Cerca nel blog

giovedì 7 giugno 2012

Zemanlandia: una formalità, o una questione di qualità?


ZemanE' una questione di qualità,
o una formalità,
non ricordo più bene:
una formalità...
C.C.C.P.Io sto bene
Non ho sfidato - bambino - il sole dei pomeriggi d'estate giocando a calcio nei giardini vicino a casa di mia nonna, e non mi sono preso - adulto - la pioggia e la neve che spesso accompagnano le partite dei tornei di calcetto a gennaio, e non ho fatto il bagno nella fontana della Stazione per festeggiare la vittoria ai Mondiali, e non ho guardato cento volte il Maradona di Kusturica, perché un centinaio? un migliaio? un intero sistema? di stronzi mi portasse via il gioco più bello.

Da piccolo ero "gobbo". Ebbene sì, juventino: proprio quando il riccioluto Vialli Viallipassava dalla Sampdoria alla Juve e in un anno raddoppiava la muscolatura e perdeva tutti i capelli, e poi Davids inaugurava la serie dei calciatori colpiti da glaucoma, e il direttore sportivo Moggi comprava calciatori, arbitri e partite con "offerte che non si possono rifiutare", e il medico Agricola veniva assolto nel processo per doping solo perché aveva somministrato ai calciatori sostanze dopanti non ancora incluse nell'elenco dei farmaci proibiti.
E mi ricordo una, una sola voce levarsi contro tutto quello schifo, di cui la Juve era solo il caso più emblematico. Una sola voce era dalla mia parte - bambino che giocava, e guardava le partite in tv, e ci credeva fermamente, e non poteva ancora capire. Era una voce sommessa, riscaldata dal fumo di mille sigarette, con un inconfondibile accento mitteleuropeo. Una voce che danzava abilmente col silenzio in lunghe, "celentanesche" pause: Il calcio deve uscire dalle farmacie, nel nostro ambiente girano troppi farmaci (..). La grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo, c'è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi, diceva. E poi: Il calcio, oggi, è sempre più un'industria e sempre meno un gioco. E ancora: Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti. Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente, parole davvero inaudite, in un calcio sempre più stuprato dal capitalismo, sfregiato dalla mafia, e pronto a genuflettersi di fronte ai "sedicenti vincenti".
Era la voce di Zdenek Zeman.
... come decidere di radersi i capelli,
di eliminare il caffè, le sigarette,
di farla finita con qualcuno o qualcosa,
una formalità...
C.C.C.P.Io sto bene
Zeman è tornato in questi giorni sulla panchina della Roma, dopo che ne era stato cacciato nel 1999, proprio quando il suo scontro con il "Sistema" era giunto al culmine, e c'era più di un sospetto sulla causa di una serie di errori arbitrali che avevano sistematicamente penalizzato la sua squadra.
Zeman a pescaraCi è tornato dopo una stagione trionfale a Pescara, squadra che lo aveva ingaggiato per centrare una salvezza tranquilla in Serie B, offrendo ai propri tifosi un calcio offensivo e spettacolare, e per valorizzare le giovani promesse - questi i marchi di fabbrica del tecnico boemo - , e che ha invece finito per vincere il campionato, contro ogni pronostico, realizzando qualcosa come 90 goal quando il secondo miglior attacco è stato quello della Reggina, fermo a quota 63.
Nei 13 anni intercorsi un susseguirsi di ingaggi ed esoneri, soprattutto in serie B e in piazze di importanza secondaria. Perché?
Molti dei giornalisti sportivi - che oggi esaltano il ritorno di Zeman alla Roma, nella speranza che questo basti a ridare credibilità al sistema che per anni li ha lautamente sfamati, e che hanno contribuito generosamente a distruggere - sostengono che il lungo purgatorio sia stato dovuto alle prese di posizione anti-sistema di Zeman, che ne hanno fatto un personaggio scomodo, un rischio troppo grosso da correre per un grande club. Questo è senz'altro vero, ma forse non è tutto. Nel 2006 lo scandalo Calciopoli ha spazzato via i più acerrimi nemici di Zeman, eppure sono passati altri sei anni prima che potesse tornare nel calcio che conta. C'è qualcosa di più profondo sotto...
... una formalità,
o una questione di qualità?
C.C.C.P.Io sto bene
A partire almeno dagli anni '70, due opposte filosofie di gioco si sono sfidate sui campi di calcio. Tanti e diversi ne sono stati gli interpreti, più o meno fedeli. Molteplici sono state le digressioni, le variazioni sul tema, le contaminazioni. Un po' come se parlassimo di generi musicali, per capirsi.
Esse possono essere sintetizzate in molti modi diversi, ma credo che uno dei più semplici, e dei più efficaci, sia il seguente: c'è chi punta a vincere subendo un goal in meno dell'avversario, e chi punta a vincere segnandone uno in più. Molto grossolanamente e impropriamente, potremmo indicare la prima come la scuola del "catenaccio e contropiede", la seconda come la scuola del "calcio totale". Entrambe le filosofie di gioco si sono enormemente evolute rispetto agli anni '70, ed oggi spesso viaggiano sotto mentite spoglie, assumono forme ibride difficilmente riconducibili all'archetipo. Ma talvolta si ripropongono con una scintillante purezza.
Gentile vs ZicoLa scuola del "catenaccio e contropiede" ha come elementi caratterizzanti il fatto di difendere con tutti gli uomini "dietro la linea della palla", mantenendo un assetto di grande compattezza tra i reparti: si invita l'avversario ad attaccare e "scoprirsi", e si cerca quindi di colpirlo in contropiede. I maestri di questo modo di giocare sono certamente gli italiani, cui esso ha regalato moltissimi trofei: tra gli ultimi, i mondiali di calcio vinti dall'Italia di Lippi nel 2006, e la Champions League vinta pochi giorni fa dal Chelsea, sotto la guida del quasi esordiente tecnico italo-svizzero Di Matteo. Altri grandi interpreti di questa filosofia sono Fabio Capello, Giovanni Trapattoni, il Ferguson degli ultimi tempi, e Josè Mourinho, uno degli allenatori più vincenti (purtroppo!) della storia del calcio, recente e non. Nonostante sia evidente che questa strategia si basa essenzialmente sull'opportunismo e sull'abilità nel distruggere il gioco degli avversari più che nel costruire il proprio, di per sé non ci sarebbe nulla di male: una delle caratteristiche che rende grande e popolare lo sport del calcio è il fatto che non oppone eccessive barriere "atletiche" o "tecniche", rispetto ad altri sport. Gli italiani, notoriamente un popolo di persone non molto alte né particolarmente dotate atleticamente, hanno potuto sopperire a questi limiti proprio adottando stili di gioco che ne esaltavano le caratteristiche di resistenza fisica e mentale, disciplina tattica e abnegazione: spesso nel calcio non vince il più forte, e i mondiali vinti dall'Italia nel 1982 e nel 2006, o le Champions vinte da Mourinho con il Porto e con l'Inter stanno lì a dimostrarlo. Le altre grandi tradizioni calcistiche che, per sommi capi, possono essere ricondotte in questa categoria sono quella tedesca e quella inglese.
Johan CruyffRibattezzare l'altra scuola come quella del "calcio totale" è certamente più improprio. Dovunque si esaltino qualità come la fantasia, la bellezza, l'ispirazione, la realtà appare certamente più variegata. Il "calcio totale" è stato, storicamente, un prodotto della scuola olandese, portato ai più alti livelli da interpreti quali il tecnico Rinus Michels e l'attaccante (e poi allenatore) Johann Cruyff negli anni '70, e che ha caratterizzato squadre come l'Ajax, il Barcellona (spesso fortemente popolato di olandesi) e la grande nazionale olandese passata alla storia come la "Arancia Meccanica". Certamente diverso è lo stile di gioco praticato tradizionalmente, ad esempio, dai brasiliani, ma per comodità li comprenderemo tutti nella stessa categoria. Possono appartenervi di diritto la maggior parte delle tradizioni calcistiche sudamericane, gli olandesi, e gli spagnoli. Grandi maestri di questa filosofia di gioco, in tempi più recenti, sono tra gli altri Arrigo Sacchi, Louis Van Gaal, Pep Guardiola, e il nostro Zdenek Zeman.
Essa si caratterizza per una ricerca spiccata del possesso palla, spesso anche del pressing a tutto campo, da un atteggiamento tattico estremamente votato all'attacco, nel tentativo di schiacciare l'avversario nella propria metà campo, di segnare il maggior numero di goal possibili e, punto fondamentale, di divertirsi e di divertire i tifosi. Preoccupazione, questa, del tutto estranea ai fautori della prima scuola, cui interessa soltanto il risultato, e che hanno nel tempo costruito un intero arsenale ideologico e retorico per giustificare quello che anch'essi riconoscono, senza ammetterlo, come un grosso limite in una competizione che dovrebbe essere anche divertimento e spettacolo. Recentemente Zeman ha dichiarato: È chiaro rischiare qualcosa, ma se fai 90 gol non ti preoccupi di quanti ne prendi. La fase difensiva si faceva sempre, penso che anche per i giocatori è più soddisfacente costruire piuttosto che distruggere. E per distruggere devi usare le maniere forti: e io sono un uomo di pace. In generale vorrei che la mia squadra riuscisse ad avvicinare la gente e dare delle emozioni: gli appassionati non potranno mai dimenticare Roma 4 - Inter 5, con la curva giallorossa che ricopriva di applausi la propria squadra sconfitta in casa.
... io sto bene, io sto male,
io non so cosa fare,
non ho arte, non ho parte,
non ho niente da insegnare...
C.C.C.P.Io sto bene
Dicevamo che di per sé non ci sarebbe niente di sbagliato, da un punto di vista sportivo, nello sposare la filosofia del "catenaccio". Essa ha permesso e permette di ottenere grandi risultati, e non sempre offrendo un brutto spettacolo (si pensi, ad esempio, al mondiale del 1982). Tuttavia questa idea di calcio attrae, per la sua natura e per la mentalità che sottende, tutti quei personaggi che fanno della vittoria, ad ogni costo e con ogni mezzo, l'unico scopo della loro prestazione sportiva.
Per tutti gli anni '70 e '80 le due scuole si scontrano fieramente, senza che una prevalga sostanzialmente sull'altra. Negli anni '80 il calcio si trasforma sempre più compiutamente da sport a business, le società sportive in aziende a tutti gli effetti. Nell'89 cade il muro di Berlino, il liberismo dilaga incontrastato e vittorioso nelle vergini praterie lasciate libere dall'Unione Sovietica. Fine delle ideologie, fine della storia, si dice. Non ci sono più avversari, neanche immaginari, all'ideologia del successo ad ogni costo, alla volgare pretesa di "ingegnerizzare", di dominare tecnicamente, di rendere "scientificamente" prevedibile qualunque ambito dell'agire umano. Abbiamo scritto infinite volte che il calcio, in quanto fenomeno di massa, vive di un continuo scambio con la società nella quale si esprime: qualche volta ne anticipa, più spesse ne segue le linee di tendenza. Poteva dunque uscire indenne da questi sconvolgimenti?
Josè MourinhoLe squadre di calcio sono ormai aziende, successi e insuccessi si scrivono a bilancio, in fondo alla stagione. Come gli istituti finanziari e il resto delle aziende, anche le squadre di calcio si indebitano, gonfiano i bilanci di titoli tossici, e per vincere gonfiano i propri atleti di sostanze altrettanto tossiche. Lo facevano anche prima, certo, ma ora tutto è scientifico, ingegnerizzato: il medico diventa una figura di primo piano in una società di calcio, così come l'amministratore delegato. A guidare le squadre chiamano i tecnici "vincenti": Capello subentra a Sacchi. Eredita un Milan su cui ci sarebbero tante cose da scrivere, ma che certamente offriva un calcio bello e spregiudicato, molto "olandese", convinto che un buon risultato non possa che seguire ad una buona prestazione, e lo trasforma in un panzer capace di realizzare, in un anno, il record di imbattibilità del portiere, di difesa migliore e di maggior numero di vittorie per 1-0 in Serie A.
E poi col tempo arrivano i Lippi, i Mancini, i Mourinho. Ferguson rinuncia a far vedere qualcosa di bello, e vince una finale di Champions facendo fare il terzino a Rooney, esperimento che Mou ripeterà con Eto'o. Che spazio poteva esserci, per uno come Zeman, in un calcio, in un mondo così? Forse, come si vede, non lo relegano in periferia soltanto per paura di pestare i piedi a qualcuno.
E' una questione di qualità,
o una formalità,
non ricordo più bene:
una formalità...
C.C.C.P.Io sto bene
Guardiola e MessiEppure il "calcio totale" sopravvive in alcuni templi, in cui la maestà di una tradizione gloriosa non si è lasciata scalfire dalle tendenze del momento. A Barcellona perseverano nella valorizzazione dei giovani del vivaio, nella pratica di un calcio pulito e spettacolare: un calcio totale, fatto di tecnica, possesso palla e pressing. Non tutto è perfetto, intendiamoci. Dal punto di vista del fair-play finanziario, il club blaugrana va sempre più somigliando agli altri: eppure, anche in un mondo profondamente corrotto, non sono tutti uguali. Per alcuni anni i successi non arrivano, poi nel 2005-2006 il Barça centra la vittoria in Champions guidato da Rijkaard e dalle prodezze di Deco, Eto'o e Ronaldinho. Quindi un periodo di crisi, che coincide col declino di Ronaldinho, e nel 2008 arriva Pep Guardiola. Tutti i semi gettati negli anni arrivano a maturazione, e Guardiola si trova a guidare la squadra più forte, bella, spettacolare e vincente che il calcio abbia mai ammirato in tutta la sua storia. Come gioca il Barcellona di Guardiola? Un 4-3-3 fatto di pressing, possesso e verticalizzazioni fulminee, portato in campo dai migliori interpreti di sempre: Xavi, Iniesta, Messi, e tanti altri. Un 4-3-3 che, pur con cospicue differenze - Zeman fa giocare le sue squadre molto più "in verticale", e non usa il possesso palla per addormentare il gioco - ricorda tanto quello del tecnico boemo.
Nel frattempo l'Occidente è attraversato dalla crisi, il liberismo si avvita sulle proprie contraddizioni, i modelli che erano sembrati vincenti crollano come un castello di carte senza alcun valore, le nuove generazioni si riaffacciano nelle piazze chiedendo un mondo diverso. Van Gaal viene chiamato ad allenare il Bayern, e lo porta in finale di Champions (persa contro l'Inter di Mourinho, a dire il vero molto superiore); "el Loco" Bielsa viene chiamato sulla panchina dell'Athletic Club di Bilbao, e con il suo 4-2-4 spregiudicato centra 2 storiche finali in Europa League e in Coppa del Re.
Il calcio italiano implode nell'ennesimo scandalo di scommesse e partite vendute, i suoi vecchi arroganti padroni scoprono che il giocattolo è sfuggito loro di mano, e si è frantumato, forse irrimediabilmente...
E Zeman torna sulla panchina della Roma. E' una coincidenza? E' un timido barlume di speranza? O l'ipocrita penitenza di un Sistema incorreggibile? E' una questione di qualità? O una formalità? Non ricordo più bene. Una formalità?


Tratto da: Aut Aut Pisa
Panurge



Nessun commento:

Posta un commento