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mercoledì 29 febbraio 2012

Parma - Il primo marzo in piazza con la Rete Diritti in Casa


Due iniziative organizzare per denunciare il razzismo istituzionale, lo sfruttamento e la precarietà che colpiscono i migranti

occupazione ''rete diritti in casa''

Presidio di denuncia contro la speculazione immobiliare a danno dei migranti
ore 10:30 @ Via Imperia (angolo Via Venezia)

Nel corso della mattinata la Rete Diritti in Casa farà una denuncia pubblica di numerosi casi di abitazioni non idonee, fatiscenti e pericolanti, date in affitto a prezzi esorbitanti a molti cittadini migranti.
Spesso questa situazione assume i contorni di una vera propria truffa ai danni di persone che, a causa delle  precarie condizioni economiche, per trovare alloggio al fine di poter ottenere e/o mantenere il permesso di soggiorno, sono costrette a vivere in condizioni inaccettabili. Si tratta di un ricatto criminale che si gioca attorno all'assenza di diritti di cittadinanza  che caratterizza il nostro paese.
Diciamo basta al principio sfruttati per lavoro - sfruttati per l'alloggio!
Sarà allestita una mostra fotografica itinerante che illustrerà questo frequentissimo fenomeno esistente nella nostra città.

Cena maghrebina in sostegno delle case occupate
ore 20 @ Casa Cantoniera Autogestita
I fondi raccolti andranno a sostenere l'occupazione abitativa di Borgo Poi 4 in cui vivono famiglie con bambini piccoli che da 2 giorni sono state private della fornitura del gas, indispensabile per cucinare e riscaldare gli ambienti.
Contro le minacce di sgombero, contro l'assenza di reali politiche di accoglienza, contro l'indifferenza che caratterizza la nostra amministrazione, i cittadini strappano e difendono pezzi sempre più grandi di democrazia.
ASCIAB YURID SKAT ENNIDAM !

Tratto da: Globalproject.info

Dare voce allo sport di base


Sabato 3 marzo si terrà a Roma un incontro lanciato da Uisp,Aics, Acsi e aperto a tutte le Associazioni Sportive Dilettantistiche sullo sport di base e crisi finanziaria


dare voce allo sport di base


 Di seguito, il documento che ha convocato l'incontro a Roma a cui aderiscono anche le Polisportive e le Palestre Popolari e le realtà che hanno dato vita all'appello "gioco anch'io". Prima proponiamo un'intervista a Carlo Balestri della Uisp/MondialiAntirazzisti che ci spiega lo spirito dell'iniziativa.




"Avanziamo alcune proposte innovative in ambito normativo che possano aiutare le società sportive a rilanciarsi e continuare ad assicurare la loro preziosa attività sul territorio.
La crisi finanziaria colpisce il movimento sportivo di base. Le società sportive non possono più contare sul sostegno delle sponsorizzazioni delle piccole imprese, sui finanziamenti o sulle agevolazioni degli Enti Locali. I costi delle attività sono tutti sulle spalle dei praticanti e delle famiglie, che spesso non sono più in grado di sopportarli.

Con la crisi vengono al pettine i problemi strutturali dello sport in Italia: lo stato non si occupa dello sport di base, le Regioni e gli Enti Locali non hanno gli strumenti e i fondi necessari, le poche leggi e normative di settore non aiutano lo sviluppo delle attività sul territorio. Il mondo sportivo organizzato nel Comitato Olimpico viene lasciato da solo a fronteggiare le attuali difficoltà.

Eppure l’attività di promozione sportiva che noi realizziamo, ogni giorno, nel nostro territorio è fondamentale e insostituibile per vari motivi: contribuisce alla salute delle persone e a diffondere stili di vita sani; serve a prevenire diverse patologie e migliora le condizioni sociali del territorio. Svolgiamo una importante funzione sociale ed educativa senza nulla ricevere in cambio dalle istituzioni: insieme a noi crescono i ragazzi e gli adolescenti, da noi giocano insieme persone di lingua e cultura diversa, con noi gli anziani ritrovano energia e voglia di vivere. Le nostre attività migliorano l’aspetto delle nostre città. Nelle nostre sedi si discute e si decide democraticamente. Le società sportive non sono solo pratica sportiva, sono anche una scuola di cittadinanza e di partecipazione.

Ci rivolgiamo alle istituzioni per sollecitare un impegno straordinario. Ci rendiamo conto che non è il momento per chiedere finanziamenti straordinari. E’ il momento, però, di spendere bene le risorse che si destinano alle politiche sociali e a quelle per la salute, l’ambiente, l’educazione. Per questo è assolutamente necessario che una nuova cultura dello sport trovi spazio e dignità in tali programmi. Avanziamo alcune proposte innovative in ambito normativo che, a costo praticamente zero per la pubblica amministrazione, possano aiutare le società sportive a rilanciarsi e continuare ad assicurare la loro preziosa attività sul territorio:

1. Riconoscimento dell’attività sportiva come “Bene di interesse collettivo” e diritto con dignità costituzionale, così come indicato dal Libro Bianco sullo sport promulgato dall’Unione Europea nel 2007;

2. Riconoscimento del “Valore sociale dello Sport” nelle leggi di settore, a partire dai Piani Sanitari Nazionali e Regionali e dalla legge istitutiva delle Fondazioni Bancarie;

3. Sostituire la consuetudine delle gare d'appalto al massimo ribasso per la gestione degli impianti sportivi pubblici con l’affermazione di criteri fissati in Convenzioni o procedure concorsuali, capaci di valorizzare la qualità del volontariato e dell’associazionismo sportivo attivo sul territorio;

4. Premialità del “valore sociale” delle attività svolte dalle (ASD) Associazioni Sportive Dilettantistiche, con particolare riferimento alle attività di Inclusione, a quelle per le persone anziane e a quelle rivolte alla cura di determinate patologie;

5. Provvedimenti urbanistici che consentano un nuovo sviluppo dell’impiantistica sportiva e facilitino gli interventi di manutenzione e riqualificazione operati dal non profit sportivo;

6. Salvaguardia delle facilitazioni fiscali per le (ASD) Associazioni Sportive Dilettantistiche, come presupposto per il loro funzionamento e il loro sviluppo sul territorio;

7. Introduzione della limitazione di responsabilità civile per le ASD, insieme all’introduzione di normative e regolamenti di semplificazione burocratica e fiscale;

8. Riconoscimento del volontariato sportivo, accesso ai Centri di Servizio del Volontariato per la formazione dei volontari, possibilità di utilizzare i giovani del servizio civile con esplicito riferimento da parte della legge 64/2001;

9. Garanzia della proprietà dei diritti sulla comunicazione e sul marchio per gli eventi proposti dalle ASD, raccogliendo in tal senso una pressione che sta crescendo in Europa proprio da parte di associazioni sportive di base;

10. Riconoscimento delle attività formative svolte dalle ASD;

11. Riconoscimento all’attività formativa e vivaistica svolta dalle ASD nei confronti dei giovani talenti che proseguono nella carriera sportiva e professionistica. Questo riconoscimento andrà sostenuto dalle società professionistiche nei confronti delle ASD di provenienza dei giovani talenti;

12. Buono fiscale destinato alle famiglie per la pratica sportiva non professionale, agonistica e non agonistica".


Tratto da: Globalproject.info

venerdì 24 febbraio 2012

solidarietà al teatro del lido di ostia


Questa notte alcuni compagn@ del teatro del lido, mentre attacchinavano i manifesti di lancio della manifestazione "Costruire l'altra Ostia", sono stati aggrediti da militanti neofascisti, 3 di loro riportano fratture e contusioni gravi.

Non si è trattato di una rissa, ma di una brutale e premeditata aggressione , con tanto di spranghe e bastoni, ai danni di chi da anni lotta sul quel territorio.

Tanto più grave perchè compiuta alla vigilia del festeggiamento dei due anni di occupazione del teatro del lido, una realtà questa che che lavora da anni per restituire ad ostia e alla città tutta non solo lo spazio del teatro, ma un'idea di cultura dal basso e resistente che è stata in questi anni un fondamentale esempio per tutti quelli e quelle che si sono mobilitati nelle battaglie di riappropiazione dei beni comuni.

Il Tdl è stato ed è casa delle compagnie teatrali, dei giovani artisti, degli studenti delle scuole, delle associazioni territoriali, di tutti i cittadini e cittadine; una comunità che ha trovato voce e spazio fra le pareti di questo teatro sul litorale di ostia.

E proprio chi produce cultura dal basso, chi si oppone alla barbarie offrendo spazi di socialità e condivisione, che evidentemente fa paura ad organizzazione neofasciste come casapound che  vorrebbero imporre con la violenza delle spranghe una cultura di sopraffazione e machismo.

A loro, ed ai loro protettori, noi rispondiamo che realtà come quella del TdL non si toccano,perchè sono di tutt@ noi.

Insieme all'abbraccio ai compagni e alle compagne di ostia, invitiamo tutt@ a partecipare alla manifestazione di domani (sab 25 feb) "Costruire un' altra città, costruire l'altra Ostia". Appuntamento ore 15 alla Stazione Lido Centro.

Intimidazioni e aggressioni non ci fermeranno, contro il fascimo, per la cultura e i beni comuni.

cineteatro volutrno occupato - teatro de merode - cineteatro preneste liberato GPRV

giovedì 23 febbraio 2012

Respingimenti verso la Libia - L’Italia condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo


La sentenza. Violato l’art. 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. 15 mila euro a 22 delle 24 vittime
E’ arrivata la condanna. Attesa da oltre due anni la Corte Europea per i Diritti dell’uomo si è pronunciata sui respingimenti messi in atto dall’Italia nei confronti dei migranti provenienti dalla Libia in virtù degli accordi stipulati con l’allora dittatore Gheddafi.
Di quella Libia rimane poco, anche se i conflitti interni non sono esauriti, così come non è esaurita la fame di accreditamento delle nuove autorità nei confronti dell’Europa, che potrebbe portare ancora, in futuro, alla stipula di accordi non propriamente favorevoli ai migranti in rotta verso l’Italia.
Anche dell’allora Governo italiano sembra rimanere poco o nulla ed il segnale che viene dalla Corte Europa per i Diritti dell’Uomo non è di poco conto.
I respingimenti furono il cavallo di battaglia del governo Berlusconi con a capo del Ministero dell’Interno il leghista Maroni. Sulla "guerra ai barconi", contro la presunta "invasione", si giocò gran parte del consenso del Carroccio. Di quel governo non rimangono che le ceneri, anche se le politiche sull’immigrazione messe in atto allora ancora rappresentano l’attualità a cui sono sottoposti i migranti in Italia (accordo di integrazione, tassa di soggiorno, bossi fini, cie, etc...)
La vicenda, in ogni caso, nel corso del 2010, ebbe dei risvolti assolutamente violenti. Nel silenzio quasi generale, furono messe in atto una serie di operazioni illegittime nel Mar Mediterraneo che consegnarono alla tortura, alle carceri ed alla morte, centinaia di migranti a cui fu sottratta la possibilità di chiedere la protezione internazionale, così come previsto delle convenzioni internazionali.
La sentenza pronunciata dalla CEDU riguarda il respingimento di circa 200 persone (tra cui donne e bambini) originarie dalla Somalia e dall’Eritrea avvenuto lo scorso 6 maggio 2009, quando a 35 miglia a Sud di Lampedusa, in acque internazionali, le autorità italiane intercettarono la loro imbarcazione e dopo averle trasferite a bordo di un natante italiano le ricondussero in Libia senza che questi conoscessero la loro destinazione e che potessero proporre domanda di protezione . Di questi migranti, 24 furono rintracciati e portarono la loro storia all’attenzione del tribunale europeo.
Nessuna apertura delle frontiere in vista. Nessuna riconoscimento del pieno diritto alla fuga. Nessuna spinta contro il controllo dei confini.
L’Europa con questa sentenza punisce una pratica illegittima che si poneva esageratamente fuori dal quadro normativo previsto.
La sentenza rappresenta sicuramente un risultato storico, anche se i respingimenti illegittimi non finiscono. Vale la pena di ricordare ciò che avviene pressoché quotidianamente nei porti dell’Adriatico dove minori e migranti afghani, Kurdi, Irakeni, vengono respinti nella braccia della Grecia senza poter chiedere protezione.
Più interessante è invece ritornare il quadro della realtà dell’asilo in Europa.
A fronte di 1 milione e 393 mila rifugiati presenti a livello continentale, solo 50 mila sono presenti in Italia, mentre le domande d’asilo raccolte dal nostro paese per l’anno 2010 (anno con la maggir incidenza della politica dei respingimenti) sono state circa 10 mila contro un totale di circa 240 mila domande per i paesi UE. La diminuazione di 10 mila domande d’asilo rispetto all’anno precedente dimostra come la politica dei respingimenti adottata dall’Italia, pur avendo dimezzato le domande presentate nel nostro paese, rappresentasse un intervento assolutamente ingiustificabile rispetto ai numeri europei.
In campo infatti non sembravano esserci tanto la possibilità o meno di ricacciare i migranti diretti verso le nostre coste (che rappresentano un numero risibile anche se confrontati sui dati dell’irregolarità in Italia) quanto piuttosto la necessità di legittimare un modo di agire sul terreno dell’immigrazione fuori da ogni garanzia di diritto.
In ogni caso, secondo le stime dell’Acnur, sono stati circa 1.000 i migranti a cui è stato negato il diritto di chiedere asilo grazie agli accordi con la Libia (secondo le autorità italiane...un paese sicuro).
In discussione quindi, è bene ricordarlo, non c’è ovviamente l’istituto del respingimento di per sé, pur previsto nel nostro ordinamento, ma quella particolare pratica messa in atto dal governo italiano che prevedeva l’intercettazione delle cosiddette "carrette del mare" fuori dalle nostre acque territoriali ed il respingimento delle persone a bordo in Libia senza che questi, così come previsto dalla normativa, fossero messi nella condizione di chiedere la protezione internazionale, in violazione del principio di non refoulement.
In particolare la Corte ha pienamente condannato l’Italia per la violazione di 3 principi fondamentali: il divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 3 CEDU), l’impossibilità di ricorso (art.13 CEDU) e il divieto di espulsioni collettive (art.4 IV Protocollo aggiuntivo CEDU). La Corte quindi per la prima volta ha equiparato il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già nel territorio.
Cosa rimane di quelle politiche quindi? Cosa aspettarsi ora dal nuovo governo?
Un provvedimento su tutti, da chiedere con forza con effetto immediato: il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario a tutti i richiedenti asilo provenienti dalla Libia
Descrizione: - Respingimenti collettividi migranti in Libia
di Fulvio Vassallo Paleologo
Descrizione: - Respingimenti in Libia:Italia condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
il commento del CIR - Unione forense diritti dell’Uomo e European Council on Refugees and Exiles


Tratto da: Melting pot

lunedì 20 febbraio 2012

Olimpic Games


di Ivan Grozny
Niente candidatura per Roma 2020. Non ci sarà a sfidare Istanbul, Tokyo, Madrid e Doha. Monti ha di fatto bloccato una operazione che era gradita trasversalmente dal centrodestra al centrosinistra, Quirinale compreso.
Tra le forze politiche, per correttezza di informazione, segnaliamo che Lega e IDV erano contrari. Detto questo, divertiamoci un po’… Cominciamo dai contrari. La Lega era tra i più convinti assertori della candidatura di Venezia, a suo tempo. Loro dicono perché erano altri tempi, e parliamo di qualche anno, non del paleozoico. Devo dire che l’opportunità di una definitiva bonifica dell’area di Porto Marghera poteva essere un buon motivo per sposare questa causa. C’era poi una forte partecipazione dei privati, nel progetto, cosa che non c’è nel caso di Roma. Pescante, Petrucci  e i loro sodali, che poi sono le stesse facce che da sempre governano lo sport italiano, hanno dovuto incassare un secco no perché, diciamocela chiaro, non sono credibili. E non perché si sono trovati di fronte un tecnico che la cosa è naufragata, ma perché diciamocelo francamente, chi mai, in un momento di grande e imposta austerità, poteva imbarcarsi in un’avventura simile?
Alemanno e gli ex AN che siedono nelle stanze dove lo sport viene governato, avevano puntato un sacco sulla candidatura romana. Chi ha buona memoria ricorda di sicuro lo strano intreccio tra i protagonisti dello scandalo nato in conseguenza del terremoto in Abruzzo e che ha coinvolto molti di quegli imprenditori che si sono dati un gran da fare per i Mondiali di nuoto http://www.youtube.com/watch?v=8_ct_m703UI di Roma del 2009. Nomi illustri, come quello dell’ex capo della Protezione Civile Bertolaso. Ci sono ancora impianti, a Roma, che mai sono stati terminati, e che però sono stati iniziati e finanziati, per una spesa che di fatto ha superato di gran lunga quelle che erano in preventivo per la rassegna iridata.
E su questo sta indagando  la magistratura. Per un semplice motivo: capire come sono stati spesi i 400 milioni di euro di budget, visto che l’ambiziosa Città dello Sport di Tor Vergata che avrebbe dovuto rappresentare la sede privilegiata dell’evento oggi è null’altro che un’opera incompiuta, infatti le gare si disputarono al Foro Italico.
A sei anni dalle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 può essere, quindi, interessante tracciare un bilancio dell’«eredità olimpica». Non solo non c’è stato un ritorno economico ma le cifre sono diventate iperboliche. Pista di Cesana 77,3 milioni di euro, Ski jumping di Pragelato 36 milioni, pista di fondo di Pragelato 20 milioni, Freestyle di Sauze 9 milioni di euro, Atrium Piazza Solferino 12 milioni, impianto biathlon San Sicario 25 milioni. Oltre 190 milioni per sei strutture che hanno anche fatto scempio del paesaggio alpino.
Il Toroc ha chiuso la sua scandalosa gestione con 25 milioni di euro di passivo anche grazie alla elargizione di oltre 40 milioni di euro di «consulenze» ed «incarichi professionali» e la Fondazione XX Marzo, nata per gestire tutto il sistema del «post-olimpico», dopo avere ripetutamente assicurato all’indomani delle Olimpiadi, che si sarebbe arrivati a un surplus economico, si è accorta che «il post olimpico» ha causato invece un deficit di 6 milioni di euro. Già, perché la pista di bob, costata 61,4 milioni di euro, ha chiuso i battenti a causa dell’incapacità gestionale del Comitato Olimpico, prima, e della Fondazione XX Marzo, poi, che non hanno saputo arginare una perdita annua pari a un milione e mezzo di euro. Stessa sorte della Pista di bob di Cesana e per l’impianto di Ski Jumping di Pragelato: l’impianto giace abbandonato a se stesso e oltre a ciò è in condizioni tali da poter rappresentare un sensibile rischio per coloro che intendono avventurarsi nelle sue vicinanze. Un po’ come succede per gli impianti mai finiti nella periferia di Roma per i Mondiali di nuoto.
Ma se andiamo ancora un po’ più lontano, ci si ricorderà dei Mondiali del 1990. Il parcheggio sotterraneo dello Stadio Bentegodi di Verona non è stato mai utilizzato e inaugurato. Si potrebbe allagare alla prima goccia d’acqua. Il Delle Alpi di Torino è già stato abbattuto, ed era talmente brutto e scomodo.. L’Euganeo di Padova è il simbolo di tutto questo. Mai finito. Lo stadio più brutto del mondo. Una città che era abituata a un impianto all’inglese in centro città, l’Appiani, ora casa della Polisportiva Sanprecario, si ritrova un’opera incompiuta, brutta e scomoda. Fate un po’ voi…
Le facce di quelli che si adoperavano per quell’evento sono più o meno le stesse di allora. Gattai, Pescante, Carraro.. Quest’ultimo è a tutt’oggi, nonostante gli scandali che ha attraversato, sempre più o meno indenne, il rappresentante CIO per l’Italia. Qualcuno ha qualche commento da fare in merito?
Gianni Letta era davvero abbattuto quando ha saputo la decisione di Monti. Ma diciamoci la verità, se neppure il caro Silvio si era avventurato in acrobatiche operazioni per consentire che questa follia potesse prendere forma, deve essere che non è proprio tempo per certe cose.
Ma sapete com’è, come ha detto Napolitano, che cito testualmente, “ci saranno altre opportunità per lo sport”.
Possiamo anche sperarlo tutti, ma con diverse modalità da come è stato fino ad ora. Per Barcellona è vero che è stata un’opportunità di crescita, ma perché sempre portare questo, di esempio, che è l’unico che ci può stare, e non gli altri disastri, invece?


giovedì 16 febbraio 2012

L’ordine secondo Capello.


di Mauro Valeri
E’ probabile che i motivi che hanno spinto Fabio Capello a lasciare, dopo quattro anni, la panchina della Nazionale inglese vadano ben oltre il caso Terry, e che invece rimandino agli scarsi risultati ottenuti a e al non bel gioco fatto vedere in Inghilterra. Prima di essere cacciato, ha preferito andarsene lui. Ma sarebbe altrettanto sciocco pensare che l’aver scelto proprio il caso Terry per uscire di scena sia casuale.Ricordiamo brevemente i fatti. John Terry, difensore del Chelsea e della Nazionale, era finito sotto accusa per insulti razzisti contro Anton Ferdinand, difensore del Qpr, in occasione del derby del 23 ottobre. Come avevamo scritto in quell’occasione, la denuncia contro Terry era arrivata da uno spettatore che, sentiti gli insulti, aveva sporto denuncia alla polizia. In questo modo, oltre alla giustizia sportiva, si era dovuta muovere anche quella ordinaria, la quale, come si dice in questi casi, sta facendo il suo corso, senza fare sconti all’accusato di fama (dopo essere stato rinviato a giudizio il 1 febbraio, sarà processato il 9 luglio).
Nonostante il Chelsea abbia preso le difese del suo calciatore, dopo il rinvio a giudizio, il 3 febbraio la Federazione inglese (sembra su pressione del governo, e in particolare del ministro dello Sport) informa Terry che non è più il capitano della Nazionale. A questo punto interviene Capello, che rivendica che sulle scelte relative ai calciatori della Nazionale può decidere solo l’allenatore, cioè lui, come sembra previsto anche dal suo contratto. E, in un’intervita alla Rai, conferma che Terry è ancora il capitano della Nazionale, andando così allo scontro diretto con la Federazione (e anche contro il governo, visto che lo stesso premier Cameron ha dichiarato che su Terry Capello ha sbagliato). Capello poteva benissimo contestare la decisione della Federcalcio inglese e rivendicare il suo ruolo di allenatore, ma nel farlo doveva anche pronunciarsi apertamente contro quel razzismo di cui Terry è accusato e che ancora contrassegna molte partite inglesi, e che anche un vecchio marpione come Blatter, presidente della FIFA, che pure aveva provato a sminuire il razzismo nel calcio inglese, era stato presto costretto a fare una rapida retromarcia.
Invece, sembrerebbe che Capello abbia dichiarato, ma in un incontro privato: “Non entro nel merito della questione perché so benissimo che il razzismo è un problema serio e io sono sempre stato sensibile all’argomento”. Forse gli inglesi si sono documentati e non hanno trovato segni tangibili ed espliciti di questa sensibilità. D’altra parte, quando vengono messi alle strette sul tema del razzismo, gran parte degli allenatori stranieri tendono a trincerarsi dietro la frase (tra gli ultimi a pronunciarla Mourinho, interrogato sui cori razzisti contro Balotelli): “Non posso giudicare, perché questo non è il mio paese” (a parte poi che nel proprio paese, tranne quelle all’arbitro, le critiche “politiche” degli allenatori sono sempre molto attenuate). Capello aveva fatto di più: nella sua intervista Rai aveva ricordato che non si può giudicare qualcuno colpevole prima della sentenza. Giudicarlo no, ma sospenderlo sì, visto come sta andando il processo. E poi, non è lo stesso Capello a continuare a stimare un certo Moggi anche dopo che questi è stato condannato per Calciopoli?
In realtà, proprio Capello aveva giudicato positivamente un paese in cui aveva allenato. Era accaduto nel 2006, quando, in un’intervista, aveva dichiarato che in Spagna regnava “il calore e la creatività latina regolati da un ordine rigoroso. L’ordine che viene da Franco”. E all’intervistatore che gli aveva ricordato che in realtà Franco era un dittatore, aveva risposto: “Ma ha lasciato in eredità l’ordine. In Spagna funziona tutto e funziona bene, ci sono educazione, pulizia, rispetto e poca burocrazia. Dovremmo prendere esempio”. A sentire quelle parole, un europarlamentare spagnolo, Raul Romeva, aveva addirittura chiesto un intervento urgente della Commissione europea per condannare quelle affermazioni che “costituiscono una deplorevole apologia di fascismo”. Capello aveva risposto dichiarando di essere stato frainteso, ma pochi ci avevano creduto. Anzi, i verdi catalani, avevano contro risposto, che Capello o “era molto ignorante o ha una visione dell’ordinamento sociale abbastanza pericolosa”. Parole che sembrano adattarsi anche a quanto accaduto di recente in Inghilterra. Di certo, nella sua visione del mondo il razzismo sembra del tutto secondario, elemento che probabilmente gli potrebbe favorire un ritorno in Italia (come molti auspicano), dove la federcalcio non è certo attenta come quella inglese ad un tema da sempre sottovalutato.


lunedì 13 febbraio 2012

Monti: prematuro dire no ai respingimenti

Mancano ormai poche settimane alla sentenza della CorteEuropea dei diritti umani(Cedu) chiamata a giudicare l'Italia per il respingimento in Libia di 24 rifugiati politici eritrei e somali nel maggio 2009. Da due anni in molti si chiedono se una condanna della Cedu sara' sufficiente a far cambiare le politiche italiane ed europee nel Mediterraneo. Una prima risposta c'e' gia' ed e' delle peggiori. Me l'ha data il primo ministro italiano Mario Monti ieri mattina a Tripoli, durante la conferenza stampa con il capo del governo libico Al Kibb. "Mi sembra prematuro ipotizzare qualsiasi tipo di cambiamento delle politiche italiane di contrasto all'immigrazione clandestina, tuttavia il rispetto dei diritti umani rimane una priorita' del governo italiano". Un elegante giro di parole per dire che il nuovo corso delle politiche italiane in frontiera seguira' il solco scavato dai Maroni e dai Berlusconi, e prima di loro dai Prodi e dagli Amato. Finita la guerra in Libia, l'Italia continuera' a respingere in Libia le persone fermate in acque internazionali. E Finmeccanica riprendera' quanto prima la costruzione del sistema elettronico di sorveglianza delle frontiere sud della Libia. Per adesso le traversate del Canale di Sicilia sono ferme da agosto, da quando con la liberazione di Tripoli hanno smesso di operare le milizie di Gheddafi che si occupavano degli imbarchi. Tuttavia la settimana scorsa un gruppo di circa 200 somali ha preso il largo da un tratto di costa tra Khums e Misrata, compresi 55dispersi in mare in un naufragio. E' il segno che le partenze per l'Italia potrebbero ricominciare. E con esse i respingimenti verso la Libia. Il che desta la massima preoccupazione anche nella Libia del post dittatura.

Poco importa se la Libia di oggi e' decisamente migliore della Libia di Gheddafi, e si avvia alla costruzione di un solido stato di diritto. E poco importa se la maggior parte dei giovani che tentano di raggiungere Lampedusa non sono rifugiati politici ma ragazzi come noi in cerca di un futuro migliore. Perche' se anche un giorno gli standard di detenzione in Libia superassero quelli italiani, e se anche un giorno a bordo di quelle barche non ci fosse nemmeno un rifugiato, i respingimenti in mare rimarrebbero comunque una pratica da condannare.

Perche' nel villaggio globale del 2012, dove mobilita' significa potere e identita', l'ipotesi della criminalizzazione della circolazione nel pianeta e' quasi blasfema. La liberta' personale e' un diritto inviolabile, di cui non si puo' essere privati se non per aver commesso dei reati penali. E viaggiare non e' e non puo' essere un reato. Viaggiare non e' una concessione che i potenti possono fare ai piu' disperati in nome del loro spirito caritatevole e in memoria di vecchie carte di diritto sepolte sotto la polvere. Non serve essere stati torturati in carcere o fuggire da una guerra per avere diritto a spostare piu' in la' il proprio sguardo. A maggiore ragione in un mondo globalizzato. Soprattutto visto che la liberta' di circolazione, dove applicata ha dato ottimi risultati.

Parlo dell'esperienza con l'Europa orientale. L'Unione europea ha eliminato i visti e liberalizzato la circolazione con i cittadini di Romania, Polonia, Bulgaria, Slovacchia, Montenegro, Albania... Perche' non fare altrettanto con i paesi del sud? Se i governi europei cercano soluzioni, sperimentino nuove forme di mobilita' attraverso la semplificazione dei visti e il sostegno della mobilita' anche con i paesi mediterranei e africani, anziche' continuando a finanziare nuove galere dove arrestare chi prova a cercare se stesso oltre il proprio orizzonte.


Tratto da: Fortress Europe

Una buona notizia


di Mauro Valeri
Una ventina di giorni fa, proprio da questo blog, avevamo preso una precisa presa di posizione contro alcune norme che la FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera) aveva adottato per il 2012, che conteneva misure a nostro parere discriminatorie nei confronti di migliaia di atleti stranieri, che in genere sono lavoratori che corrono la domenica per passione in competizioni regionali. Per le nuove norme, invece, a differenza dei loro colleghi italiani, non potevano né correre fuori dalla regione in cui erano tesserati, né accedere al montepremi. La motivazione implicita era che a vincere erano in genere corridori d’origine africana.
Certo, tutti noi sappiamo che anche nell’atletica leggera c’è una sorta di “tratta” che riguarda corridori africani o dell’Europa dell’est, che vengono “importati” in Italia per pochi mesi e spremuti come limoni, obbligandoli a correre “a cottimo”: su ogni vittoria a loro và un tot (che spesso è quasi niente), mentre la gran parte dei soldi finisce nelle tasche dei “procuratori”.
Denunce di questo tipo risalgono almeno alla fine degli anni ottanta. Addirittura, non molti anni fa, una ragazza africana “importata” per correre e vincere, era finita in un CPT perché il suo “procuratore” le aveva trattenuto il passaporto per evitare che fuggisse via con i soldi che si era guadagnata correndo. La “tratta” però va combattuta con misure specifiche, anche abbastanza semplici, e non con misure che finiscono per penalizzare migliaia di altri stranieri, che fanno sport perché gli piace e anche per guadagnare qualcosa (si parla di qualche centinaio di euro guadagnati a corsa).
Invece in Italia, la “tratta” sportiva viene quasi sempre strumentalizzata per impedire l’accesso allo sport agli stranieri, chiunque essi siano. Così è nel calcio, ad esempio. Negli ultimi tempi, poi c’è stata una sorta di giustificazione nazionalistica di questa chiusura incondizionata verso lo sportivo straniero, in nome di una tutela dei nostri vivai, si dice. E la stessa La Gazzetta dello Sport aveva salutato queste nuove norme nell’atletica come giuste e innovative! Convinti che la cultura sportiva sia ben altra cosa, avevamo sostenuto che quelle norme erano di natura discriminatoria. Ebbene, venerdì 27 gennaio la FIDAL ha rivisto la sua posizione permettendo agli stranieri sia di partecipare al di fuori della propria regione, sia di riscuotere i premi vinti.
Non sappiamo se qualcuno della FIDAL legga questo blog, ma certo la tempistica ci fa ben sperare. E’ un ripensamento che ridà allo sport quel ruolo che dovrebbe avere: favorire le pari opportunità e poi che vinca il migliore. L’impressione è che vi siano alcune federazione sportive decisamente più “cosmopolite” – come ad esempio quella del basket, della pallavolo o anche del badminton – e quelle più “nazionaliste” – prima fra tutti la FIGC, ma anche quella della pallanuoto non scherza, visto che quest’ultima ha recentemente messo un limite anche ai giocatori comunitari. Con i primi il dialogo non solo è possibile ma andrebbe rafforzato; con i secondi sembra che solo l’intervento del giudice possa produrre qualche segno di maggiore apertura.
Con Londra 2012 alle porte, un vero dibattito sul valore dello sport potrebbe permettere di rilanciare anche un dibattito sulle norme discriminatorie praticate dalle federazioni sportive. Certo, è una battaglia improba. Basta pensare che, in forza di una legge del 1942, fino al 1999 (!), il testo legislativo con il quale veniva regolamentata l’attività del Comitato Olimpionico Nazionale Italiano recitava: “Compiti del CONI sono l’organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale e l’indirizzo di esso verso il perfezionamento atletico, con particolare riguardo al perfezionamento fisico e morale della razza”!


ANONYMOUS vs PLATINI


di Ivan Grozny
Anonymous attacca Michel Platini. Il Presidente dell’UEFA ha subito un attacco digitale senza precedenti, da parte della rete di hacker che si firma con questa sigla. Per qualcuno quella che si sta combattendo in questi giorni nella rete è la prima guerra mondiale digitale. Valutare che quest’affermazione sia esatta o forse esagerata non è compito nostro, ma sottovalutare la portata di questo cyber attacco sarebbe alquanto inopportuno.Lo hanno fatto già le testate sportive e non che sarebbero accreditate a farlo, noi non possiamo esimerci dal segnalarlo, quindi. Settimana scorsa dopo che in rete è cominciato  il solito tam tam tra chi condivide certe pratiche, si è dato l’attacco ai siti e alle pagine dei social network riconducibili a lui. Questo comunicato apparso in rete durante l’attacco http://pastebin.com/T7cJa9wT  spiega più di mille parole.
Questo è l’anno degli Europei per Nazioni in Polonia e Ucraina. Si sa che per diventare Presidente dell’Uefa , Platini, ha puntato moltissimo sul voto dei rappresentanti dei Paesi dell’Est, e sappiamo pure bene che senza quelli non avrebbe mai vinto. Da li l’apertura ai club di quelle federazioni per il primo turno di Champions, e appunto l’assegnazione degli Europei.
Polemiche ce ne sono state, e di un certo spessore. Come sempre in occasione dell’assegnazione di eventi di questa portata. E si sa poi come la questione sia andata a finire. L’Ucraina in questo momento  è nell’occhio del ciclone per via della sua deriva autoritaria che sta sempre più portando il Paese verso una dittatura. Viktor Yanukovich, il nuovo leader, sta eliminando uno a uno i suoi oppositori politici. E sta mettendo mano in modo preoccupante alla neonata Costituzione. Quanto è lontana la rivoluzione arancione..
I personaggi che hanno dato vita a quella fase o sono spariti dalla scena pubblica o sono in qualche prigione in attesa di giudizio. Il caso più eclatante è quello di Yulia Tymoshenko , agli arresti per abuso in atti di ufficio. La figlia sta cercando di attirare l’attenzione della UE riguardo le condizioni di detenzione, proprio in questi giorni.
Le maglie del regime si fanno sempre più strette. Per molti gli Europei in Ucraina sono inopportuni, ma tant’è..
Da qualche settimana in rete sta girando questo  agghiacciante video https://www.youtube.com/watch?v=yrrJh5bMN0I&feature=you che testimonia cosa le autorità hanno ordinato in materia di animali randagi. L’eliminazione. Immagini che parlano da sole.
L’attacco a Platini è scattato immediatamente. Un tam tam tra hacker ha fatto il resto. Animalisti e persone che hanno a cuore valori come democrazia e libertà si sono fatti sentire appunto utilizzando le nuove tecnologie e le opportunità che queste offrono.
Tra poco siamo certi che si comincerà anche a parlare di coloro che di fatto hanno corrotto parti del Governo  per ottenere gli appalti per  la costruzione degli stadi. E in più ci sono quelle grandi opere come strade, parcheggi e il resto che sono un boccone appetitoso per la malavita organizzata.
Anche così  Viktor Andrijovyč Juščenko, ex uomo del Cremlino e leader della rivoluzione arancione è stato fatto fuori dall’attuale Presidente.
E se poi ci mettiamo le commistioni tra mafia ucraina e le scommesse nel calcio, e magari ci aggiungiamo anche la folta presenza dio gruppi nazi che da quelle parti vogliono farla da padrona, il quadretto si fa piuttosto interessante. Saranno degli Europei tutti da seguire..


Tratto da: Sport alla rovescia

domenica 12 febbraio 2012

CINEM@RT LAB: LO SPORT AL CINEMA

CINEM@RT LAB: LO SPORT AL CINEMAGIORNATA DEDICA ALLO SPORT.
Ore 18:30 - Maradona di Kusturica di Emir Kusturica
Trailer Maradona by Kusturica
Ore 21:00 - Million Dollar Baby di Clint Eastwood
Trailer Million dollar baby
Nella pausa tra i due film, APERITIVO SPAGNOLO!


Proiezioni e aperitivo si terranno ad ART LAB, Borgo tanzi 26.

venerdì 10 febbraio 2012

Capello 'costretto' a lasciare

Capello 'costretto' a lasciare ''Dispiace, ma ha sbagliato''
Il tecnico italiano non aveva intenzione di dimettersi dalla guida dell'Inghilterra ma ha trovato un atteggiamento freddo da parte della federazione che lo ha convinto a mettere fine all'avventura. Il premier Cameron lo saluta senza risparmiargli una critica: ''E' un bravo allenatore e lo stimo, ma non doveva difendere Terry''. I giocatori e la stampa aspettano Redknapp 

LONDRA - "Mi dispiace che Fabio se ne vada", lo chiama proprio così, per nome, "è un bravo allenatore e lo stimo, ma ha sbagliato a difendere John Terry, perché un giocatore non può mantenere la fascia di capitano dell'Inghilterra con un interrogativo così grave sulla sua condotta" (ovvero l'accusa di razzismo, per la quale il difensore del Chelsea e della nazionale sarà processato in estate, dopo gli Europei, ndr). Il commento di David Cameron, questa mattina ai microfoni di una tivù inglese, riflette l'importanza delle dimissioni di Capello da ct della squadra dei Tre Leoni: perfino il primo ministro si sente in dovere di parlarne. Ma come sono andate veramente le cose ieri? Il coach si è buttato o è stato spinto fuori dalla nave inglese, per dirla con il linguaggio dei tabloid? Le indiscrezioni permettono di ricostruirlo.

Ricordiamo in breve l'antecedente: la federazione "degrada" Terry da capitano per l'incriminazione e il processo che lo attendono (è accusato di avere chiamato "sporco negro" Anton Ferdinand, fratello del suo compagno di nazionale Rio Ferdinand, durante Chelsea-Qpr). E lo fa senza nemmeno consultare Capello. Il quale, intervistato domenica dalla Rai, dice di non essere d'accordo, perché per lui una persona è innocente fino a quando non è stata emessa la sentenza. Che aggiunga o meno, come gli viene attribuito in seguito dai media, "Terry sarà sempre il mio capitano", è secondario:
comunque contesta la decisione della Football Association. Il giorno dopo la stampa inglese lo accusa: non si sputa nel piatto in cui si mangia (specie se nel piatto ci sono 6 milioni di sterline l'anno, pari a più di 7 milioni di euro, lo stipendio più alto pagato nel mondo a un allenatore di squadre nazionali).

Ieri a Wembley Capello e i dirigenti federali si incontrano per discutere la questione. Il ct non va alla riunione pensando di dimettersi, tanto è vero che non si consiglia neppure con i suoi legali. Sembra ragionevole che le due parti ne escano con un comunicato di compromesso, decidendo di non parlare più del caso e andare avanti fino agli Europei di giugno. Ma Capello riscontra un atteggiamento così freddo e ostile da parte della federazione che capisce che non c'è spazio per nessun compromesso. Offre le dimissioni, che vengono subito accettate. Non volano parole grosse, volano soltanto grosse cifre: una "liquidazione" da 1 milione e mezzo di sterline, ultima rata del suo pacchetto salariale, gli viene concessa in cambio del silenzio stampa (fino a dopo gli Europei, pare). Non potrà dire nulla sulla vicenda. Lui firma l'impegno e se ne va.

Dunque è stato spinto o si è buttato? L'opinione dominante è che è stato spinto: la federazione non se l'era sentita di licenziarlo due anni fa dopo i Mondiali, per non pagargli una buonuscita di 12 milioni di sterline dei suoi rimanenti due anni di contratto. Ma la difesa di Terry fatta un po' ingenuamente da Capelllo ha offerto ai federali la scusa perfetta per fargli uno sgarbo che difficilmente lui avrebbe ingoiato. E infatti Fabio non lo ha ingoiato e si è dimesso. Ma è stato così ingenuo, l'allenatore? Non è detto. Anche lui aveva fatto i suoi conti: l'avventura agli Europei si presentava difficile, senza Rooney (squalificato) nelle prime due partite, con una squadra più vecchia, più stanca, più rancorosa verso di lui rispetto ai Mondiali di due anni fa. Rischiava di subire un altro disastro. Forse dunque pure Fabio ha deciso di difendere Terry non per ingenuità, ma per fare uno sgarbo alla federazione. E se è andato all'incontro di ieri senza aspettarsi di dimettersi nel giro di un'ora, magari non ha nemmeno escluso che potesse finire così, con reciproca soddisfazione. Così l'Inghilterra potrà avere presto un nuovo allenatore, inglese per di più; e Capello potrà scegliere tra le numerose offerte di lavoro che lo aspettano in Italia.

E il giallo delle sue dichiarazione alla Italpress? "Mi hanno gravemente insultato, la federazione ha leso la mia autorità (punendo Terry senza sentire almeno il suo parere, ndr.), sono ingerenze che non tollero, per cui è stato facile andarmene". Lo ha detto o non lo ha detto? Le indiscrezioni dicono che lo ha detto, off the record, al telefono con il direttore dell'agenzia di stampa in questione, un suo vecchio amico: non così amico, però, perché poi ha pubblicato quelle frasi come se fossero on the record. Provocando prima la sorpresa della federazione inglese, che aveva appena pagato 1 milione e mezzo di sterline per chiudere la bocca a Capello; e poi la secca smentita di Fabio, "non ho detto nulla e nulla dirò sull'argomento", che quei soldi vuole tenerseli.

E adesso? "Era una brava persona e un bravo coach", scrive su Twitter Rooney di Capello, ma pensa già al futuro: "Ora un inglese, aspettiamo Redknapp". La stessa cosa twittano Rio Ferdinand e altri: rispetto per il ct che se ne va, voglia di uno nuovo che parli la loro lingua. Tutti rimproverano a Capello di non averla imparata ("parlerò l'inglese in tre mesi", disse appena arrivato, quattro anni fa, e non è che non ci abbia provato: ha preso un sacco di lezioni private, ma forse per un fatto generazionale non ci è riuscito, a differenza di Ancelotti e Mancini che se la sono cavata bene rapidamente), sebbene la sua colpa principale non sia quella, ma di essere uscito subito dai Mondiali in Sud Africa, facendo una figura meschina. A questo si aggiunge l'eccessiva severità del ritiro "all'italiana", benché quattro anni prima, ai Mondiali in Germania, la stampa avesse criticato il clima da villaggio vacanze instaurato da Eriksson con le "wags", le mogli e fidanzate dei giocatori, padrone del campo (e dell'albergo).

Per coincidenza, un allenatore inglese si è appena liberato: dopo un'inchiesta e un processo durati cinque anni, ieri mattina, poche ore prima dell'incontro tra Capello e la Football Association, Harry Redknapp è stato assolto dall'accusa di evasione fiscale che lo aveva a lungo tormentato. Era già da tempo in lizza per diventare il successore di Capello dopo gli Europei, ma con l'ombra del processo non era chiaro se ci sarebbe riuscito: ora invece non ci sono più ostacoli. Tranne il Tottenham, terzo in Premier League, che sta disputando il suo campionato migliore dell'era recente. Considerato unanimamente il migliore allenatore inglese sul mercato (tenuto conto che Ferguson è scozzese), Redknapp potrebbe allenare da subito l'Inghilterra come ct part-time o prenderla in consegna a fine stagione, dopo gli Europei. Contrapponendo la sua assoluzione al processo e le dimissioni di Capello, i due tabloid più popolari di Londra, il Sun e il Mirror, fanno il medesimo geniale titolone di prima pagina: "ARRYVEDERCI", una parola che dice tutto.

Giornalisti e tifosi inglesi sono contenti che l'era Capello si sia conclusa: era già finita due anni fa, dopo i Mondiali, una spenta qualificazione per gli Europei l'ha prolungata inutilmente. Il giudizio più severo contro di lui è quello del Guardian, che lo definisce "un bullo e un autocrate". La Bbc ricorda che il giovane Theo Walcott aveva letteralmente paura del ct - ma è un sentimento condiviso in passato da giocatori ben più anziani di altre nazionalità. A difenderlo, curiosamente, c'è solo il Financial Times: sì, il quotidiano finanziario, il giornale più autorevole d'Europa, che oggi invece di parlare di banche e di economia pubblica un editoriale in prima pagina su Capello. Fornendo, con la precisione meticolosa di chi si occupa di finanza, soltanto cifre per esprimere un equo giudizio sul suo regno inglese: nel dicembre 2007 ereditò una squadra che non era riuscita nemmeno a qualificarsi agli Europei 2008, e in quattro anni l'ha portata a vincere il 67 per cento delle 42 partite che ha allenato. Il migliore dei suoi predecessori sulla panchina dell'Inghilterra ha una percentuale del 60. E a dispetto delle accuse di "gioco all'italiana", la nazionale inglese di Capello ha segnato di più delle precedenti, vincendo con uno scarto medio di 1,5 gol a partita. Nessuno, tantomeno Redknapp che non ha mai vinto un campionato (solo una Coppa d'Inghilterra) in tutta la sua carriera, può vantare il record di Capello, aggiunge l'articolo: nove titoli vinti in 16 stagioni come allenatore di club. Conclude il Ft: la delusione dell'Inghilterra in Sud Africa due anni fa e la probabile delusione ai prossimi Europei in Polonia/Ucraina non dipendono tanto dall'allenatore, ma dal fatto che qui si gioca il torneo più impegnativo del mondo (anzi i nazionali ne giocano quattro: Premier League, Coppa d'Inghilterra, Coppa di Lega e Champions League) e i giocatori arrivano all'estate stanchi morti.

Tratto da: LaRepubblica.it

mercoledì 8 febbraio 2012

La strage nello stadio


di Mauro Valeri
Quasi un anno fa, proprio su questo blog, avevamo raccontato della partecipazione alla “rivoluzione egiziana” di numerosi tifosi di calcio. Tra loro, i più attivi erano gli ultrà e qualche giocatore dell’Al Ahly de Il Cairo, la squadra egiziana più blasonata (36 scudetti vinti). Dopo un anno, nonostante Mubarak era stato costretto a dimettersi, è arrivata la vendetta. Infatti, pochi giorni fa, al termine della partita di campionato tra l’El Masry di Port Said e l’Al Ahly, si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo ai danni dei tifosi e dei calciatori della squadra della capitale, che ha provocato 74 morti e alcune centinaia di feriti (ma qualcuno parla si almeno mille). “Il peggior disastro nel calcio egiziano”. Alcuni giornali hanno scritto che all’origine di questa carneficina vi fossero “motivi calcistici”, uno scontro tra “tifoserie”, una rivalità calcistica sfociata in guerra. Insomma, i soliti ultrà. Invece questa volta la violenza tra tifoserie sembra entrarci davvero poco. La partita era finita 3-1 a vantaggio della squadra di casa, l’El Masry. Nessun episodio contestato nei 90 minuti (durante i quali, qualche oggetto era volato contro la curva dei tifosi dell’Al Ahly e lo scoppio di petardi aveva obbligato l’arbitro a sospendere la partita per qualche minuto). Nessun problema di classifica, visto che l’Al Ahly era al comando con 61 punti, e l’El Masry era solo settima con 43. D’altra parte, la tifoseria della squadra di Port Said non si era resa responsabile di episodi di particolare violenza in passato (a novembre era stata punita con una partita a porte chiuse per lancio di bottiglie plastica e sassi nella partita contro lo Smouha). Insomma, i motivi della rissa sanguinaria scattata al termine della partita sono essenzialmente politici. Due gli accusati: i sostenitori dell’ex premier Mubarak e la polizia.
I primi si sarebbero infiltrati tra i tifosi dell’El Masry (quasi 15mila); i secondi (almeno tremila) non avrebbero opposto alcuna resistenza alle violenze in campo, per poi prendersela con i tifosi dell’Al Ahly che erano riusciti ad allontanarsi dallo stadio. Le ricostruzioni più accreditate, sottolineano poi che “curiosamente” qualcuno aveva lasciato aperti i cancelli della curva dei tifosi dell’El Masry, permettendo così l’accesso al campo di gioco, e invece chiuso i cancelli della curva dove stavano i tifosi dell’Al Ahly e che davano direttamente sulla strada, impedendo così una loro possibile fuga. Tutti fattori che fanno ritenere che la carneficina fosse pianificata. E poi anche la data non era causale: l’anno scorso, durante quella che è stata definita la “battaglia dei cammelli”, in cui persero la vita 11 manifestanti, nelle strade de Il Cairo si erano messi in evidenza, a difesa di chi protestava e contro la brutalità della polizia speciale, i tifosi dell’Ah Ahly e anche dello Zamalek, l’altra squadra della capitale, che in quell’occasione avevano messo da parte la loro storica rivalità.
La risposta dei tifosi dell’Al Ahly all’eccidio di Port Said non si è fatta attendere. Appena rientrati a Il Cairo, affiancati nuovamente dai tifosi dello Zamalek, sono andati direttamente a piazza Tahrir per manifestare la propria rabbia contro il nuovo regime al potere in Egitto, che sembra avere ancora molti legami con il passato Mubarak. L’obiettivo principale è stato il ministero dell’Interno. Ma se a Port Said la polizia era stata inerme, a Il Cairo si è dimostrata particolarmente violenta, anche per l’utilizzo indiscriminato di pallottole di gomma e di gas lacrimogeni particolarmente potenti, di fabbricazione Usa. In due giorni di scontri, tra i manifestanti si registrano almeno due morti, decine gli arrestati, oltre 1.500 tra feriti e intossicati. La protesta finora qualcosa ha ottenuto: la dichiarazione di tre giorni di lutto nazionale, l’apertura di un’inchiesta, le dimissioni di qualche pezzo grosso della Federcalcio, la sospensione del campionato a tempo indeterminato.
Ma per i tifosi e gli attivisti non basta. Vogliono le dimissioni del maresciallo Tantawi, capo del Consiglio superiore delle forze armate, al potere da un anno. Intanto, diversi giocatori dell’Ah Ahly e della nazionale (Treika, Barakat, Motaeb), che a Porto Said si sono salvati solo per l’intervento degli elicotteri, hanno annunciato di non voler più giocare. Perché in fondo, giocare per “questo” Egitto forse non vale proprio la pena.

Tratto da: Sport alla rovescia

Sao Paulo - Brasile: SOMOS TODOS PINHEIRINHO!


Le cifre del saccheggio.


di Clarissa Sant’Ana*                                                                           
In vista dei mondiali di calcio del 2014, la classe politica brasiliana ha messo in atto l’operazione “Igiene Sociale”. 
sgombero favela sao paulo brasileOcchi ingenui sarebbero portati a credere che questo piano ambisca a garantire un sistema fognario  e acqua potabile per tutte le favelas. La verità è che, ancora una volta, il popolo è stato saccheggiato dei propri  beni comuni  e letteralmente massacrato dalla dittatura di quella politica oramai perennemente invischiata con l’affarismo di grandi potenze economiche.  
Il 20  gennaio scorso è stato accolto il ricorso che il governo social-democratico  dello Stato di Sao Paulo,  il cui governatore è Geraldo Alckmin,  aveva fatto contro la sospensione dello sgombero della Favela do Pinheirinho, a Sao José dos  Campos, città situata nell’interno della Regione di Sao Paulo.
Il terreno in questione vale 65 milioni di euro  e appartiene ad una società edile fallita, la Selecta, che deve allo Stato circa 7 milioni di euro in tasse, ed è associata al noto investitore-speculatore mondiale Naji Nahas. Da otto anni oltre 9 mila persone hanno costruito la propria vita e le proprie case su questo territorio, nella Favela do Pinheirinho.
Il giorno successivo, l’associazione di rappresentanti delle circa 1600 famiglie (10000 abitanti) consegna alla Prefettura il loro progetto di riabilitazione dell’area in alternativa a quello redatto dal governo dello Stato che prevede invece un quartiere residence per dare alloggio alle masse che riempiranno il paese durante i mondiali del 2014.  
Ma nulla è servito a bloccare l’ordine del governatore Geraldo Alckmin.
Lo sgombero sarà alle sei del mattino di domenica 22 gennaio.  Centinaia di giovani del posto si improvvisano guerrieri resistenti con caschi, scudi e mazze formando le barricate.  Da altre parti  ci si allontana velocemente con le valigie o si dorme ignari dato cha la polizia non ha annunciato lo sgombero ma ha attuato un’operazione tipo “pettine fino”, alla ricerca di armi e droga, da utilizzare poi come pretesto per giustificare l'azione repressiva. Sono in arrivo i 2000 agenti: alcuni della ROTA ( polizia militare speciale,  versione paulista della BOPE di Rio, reso celebre dal film Troupe d’elite), altri chiamati da33 città. La polizia spara proiettili di gomma e lacrimogeni. Molte famiglie vengono aggredite nelle loro case. La resistenza dura 45 minuti. Dalle sedici c’è il coprifuoco e  non circola più nessuno.  A mezzanotte molte delle case, costruite otto anni prima dalle famiglie della favela, sono state completamente demolite.
Le cifre finali sono: 7 morti di cui due bambini, uno di 9 anni e uno di uno anno e mezzo, e un ragazzo di 22 anni che teneva il figlio di 10 mesi in braccio.  Sedici arresti tra i quali una ragazza incinta.  Un poliziotto ferito.
Governo centrale , stato e comune si scaricano le proprie responsabilità nella consueta retorica partita a ping pong. Il comune boccia il progetto alternativo presentato dalla comunità definendolo  “rinviabile” e offre sistemazioni a 925 famiglie per un totale di 2850 persone. Il governo centrale nega i morti e dice che quella “era un’area troppo grande” per poterla destinare a quelle persone.
Il giorno dopo a Porto Alegre, durante il corteo di apertura del Forum Sociale Mondiale, i manifestanti fanno deviare il corteo al Tribunale di Giustizia dello Stato del Rio Grande do Sul. Entrano e all’interno esigono che la giustizia brasiliana operi nel rispetto dei diritti umani. Una compagna nel suo intervento rompe metaforicamente  il  contratto sociale dissociandosi da un governo elitista, razzista, omofobo e cieco.  Si sdraiano per qualche minuto ricordando le compagne e i compagni uccisi durante le resistenze di Pinheirinho e di Bello Monte.
Nei loro striscioni c’è scritto:
SEMPRE VAI HAVER RESISTENCIA!
NAO NOS REPRESENTAM!
A NOSSA NAO è VIOLENCIA  è FORçA!
Siamo tutt@ Pinheirinho!
Attivista di Art Lab Occupato Parma, nata a Porto Alegre in Brasile.

Tratto da: Globalproject.info