Mancano ormai poche
settimane alla sentenza della CorteEuropea dei diritti umani(Cedu) chiamata a giudicare l'Italia per il
respingimento in Libia di 24 rifugiati politici eritrei e somali nel maggio
2009. Da due anni in molti si chiedono se una condanna della Cedu sara'
sufficiente a far cambiare le politiche italiane ed europee nel Mediterraneo.
Una prima risposta c'e' gia' ed e' delle peggiori. Me l'ha data il primo
ministro italiano Mario Monti ieri mattina a Tripoli, durante la conferenza
stampa con il capo del governo libico Al Kibb. "Mi sembra prematuro
ipotizzare qualsiasi tipo di cambiamento delle politiche italiane di contrasto
all'immigrazione clandestina, tuttavia il rispetto dei diritti umani rimane una
priorita' del governo italiano". Un elegante giro di parole per dire che
il nuovo corso delle politiche italiane in frontiera seguira' il solco scavato
dai Maroni e dai Berlusconi, e prima di loro dai Prodi e dagli Amato. Finita la
guerra in Libia, l'Italia continuera' a respingere in Libia le persone fermate
in acque internazionali. E Finmeccanica riprendera' quanto prima la costruzione
del sistema elettronico di sorveglianza delle frontiere sud della Libia. Per
adesso le traversate del Canale di Sicilia sono ferme da agosto, da quando con
la liberazione di Tripoli hanno smesso di operare le milizie di Gheddafi che si
occupavano degli imbarchi. Tuttavia la settimana scorsa un gruppo di circa 200
somali ha preso il largo da un tratto di costa tra Khums e Misrata, compresi 55dispersi in mare in un naufragio. E' il segno che le partenze per
l'Italia potrebbero ricominciare. E con esse i respingimenti verso la Libia. Il
che desta la massima preoccupazione anche nella Libia del post dittatura.
Poco importa se la Libia di oggi e' decisamente migliore della Libia di Gheddafi, e si avvia alla costruzione di un solido stato di diritto. E poco importa se la maggior parte dei giovani che tentano di raggiungere Lampedusa non sono rifugiati politici ma ragazzi come noi in cerca di un futuro migliore. Perche' se anche un giorno gli standard di detenzione in Libia superassero quelli italiani, e se anche un giorno a bordo di quelle barche non ci fosse nemmeno un rifugiato, i respingimenti in mare rimarrebbero comunque una pratica da condannare.
Perche' nel villaggio globale del 2012, dove mobilita' significa potere e identita', l'ipotesi della criminalizzazione della circolazione nel pianeta e' quasi blasfema. La liberta' personale e' un diritto inviolabile, di cui non si puo' essere privati se non per aver commesso dei reati penali. E viaggiare non e' e non puo' essere un reato. Viaggiare non e' una concessione che i potenti possono fare ai piu' disperati in nome del loro spirito caritatevole e in memoria di vecchie carte di diritto sepolte sotto la polvere. Non serve essere stati torturati in carcere o fuggire da una guerra per avere diritto a spostare piu' in la' il proprio sguardo. A maggiore ragione in un mondo globalizzato. Soprattutto visto che la liberta' di circolazione, dove applicata ha dato ottimi risultati.
Parlo dell'esperienza con l'Europa orientale. L'Unione europea ha eliminato i visti e liberalizzato la circolazione con i cittadini di Romania, Polonia, Bulgaria, Slovacchia, Montenegro, Albania... Perche' non fare altrettanto con i paesi del sud? Se i governi europei cercano soluzioni, sperimentino nuove forme di mobilita' attraverso la semplificazione dei visti e il sostegno della mobilita' anche con i paesi mediterranei e africani, anziche' continuando a finanziare nuove galere dove arrestare chi prova a cercare se stesso oltre il proprio orizzonte.
Poco importa se la Libia di oggi e' decisamente migliore della Libia di Gheddafi, e si avvia alla costruzione di un solido stato di diritto. E poco importa se la maggior parte dei giovani che tentano di raggiungere Lampedusa non sono rifugiati politici ma ragazzi come noi in cerca di un futuro migliore. Perche' se anche un giorno gli standard di detenzione in Libia superassero quelli italiani, e se anche un giorno a bordo di quelle barche non ci fosse nemmeno un rifugiato, i respingimenti in mare rimarrebbero comunque una pratica da condannare.
Perche' nel villaggio globale del 2012, dove mobilita' significa potere e identita', l'ipotesi della criminalizzazione della circolazione nel pianeta e' quasi blasfema. La liberta' personale e' un diritto inviolabile, di cui non si puo' essere privati se non per aver commesso dei reati penali. E viaggiare non e' e non puo' essere un reato. Viaggiare non e' una concessione che i potenti possono fare ai piu' disperati in nome del loro spirito caritatevole e in memoria di vecchie carte di diritto sepolte sotto la polvere. Non serve essere stati torturati in carcere o fuggire da una guerra per avere diritto a spostare piu' in la' il proprio sguardo. A maggiore ragione in un mondo globalizzato. Soprattutto visto che la liberta' di circolazione, dove applicata ha dato ottimi risultati.
Parlo dell'esperienza con l'Europa orientale. L'Unione europea ha eliminato i visti e liberalizzato la circolazione con i cittadini di Romania, Polonia, Bulgaria, Slovacchia, Montenegro, Albania... Perche' non fare altrettanto con i paesi del sud? Se i governi europei cercano soluzioni, sperimentino nuove forme di mobilita' attraverso la semplificazione dei visti e il sostegno della mobilita' anche con i paesi mediterranei e africani, anziche' continuando a finanziare nuove galere dove arrestare chi prova a cercare se stesso oltre il proprio orizzonte.
Tratto da: Fortress Europe
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