perché agli speculatori-devastatori-evasori del cosiddetto calcio moderno piace così tanto crogiolarsi tra le pieghe del bianco-e-nero d’epoca, immedesimarsi e fingere di rimpiangere i vecchi e buoni dirigenti di quando tutto era più facile “e si potevano mangiare anche le fragole” – si passa a mollare il microfono ad una sfilza di anziani intabarrati. Ognuno ripete le proprie teorie sul giuoco del pallone. Ma decido di non entrare nel contenuto. Non mi tange quel che dicono, le banalità trite e ritrite e già sentite. Mi interessa lo spettacolo, in sé. Non posso fare a meno di pensare: a chi piace tutto questo? Chi è quel mio simile che, sfaccendato e in semi-ferie in una mattinata d’agosto, decide di prepararsi un caffè o una bibita alla menta, schiantarsi rilassato sulla sdraio e godersi questa carrellata di star da ospizio? Quale deviato mentale trova, o anche ipoteticamente potrebbe trovare, vagamente spassoso o divertente o istruttivo questo scempio? Lo spettacolo del calcio – quello che impone tornei negli Usa e supercoppe italiane a Pechino – è un bulimico che ingoia noccioli di pesca. E pretende che noi siamo qui a guardarlo vomitare.
Ma a me interessa sapere dove esordirà il Foggia, dove l’Osservatorio ci vieterà di andare. E, nonostante la gente che dal web urla: “Che rottura di palle! Dateci i calendari e basta!”, mi soffermo ad ascoltare brandelli di disquisizioni colte. Ed era meglio per me se non l’avessi fatto. Capita, difatti, che un dirigente di Lega Pro descriva il futuro prossimo così. “Questo sarà l’anno del fair-play… Torniamo negli oratori, torniamo dove c’è gente sana…. Facciamola venire allo stadio, anche gratuitamente… Sono i clienti di domani, signori presidenti”. E spalanco gli occhi. Perché è raffinato, il cialtrone. E sentire i ministri della propaganda all’opera fa sempre uno strano effetto. Dunque: fair-play, quel mito in costruzione che dovrebbe, come un antidoto fiabesco, mitigare l’agonismo, la metafora bellica insita nel gioco. Quel bel concetto naufragato all’epoca dell’imposto terzo tempo. Quello spirito che a noialtri, bestie da spalti, sfugge. Perché si sa: il problema siamo noi, le nostre intemperanze, il nostro modo d’intendere la domenica che “nulla ha a che fare con il calcio”. Per questo, per riportare le immaginarie sacre famiglie sugli spalti, bisogna trovare nuova linfa.. Anime vergini da riempire di buoni propositi. Demoni a caccia di nuovi adepti. Gli oratori. Viene in mente Paolo Conte, l’atmosfera bucolica dei campetti circondati da mura e campanili, la polvere e il sudore dei bei tempi andati, che tanto affascinano i pescecani dell’oggi. Un mare dove pescare gente che non va allo stadio come alla guerra. Quelli siamo noi, secondo la vulgata. Noi, quelli estromessi perché incompatibili, quelli repressi perché facinorosi turbatori dell’ordine. In questo quadro, sembrano loro – gli sciacalli dei diritti televisivi e della Tessera obbligatoria – i soavi cultori dei bei tempi. Loro, quelli che hanno svenduto una passione popolare alle banche e ai network. Cercano gente sana, da fagocitare. Anche gratis. E mi sento d’improvviso lieto: lieto di non c’entrarci niente. Lieto nel carpire, dietro lo sguardo famelico, che non ce l’ha con me. Io non sono sano. Io, secondo questo bravo signore, rappresento tutto ciò che nel calcio è sporco. Tutto ciò che va estirpato. Provo una vaga fierezza. Che diventa esplicito orgoglio sul finale: “Sono i clienti di domani, signori presidenti”. I clienti. E, come spesso accade, il ministro della propaganda non ha compreso d’aver svelato i nostri antagonismi meglio, molto meglio che i nostri mille comunicati. Clienti vanno cercando. Clienti non saremo. Meglio bruti che consumatori di noi stessi.
Tratto da: Sport alla rovescia

Intervista a Javi Poves. Lascio il calcio per cambiare il presente.


Il calcio lo ha deluso perché pensa che sia “corrotto”, rinnega le banche, che ritiene tra le responsabili della crisi e dell disuguaglianza sociale. Javi Poves  è “l’indignato” tra i calciatori e sceglie di ritirarsi.
Quanto ti è costatala decisione?
-Il primo giorno mi sono chiesto se fosse la decisione giusta, ma con il tempo e con tutto quello che succede nel mondo ogni giorno sono arrivato alla determinazione che questa non era la mia vita. Più si conosce il calcio, più ti rendi conto che tutto è denaro; che è marcio, e allora l’illusione finisce.
- Hai anteposto i tuoi principi ad altre cose intorno a te?
Sì. Mi sono dato un tempo per vedere se si trattava di una idea passeggera, mi son detto che questo non sarebbe durato ma poi ho avuto offerte da altre squadre. A cosa mi serve guadagnare 1.000 euro invece di 800 se l’ ho ottenuto con la sofferenza di tante persone?
- Se lo Sporting avesse ritenuto opportuno tenerti, quale sarebbe stata la tua decisione?
Non credo che lo avrebbe fatto. All’inizio della scorsa stagione sapevo che non avrei giocato e poi stavo per risolvere il contratto. Con il mio modo di parlare, vestire e taglio di capelli, si vedeva che non appartenevo a questo mondo. Da quando iniziamo a dare i primi calci veniamo trattati come bestie: ci istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età è difficile tornare indietro. Finché la gente continuerà ad accettare il sistema così com’è, non sarà facile cambiare le cose. Io voglio vedere cosa succede nel mondo, andare nei Paesi più poveri per capire
- Preciado o i tuoi colleghi hanno mai commentato le tue idee?
Preciado (allenatore dello Sporting Gijon) ha detto che non pesava sulle sue scelte quali fossero le mie idee e come mi vestissi e che non mi giudicava per nulla. Ha sempre avuto un rapporto corretto con me , mi ha sempre tenuto in considerazione. E con i compagni e dirigenti non ho niente di personale contro nessuno, il problema è con il mondo del calcio. Sono molto grato a Sporting.
La sua motivazione del perché ha lasciato il calcio ha avuto grande impatto. Ha parlato di corruzione nel calcio, ha criticato le banche …
-Ci sono persone che mi hanno sostenuto e mi ha detto cose di valore, altri non sono tanto d’accordo, ma è normale. Se sei felice continua , altrimenti smetti..
- Pensi di poter essere un riferimento per molte persone?
Non mi piace essere un punto di riferimento per gli altri, voglio essere me stesso. Javi Poves non vovuole diventare un’icona, sono una persona come le altre ma voglio lottare contro la disuguaglianza. Voglio che tutti gli uomini siano uguali e che la gente smetta di discutere di cose banali ma didiscutesse di come migliorare le cose insieme . Ad oggi il mondo si stà preparando all’autodistruzione.
- Qual è la prima cosa che vorrebbe cambiare nel mondo in cui viviamo?
-La distribuzione del denaro e il sistema bancario. Sarebbe fondamentale, perché è da lì che tutto viene finanziato, come l’istruzione.
- Quali sono i tuoi progetti adesso?
‘Voglio fare qualcosa che mi fa sentire felice e socialmente utile. Anche studiare qui o all’estero.
- Come la tua famiglia ha ricevuto la notizia?
Mio padre è un malato di calcio e ora comincia, a suo modo, a vedere il mondo in modo differente.
- Pensi che giocatori come Ronaldo o Messi dovrebbero fare di più per la società?
Sì, sì, sì e radicalmente . Ci sono certi personaggi nel mondo, Pelé, Ronaldinho e Messi sono ambasciatori dell’Unicef ​​e questo per l’immagine può andare. Ma per incidere sulla vita reale di quelle persone che dicono di voler aiutare, devono fare altro. Devono muoversi in altro modo, essere coinvolti più profondamente. Ma quelli che mi sorprendono di più sono i giocatori che provengono dai Paesi del Terzo mondo. E ‘incredibile: la maggior parte arrivano da Paesi che soffrono, poi vengono qui, guadagnano quattro soldi e poi si credono dei re”. Bisogna che questo cambi.
tratta da : www.abc.es

Honduras dalla repressione alla collaborazione con gli ultras


Ci sono voluti oltre due anni di negoziati, ma le barras più violente nel calcio honduregno hanno firmato un accordo di pace per porre fine alle aggressione avvenute dentro e fuori degli stadi a livello nazionale negli ultimi dieci anni. L’operazione ruota attorno ai due gruppi principali : “La Ultrafiel”, convinti sostenitori del Club Deportivo Olimpia e “Los Revolucionarios”, che sostengono il  Motagua .
Dopo anni di ostilità, le due parti hanno unito le forze per fermare la violenza e la criminalità che rischiano di distruggere lo sport più popolare del paese.
Le parti hanno raggiunto un accordo con l’aiuto di numerose organizzazioni e istituzioni, tra cui il Programma Nazionale per la Reintegrazione Prevenzione, Riabilitazione e sociale (PNPRRS), la Polizia Nazionale (PN), l’Istituto Nazionale della Gioventù (INJ), alcune ONG e dei media .
“Abbiamo assunto un impegno d’onore per la pace e l’armonia”, recita il patto, che è stato firmato nel mese di maggio. “Noi, membri della Ultrafiel e  “La Revo” [Revolucionarios], abbiamo accettato di firmare un accordo di pace per garantire che la festa del gioco del calcio si disputi armoniosamente. Ci impegniamo a rispettare e rafforzare i nostri gruppi in forma pacifica.”
Si stima che almeno 10.000 giovani  di età compresa tra 12 e 25 sono membri di Barras bravas nella capitale  Tegucigalpa, il 65% dei quali appartenenti alla “Ultrafiel”, che supporta il Club Deportivo Olimpia, squadra più popolare e di successo del Paese.
Il Club Motagua,  secondo club più popolare del paese e rivale del Club Deportivo Olimpia, ha anche esso un grande seguito tra i giovani organizzati nel  famigerato gruppo “Los Revolucionarios”.
“Siamo sempre stati demonizzati come la feccia della società, ma nessuno ha  mai analizzato il lavoro che facciamo”, ha affermato Melvin Servellón, portavoce  “Ultrafiel” che sottolinea che il gruppo ha creato programmi di formazione e di fatto creato lavoro sociale grazie all’ impegno dei suoi membri nel corso degli ultimi due anni .
“Tutti però hanno sempre indicato noi come il peggio”
Servellón ha aggiunto: “Noi facciamo lavori socialmente utili, come pulire le strade, la riparazione di campi sportivi nei quartieri più poveri della città, e aiutare economicamente alcune case di cura.
Abbiamo anche organizzato  tornei di calcio per mantenere i più giovani lontano dalla droga e la criminalità. “
Iván Flores, portavoce del gruppo  “Los Revolucionarios”, ha invece evidenziato che il suo gruppo è spesso associato solo agli atti violenti nonostante il lavoro  nella comunità, che comprende scuole di pittura e festeggiare i compleanni dei bambini malati di cancro presso l’Ospedale Escuela a Tegucigalpa e altre iniziative benefiche che  passano inosservate .
A volte si lavora e nessuno  riconosce ciò che si fa “, ha detto. “E ‘vero che nei gruppi di barrabrava esistono dei violenti, ma tutti i media si concentrano solo su questi aspetti negativi».
Funzionari del governo invece hanno detto che si sono resi conto di dover utilizzare una nuova strategia  per porre fine alla violenza durante le partite di calcio circa tre anni fa, quando gli scontri tra le  barras bravas hanno  portato a sette morti in altrettanti giorni.
“A Tegucigalpa gli scontri dovuti al fanatismo per la squadra sono  stati “trasferiti” dallo stadio ai quartieri più poveri della città, sulla spinta di certi gruppi antisociali”, ha detto Gustavo Sánchez Velásquez, che ha un dottorato in Sociologia, “bande criminali spesso si infiltrano nelle barras per commettere crimini.
Il governo dell’Honduras ha deciso che il modo migliore per combattere la violenza delle Barras è quello di aiutare i propri membri, non arrestarli.
“Abbiamo offerto workshop, formazione e campagne di sensibilizzazione a questi giovani, e abbiamo avuto riscontri positivi da loro”,
Melvin Servellón riconosce che ci sono criminali all’interno de “La Ultrafiel”.
“Non possiamo controllare tutti e non è facile gestire 7.000 persone”, ha detto, “Il gruppo Ultrafiel non è nato a Las Lomas de Guijarro (la zona più ricca di  Tegucigalpa), ma è ben radicato in ciascuno dei quartieri poveri della capitale, dove la violenza avviene ogni giorno.E ‘logico che ci saranno ancora atti criminali, ma lavoriamo per evitarli. “
Juan Robles, uno dei leader di Los Revolucionarios, ha aggiunto che il suo gruppo ha la stessa filosofia.
“Noi non apparteniamo a bande. Siamo considerati criminali solo perché sosteniamo una squadra. Anche se sappiamo che esistono persone che si infiltrano nel nostro gruppo “, ha detto. “Se li identifichiamo verranno espulsi.”
Fonte: Infosurhoy.com

Javi Poves. Lascio il calcio professionistico è solo denaro e corruzione


di Garbat
Il giovane calciatore spagnolo si dice disgustato dal mondo del pallone e preferisce allontanarsene, con una scelta e motivazioni che raramente si trovano in un calciatore o sportivo.
Javi ha solo 24 anni, ma del calcio si è già stufato. Sia chiaro, però: non si tratta del classico viziato che ha bisogno di essere “gestito” o del genio incompreso che vorrebbe più spazio e più soldi. Al contrario, stiamo parlando di un giocatore che si è stancato delle basi su cui si fonda il mondo calcistico e di tutte le implicazioni nell’appartenere allo star system.
Uscito dalla cantera dell’Atlético de Madrid, passa poi dalle giovanili del Rayo Vallecano e per altri club minori come Las Rozas e Navalcarnero, ha poi l’occasione di debuttare nel massimo campionato spagnolo nello Sporting Gijon contro l’Hércules.
Sorprende subito il suo club con due richieste fuori dall’ordinario. La prima quella di sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie, perché non voleva che si speculasse sul suo denaro, la seconda quella di poter restituire l’automobile che il club gli aveva regalato: lo turbava molto l’idea di essere una persona sola e di possedere invece due vetture.
Alla fine il momento della svolta, accompagnato da parole durissime. “Ciò che si vede da dentro chiarisce molto: il calcio professionistico è solo denaro e corruzione. E’ capitalismo, e il capitalismo è morte. Non voglio stare in un sistema che si basa su ciò che guadagna la gente grazie alla morte di altri in Sudamerica, Africa o Asia”.
E continua:”A che mi serve guadagnare 1000 € invece di 800, se sono macchiati di sangue e se si ottengono con la sofferenza e la morte di molta gente? La fortuna di questa parte del mondo è la disgrazia del resto. Ciò che si dovrebbe fare è andare in ogni banca, bruciarla e tagliare teste. Antisistema o anarchico? Non so ciò che sono, so solo che non voglio prostituirmi come fa il 99% della gente”, spiega, raccontando anche tra i progetti futuri c’è quello di studiare storia all’università o di trasferirsi in una delle parti povere del pianeta. “voglio conoscere veramente il mondo e vedere quello che c’è”, conclude.
Questa decisione drastica suona decisamente strana per molti, soprattutto per chi invece avrebbe voluto essere al suo posto, ma è una scelta di coerenza e coraggio di chi ha la consapevolezza che il mondo non corre dietro al pallone.
Tratto da: Sport alla rovescia

martedì 9 agosto 2011

Caro ritiro, quanto mi costi: ecco chi paga per i club.



                                                                                                                                                                                                                                                         

Comuni, Apt e sponsor sempre più spesso si sobbarcano le spese dei ritiri estivi dei grandi club di Serie A, ma anche serie cadetta e LegaPro non “costano” meno di 100 mila euro. Un circolo vizioso che spesso ricade sui portafogli dei tifosi

Caro ritiro, quanto mi costi. A sospirare non sono, come si potrebbe pensare, le società sportive, bensì i Comuni, le Aziende di Promozione Turistica, gli sponsor. Dal cosiddetto “top club” scendendo fino alle squadre di B e LegaPro, infatti, quasi nessuno sborsa di tasca propria i soldi dell’albergo o del pullman, che sempre più spesso sono offerti alle squadre assieme a cesti di prodotti tipici o centinaia di migliaia di euro. Ma come si organizza un ritiro? Da aprile/maggio le società compiono svariati sopralluoghi per assicurarsi strutture alberghiere e impianti sportivi in linea con le esigenze dello staff e dei giocatori, senza dimenticare l’importanza che hanno logistica e trasporti.
Salvo rari casi come quello dei campioni d’Italia del Milan, che da anni si ritrova a Milanello pur non disdegnando qualche remunerativa trasferta negli States o a Dubai, le grandi squadre scelgono il Trentino come sede del proprio “ritiro estivo”. A organizzare questi periodi di preparazione è la società Trentino Marketing, che riceve le richieste provenienti anche da club stranieri e si premura di contattare le singole Apt e i Comuni che potrebbero essere interessati. Il luogo più frequentato negli anni è stato ed è tutt’ora sicuramente Pinzolo. In principio fu il Brescia esattamente 35 anni fa, seguito poi, tra le altre, da squadre come Milan, Fiorentina, Torino, Roma e Juventus, dal 2006 al 2010. Quest’anno è stata la volta dell’Inter di Gasperini. Nei 13 giorni di ritiro, costati a Comune e sponsor vari mezzo milione di euro, spesi in ospitalità, gestione dei campi, allestimenti in sala stampa e nelle vie del paese, la società nerazzurra ha permesso il rientro (e non solo) dei soldi investiti grazie a numeri esorbitanti: 100 mila presenze durante il ritiro, 60 mila posti letto esauriti, quasi 9 mila panini venduti nei bar, quintuplicati gli incassi degli esercenti di Pinzolo rispetto a un anno fa. Dal canto suo la società di Moratti ha di che gioire degli incassi derivanti dalle vendite all’Inter Store allestito nel periodo del ritiro: 50 mila visite che hanno fruttato circa 14 mila scontrini battuti.
Dopo 5 anni a Pinzolo, la Juventus ha invece optato per Bardonecchia, a un tiro di schioppo da casa. Identità territoriale, certo, molto caldeggiata dalla Regione Piemonte, ma anche i 2 milioni versati nelle casse bianconere dalla Regione stessa e dai due Comuni toccati da Conte e i suoi, (Bardonecchia e Chiusa di Pesio) hanno avuto un peso nella scelta del luogo. Di contro, restare a Pinzolo avrebbe fruttato un conguaglio di 1,2 milioni di euro, presumibilmente finiti nelle casse interiste.
Folgaria è stata invece per la seconda metà di luglio la sede del ritiro del Padova, Serie Bwin, che succede al Napoli di De Laurentiis, trasferitosi a Dimaro dopo aver regalato a Folgaria il record di visitatori nel luglio 2010. Un club della serie cadetta, ci informano, garantisce un ritorno d’immagine, più che di costi, anche a detta degli esercenti locali. L’ospitalità è, anche, un cesto di prodotti tipici offerto a giocatori e staff. Un modo per far conoscere i canederli anche in Veneto…
Non per tutti essere scelti come sede di un ritiro si rivela, col tempo, una fortuna. E’ il caso di Santa Cristina in Val Gardena: “La serie A ha costi spropositati” ci spiegano all’Apt, che ha ospitato negli anni Lazio e Cagliari. “Per un top club il Comune contribuiva con alloggi, servizi come il trasferimento verso gli aeroporti per le amichevoli, lavanderia, strutture sportive. Si parla di una spesa media di 150 euro a testa, per uno staff che arriva anche a 35 persone che mediamente si fermano due o, più spesso, 3 settimane: si arriva presto a una spesa di oltre 100 mila euro. Albergatori e ristoratori non notano grandi cambiamenti da un anno con l’altro, che vengano ospitate squadre di Serie A o meno. Quest’anno eravamo stati in un primo momento contattati dal Napoli, ma avevano richieste esagerate per quanto riguarda le strutture alberghiere e non se n’è fatto nulla. Dallo scorso anno ospitiamo lo Spezia e ne siamo felici, è un club di LegaPro con grandi ambizioni”.
Insomma, le spese derivanti dall’organizzazione e dalla gestione di un ritiro estivo sono alte e in molti casi il circolo vizioso finisce col ricadere sui tifosi, specialmente quelli dei grandi club internazionali, costretti a spendere decine di euro per assistere alle amichevoli giocate contro rappresentative locali senza nemmeno sfoggiare le divise da gioco ufficiali. Già acquistabili nei negozi, anche online, a non meno di 70 euro.
     fonte : sky.it

martedì 2 agosto 2011

Rio, verso Mondiali e Olimpiadi si comincia dalle macerie.#1

di Stella Spinelli
In vista di Mondiali e Olimpiadi, la capitale carioca demolisce oltre 3000 case delle favelas, costringendo la gente ad andarsene lontano dal cuore cittadino
Oltre tremila case da demolire per far posto a Mondiali e Olimpiadi. È quanto stanno facendo le autorità di Rio de Janeiroper ripulire la città e far sì che sia pronta per i grandi eventi: Mondiali di Calcio del 2014 e Olimpiadi del 2016. Peccato che tutto questo comporti lo sfollamento forzato di migliaia di famiglie povere e disagiate, che in cambio avranno pochi spiccioli e il ben servito. Ottomila reais, l’equivalente di 5mila dollari, è il risarcimento previsto per coloro che dalla sera alla mattina si ritrovano senza casa, senza quartiere, senza una vita. Ottomila reais quando per avere una nuova casa ce ne vogliono almeno quattro volte tanto. Per non parlare dei disagi che un assegno con cifre e scritte può provocare in famiglie dove nessun adulto è capace né di leggere né di scrivere. E la storia di Berenice Maria De Neve la dice lunga.
Un giorno di maggio è stata convocata dal Comune, nel centro della città, a più di un’ora di autobus dalla sua favela. Lì l’avvertono che la sua casa è fra quelle da demolire e che in cambio le daranno un bell’assegno. Quando rientra, ritrova soltanto un cumulo di macerie. Nemmeno il tempo di svuotarla. “Sono arrivati e l’hanno abbattuta. Distruggendo tutto, il mio tavolo, il mio divano, il mio armadio pieno della mia roba. E quell’assegno! Ho avuto una terribile esperienza nel ercare di cambiarlo perché non so leggere né scrivere”, racconta la donna disperata a BbcMundo. La sua casa è una delle mille demolite in quel quartiere dove Berenice e la sua famiglia vivevano da otto anni e dove adesso dovrà passare un’autostrada gigantesca, per supplire alla carenza di infrastrutture tipica del Brasile.
Nonostante questa politica di allontanare il più possibile i poveri da Rio, costi quel che costi, sia stata criticata sia dal relatore speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che da Amnesty Internacional, le autorità insistono nel dire che stanno trattando la gente nella forma più giusta possibile.
Secondo l’urbanista Luis Borges Ferreira, con la scusa di Mondiali e Olimpiadi, c’è una corsa a costruire nuove abitazioni in quartieri da sempre poveri per crearne nuovi che siano adatti alla crescente classe media, frutto della potente crescita economica brasiliana.
Intanto, fra coloro che come Berenice sono rimasti senza nulla, c’è chi è stato ripagato con una nuova abitazione a Campo Grande, a un’ora e mezza dal centro, nel nulla più assoluto. Le case però sono soltanto ottocento e gli altri si arrangiano. Lei infatti sta vivendo fra le rovine vicino a dove abitava prima, con tutto intorno acqua stagnante e la paura del dengue.
Cleyton Martins, un cameriere di 27 anni che è stato spostato con sua figlia e sua madre nel nuovo quartiere, è comunque molto preoccupato: “La casa dove sto vivendo ora è migliore di quella che avevo – ammette a BbcMundo- ma non ci sono negozi, non ci sono posti dove far giocare i bambini e siamo molto lontani dalla città”. Niente ospedali nei dintorni, né farmacie, nessun tipo di servizio.
Per il consigliere Eliomar Coelho la maniera con la quale le autorità stanno trattando i poveri è “criminale”, dato che usano la Coppa del Mondo e le Olimpiadi come pretesto per appropriarsi della terra e far fare grandi affari agli impresari edili: “E’ una totale violazione dei diritti umani”
tratto da: peacereporter.it