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sabato 14 aprile 2012

Giovanile Rimini


Di Roberto Terra 
Roberto Renzi e Aziz sono rispettivamente l’allenatore-factotum ed una giovane promessa della “Giovanile Rimini”, squadra di calcio che milita in seconda categoria FIGC, passata, suo malgrado, alle luci della ribalta non perché la sua rosa multietnica è un esempio virtuoso di integrazione e tanto meno perché lo scorso anno, oltre a vincere il campionato, ha vinto la Coppa Disciplina.
La ribalta non è arrivata neanche perché uno dei suoi giovani talenti è stato acquistato da un top-club, ma semplicemente perché, tre settimane fa, società e giocatori, di comune accordo, hanno deciso di ritirarsi dal campionato. I motivi che hanno portato a questa scelta sofferta sono molteplici e hanno fatto si che il vulcanico allenatore, Renzi, e i suoi ragazzi, gettassero la spugna. Questa è una storia di razzismo ma non solo, di ignoranza a volte mal celata e soprattutto di diritti negati ed indifferenza, ancora una volta. Lo sfondo è una benestante città romagnola, Rimini, tanto luccicante l’estate quanto noiosa ed indifferente a tutto ciò che accade, il resto dell’anno, tronfia del suo benessere tanto da mal sopportare chi, tra mille difficoltà e tanto sudore, voglia sedersi al suo banchetto. Anche il tardivo tentativo dell’Assessore allo sport, ex noto giocatore locale di Pallamano, non è riuscito a far tornare la società sui suoi passi.
Renzi, con i suoi modi tipici e irriverenti del buon romagnolo, ci accoglie, in un caldo pomeriggio di fine marzo, nel suo ben curato centro sportivo, a due passi dalla stazione centrale. Qui ci racconta un po’ la storia di questa società: inizialmente, di migranti, non ce n’era neanche uno, è stato il tempo e la posizione, dietro la stazione, in un quartiere multietnico a scrivere questa storia. Il primo “straniero” è stato un giovane studente giapponese con grande passione per il calcio che abitava a due passi da lì, poi man mano, altri ragazzi, ivoriani, senegalesi si sono affacciati al centro sportivo e non se ne sono più andati.
Oggi in una rosa di 24 giocatori, solo 2 sono italiani, gli altri arrivano da ogni angolo del mondo, dal continente africano soprattutto. Insomma, una bella storia di integrazione e socialità, ma soprattutto di passione per il calcio. La maggior parte di questi ragazzi, tutti regolarmente residenti in Italia, vivono facendo lavori di fatica, chi il muratore, chi l’operaio, ma nonostante questo, quattro volte a settimana, tolgono la tuta da lavoro , vestono le casacche, infilano gli scarpini con i tacchetti e scendono in campo ad allenarsi, per amore di questo sport ma anche per quel romantico sogno, che da ragazzini tutti abbiamo cullato, di farcela,di sfondare,di diventare professionista ed abbandonare fatica e stenti e poter vivere agiatamente di calcio, di passione.
Ci sarebbero tutti gli elementi per una storia a lieto fine, ma come ci racconta Renzi, la realtà, anche nel calcio, è più infima. Di idioti, sparsi lungo le tribune dei campi che avrebbero calcato, erano certi di trovarne, ma anche in campo, speravano di no. Invece sono numerosi gli episodi di calciatori avversari, oltre che di tifosi, che lungo tutti i 90 minuti hanno insultato, provocato, sbeffeggiato i giovani atleti e perfino anche qualche arbitro ha pensato bene di dare il meglio di sé. Addirittura, una domenica, un direttore di gara, ha pensato bene di chiamare la polizia per controllare i documenti ai ragazzi della squadra, temendo (e forse sperando?) di avere davanti qualche “pericolosissimo irregolare”.Risultato: partita persa a tavolino, perché le operazioni sono state lunghe, nessun irregolare scovato, ma intanto il buio è sceso sul campo di via Roma ed il direttore di gara ha dovuto sospendere la partita e decretare la sconfitta d’ufficio della Giovanile.
Le volte in cui, invece, l’arbitro di turno, non ha accettato in distinta i giocatori che si presentavano con la copia del documento d’identità, non si contano. Senza sapere e neanche immaginare, cosa significhi e quanto sia importante, per un migrante preservare e non perdere il proprio documento, unico accesso ai quei diritti minimi che posseggono. Pena sarebbero iter burocratici lunghissimi e costosissimi per riaverlo, nella migliore delle ipotesi, l’espulsione o il finire rinchiusi in un CIE, quella peggiore.
Altro aspetto drammatico della vicenda,poi, è il ruolo della federazione e della sua mancanza totale di tutela per un’esperienza così rara ed importante nel calcio dei nostri giorni. Una Federazione sorda e superficiale, che a parole rifiuta il razzismo ma che con i suoi atteggiamenti volti a sminuire l’accaduto a semplici problemi societari, finisce per essere connivente e in qualche modo mandante di quello che è accaduto.
Questo a partire dalla difficoltà con cui le società possono tesserare stranieri, specialmente extracomunitari: sfilze di documenti, raccomandate, soldi e pratiche infinite che rendono difficoltoso per le società tesserare atleti stranieri, negando l’accesso allo sport più praticato al mondo a tantissimi ragazzi. Renzi lo sa bene, avendone avuti tanti di questi ragazzi nelle sue fila e avendo vissuto in prima persona le difficoltà e l’inciviltà di questa burocrazia.
Ora, mettete insieme gli insulti sul campo e sugli spalti quasi tutte le domeniche, metteteci degli arbitri che non ti tutelano e che anzi, ti guardano con sospetto,metteteci una federazione immobile e che ti ostacola con le sue regole fuori tempo e storia e la frittata è fatta. Un bell’esempio di integrazione, di passione, di antirazzismo vero e non parlato sceglie di fermarsi, di dire stop, di non scendere più in campo. Troppa stanchezza, troppi mulini a vento contro cui combattere, troppa superficialità ed ignoranza intorno. E allora basta,il calcio non è questo, non ne vale la pena. Allora ci si continua ad allenare, tutti insieme, contenti anche dopo una giornata stancante di lavoro, con magari tante bollette da pagare, con la propria famiglia e la propria terra distante migliaia di chilometri, per continuare a respirare la vera essenza del calcio,:il pallone che rotola sull’erba, sperando di saltare l’avversario e trovarsi davanti al portiere, pronto a segnare per poter continuare a sperare in quel sogno di farcela, di sfondare e di gridare agli avversari, ai tifosi, alla federazione: “GIOCO ANCH’IO!”.

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