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lunedì 31 ottobre 2011

Da Ancona a Alessandria - Alessio libero subito!




UppercutApprendiamo con rammarico dal sito Global Project la notizia dei provvedimenti cautelari imposti al presidente della Polisportiva Antirazzista Assata Shakur.
La “grave” colpa di Alessio, come riporta il comunicato della Polisportiva, è stata quella di assistere ad una partita del campionato di terza categoria in cui milita la sua squadra, nonostante fosse soggetto ad un carico pendente (DASPO).
Tralasciamo in questa sede le considerazioni in merito ai provvedimenti repressivi che vengono testati tutte le domeniche negli stadi italiani per poi essere successivamente applicati a chi lotta e si mobilita per costruire un mondo ed una società migliori (ricordate le dichiarazioni di Maroni a seguito dei fatti del 15 ottobre? DASPO per i manifestanti, flagranza differita, ecc).
E sempre ai fatti di Roma è connessa la limitazione della libertà per Alessio: con la scusa di scovare i “black block” in queste settimane abbiamo assistito ad un triste giro di vite, che rivela un chiaro disegno politico, fatto di minacce, perquisizioni, provvedimenti cautelari posti in essere da procuratori e questurini per attaccare chi quotidianamente autorganizza dal basso le realtà sociali che vivono sulla propria pelle gli effetti della crisi, dagli studenti, ai precari, ai migranti.
Noi della giovane Polisportiva Antirazzista Uppercut tanto abbiamo imparato dall’esperienza marchigiana che da anni si batte perché lo sport sia un diritto di tutti e perché, sempre attraverso lo sport, si abbattano quelle barriere che impediscono di accettare le differenze e trasformarle in risorse collettive.
La nostra solidarietà incondizionata va ad Alessio, alle compagne ed ai compagni della Polisportiva Antirazzista Assata Shakur, chiediamo a gran voce l’immediata revoca dei provvedimenti cautelari a suo carico per restituirlo al più presto alle attività sociali e sportive di cui la città di Ancona ha costantemente bisogno.
Non è con le minacce, con le intimidazioni e con gli arresti che riusciranno a fermare chi in ogni angolo d’Italia e del mondo si ribella per il cambiamento globale e per costruire dal basso un modello alternativo di società.
Anche se sono centinaia i chilometri che ci separano, siamo vicini ad Alessio ed ai ragazzi della Polisportiva Antirazzista, perché la loro lotta è la nostra lotta.
Con la speranza nel cuore di rincontrarci il più presto possibile nelle strade e nelle piazze che ci vedranno protagonisti delle prossime mobilitazioni e, perché no in futuro, su un campo di calcio!
Polisportiva Antirazzista Uppercut di Alessandria


Tratto da: Globalproject.info

Bologna - Vogliamo Alessio libero!

logo palestra tpo

Comunicato di solidarietà PALESTRA POPOLARE TPO - HSL football club



Poche parole ma tanta rabbia per quanto è successo ad un fratello, ad un
 amico, ma soprattutto ad una persona che ha scelto di fare dello sport un
 linguaggio, una pratica di vita, che dà voce e vitalità a insegnamenti ed
 ideali che sempre più vengono attaccati. Ci troviamo a confrontarci con un
 mondo politico che teme chi quotidianamente prova a promulgare e promuovere
passioni che giorno dopo giorno sono oggetto di restrizioni continue e che
 cerca di destrutturare quella socialità che è in grado di nascere
 all'interno di un un rettangolo verde o sopra il tappeto di una palestra
 popolare.
 Siamo compagn^ e amic^ che hanno avuto la fortuna di conoscere
 Alessio, e al quale, pertanto, vogliamo dimostrare tutto il nostro affetto e
 la nostra solidarietà, per il lavoro svolto alLa base del quale ci sono gli
 stessi ideali che anche noi cerchiamo di condividere quotidianamente a
 Bologna.
 Viviamo in un paese dove chi  governa gode ormai di privilegi faraonici,
 totalmente ignaro di cosa possa voler dire la parola "crisi" e di tutto ciò
 che ne deriva, che firma finanziarie mandando sul lastrico milioni di
 famiglie, e in cui sono portate avanti grandi opere che di utile hanno solo
 riempire i portafogli dei soliti noti. Lo stesso paese in cui viene
 cancellata qualsiasiforma di diritto che riguarda il lavoro, lo studio, la
 sanità, e in cui, invece, chi manifesta pacificamente di fronte ad una banca
 si ritrova con 4 denti spaccati, chi prova a difendere i propri territori e
 le proprie case oggetto di gas cs e manganellate, chi difende il proprio
 lavoro licenziato o la propria casa sfrattato. Arrestare Alessio in questo
 modo ci sembra un attacco non solo alla sua persona e al progetto dell'
 A.P.D. Assata Shakur, ma anche  a tutte le persone che come lui vedono nello
 sport, e non solo, una possibilità di cambiamento, un' ALTERNATIVA a questo
 stato di cose che vogliono costringerci a subire.
 Per questo, anche se voi vi ostinerete ad imporci nuove leggi reali, daspo,
 denunce, percosse e arresti, noi continueremo ad essere sempre quelli che
 sognano e vogliono un mondo diverso dal vostro, e, per questo, lo stiamo
 costruendo e continueremo a farlo per le strade delle città come nelle
 palestre popolari, in cortei come nei campi da calcio attraversati dalle
 nostre squadre meticce e antirazziste, e, perciò, in coro, come all'interno
 di una grande curva, urliamo a gran voce ALESSIO LIBERO!!!
 i fratelli e le sorelle della
 PALESTRA POPOLARE TPO - HSL football club

Tratto da: GlobalProject.info

Alessio libero subito!


L’esempio di come si ripaga chi tutti i giorni si impegna a costruire un’alternativa partendo dal diritto allo sport



Polisportiva Antirazzista Assata ShakurQuello a cui siamo stati costretti ad assistere ieri sera al campo sportivo di Marina di Montemarciano rasenta l’incredibile.
Chi da anni lavora nel sociale e fa politica sul territorio è tristemente abituato a subire piccole e grandi angherie, intimidazioni, abusi e restrizioni di ogni sorta da parte delle forze dell’ordine.
Ma nella giornata di sabato si è davvero superato ogni limite. Alessio Abram, presidente della squadra di terza categoria Assata Sakur, al termine della partita di campionato tra la sua squadra e quella locale è stato avvicinato da 3 agenti dell’anticrimine ed invitato a presentarsi in Questura.
Una volta PRESENTATOSI VOLONTARIAMENTE in via G. Gervasoni, tra lo stupore generale di tutti gli amici e compagni, Alessio è stato arrestato ed inviato nel penitenziario di Montacuto in attesa di un processo per direttissima previsto per lunedì mattina.
La sua grave colpa? Aver assistito alla partita della squadra che, con tanta passione e sacrifici, ha fondato e  dirige, come è noto a tutta la città.
Sì, perché l’unica colpa di Alessio è stata quella di aver assistito ad una partita di calcio, anche se di TERZA CATEGORIA, nonostante avesse un provvedimento pendente di DASPO cioè il divieto di accesso a manifestazioni sportive.
Per questa “gravissima colpa” lo Stato Italiano ha inviato ben 3 agenti, di sabato pomeriggio, prima a visionare la partita e a verificare l’effettiva presenza di Alessio al campo, e poi arrestandolo dopo averlo subdolamente invitato a presentarsi in Questura con la scusa di notificargli un nuovo procedimento amministrativo.
Non ci vuole un esperto di giurisprudenza per capire l’abnorme e spropositata misura adottata dal PM anconetano; infatti, se da una parte esiste un effettivo provvedimento restrittivo nei confronti di Alessio (DASPO) da parte di una Procura (Ente Pubblico), esiste anche un regolare permesso della Federazione Italiana Gioco Calcio (altro Ente Pubblico) che autorizza in tutto e per tutto Alessio a rappresentare ed accompagnare la propria squadra all’interno del rettangolo di gioco.
Ma nell’attesa che queste più che valide argomentazioni vengano prodotte al processo di lunedì hanno pensato bene di far passare due giorni di detenzione a colui che di fatto viene preso come capro espiatorio per tutta una serie di episodi accaduti nei giorni scorsi.
Dopo la caccia alle streghe seguita ai fatti di Roma del 15 ottobre, in tutt’Italia si sono voluti colpire i rappresentanti più in vista dell’associazionismo e del movimentismo di cui anche l’Assata Shakur fa parte.
Quello a cui stiamo assistendo infatti, non è altro che un attacco in piena regola contro tutto quello che l’Assata rappresenta ed al lavoro prodotto in questi ultimi mesi ed anni.
Evidentemente in questa città portare tenacemente avanti un discorso sull’antirazzismo fondato sulla effettiva integrazione tra italiani e le diverse comunità di stranieri, il dare la possibilità a chiunque di giocare e di fare attività sportiva indipendentemente dalle proprie possibilità economiche, inserire come un virus nel calcio ufficiale una squadra che fa dell’onestà, dell’amicizia, della lealtà e non della vittoria il proprio fine ultimo, è qualcosa da contrastare con ogni mezzo e senza lesinare risorse pubbliche.
Certo l’attività della Polisportiva Antirazzista sta e stava dando i suoi frutti perché nella città di Ancona l’attenzione verso questo vero e proprio esperimento sociale è in vorticosa crescita e l’opera portata avanti da tutti i ragazzi delle associazioni sta cominciando a fare breccia in quell’invisibile e invalicabile muro che è l’indifferenza.
Solo quest’anno dalla fine di giugno a oggi sono stati pubblicati sui giornali locali ben 28 articoli in cui si è dato risalto alle attività della Polisportiva Antirazzista. Per citarne alcune: la Xª edizione del Mondialito, quest’anno divenuto Festival Antirazzista, sostenuto dal Comune, dalla Provincia e dalla UISP di Ancona, in cui hanno partecipato 450 giocatori, 30 relatori intervenuti ai dibattiti e più di 2000 spettatori a settimana. Inoltre l’Assata Shakur ha partecipato all’evento organizzato dal Colibrì in cui ha disputato allo Stadio del Conero la partita di calcio contro l’Ancona Juniores 1905, con il fine di raccogliere fondi per la potabilizzazione dell’acqua in Etiopia. Ma la vittoria più grande, raggiunta dalla Società è stata l’ottenimento dei tesseramenti per la terza categoria di tutti i giocatori stranieri. In soli 27 giorni si è affermato il diritto per tutti di giocare, nonostante molti avessero scoraggiato l’impresa. Questo risultato è stato possibile grazie all’impegno costante di Alessio e di tutte le persone che è riuscito a coinvolgere in questa battaglia di dignità.
Come la storia ci insegna, è precisamente in questi momenti che la melma del conformismo, sotto forma di Pubblico Ministero o poliziotto che sia, rialza la testa e colpisce con tutta la propria forza per bloccare sul nascere ogni possibilità di cambiamento e di alternativa. Ma è proprio in questi momenti che siamo tutti chiamati a gridare forte il nostro disgusto ed a continuare con tutta la nostra tenacia ad opporci al modello di società fondata sull’ingiustizia che quotidianamente  siamo costretti ad ingoiare.
Esprimiamo la nostra solidarietà all’amico e fratello Alessio: uno di noi, uno come noi. Se permettiamo che ciò che è capitato al Presidente dell’Assata Shakur passi inosservato, dobbiamo ricordarci che la prossima vittima dell’ingiustizia italiana potremmo essere noi.
Invitiamo tutti ad esprimere solidarietà affinché Alessio possa immediatamente essere rilasciato e ritorni al più presto a svolgere l’importante lavoro all’interno della Polisportiva Antirazzista Assata Shakur.
Chi vuole può inviare messaggi alla e-mail: assatashakurancona2001@gmail.com
A.P.D. Assata Shakur Ancona 2001
I giocatori dell’Assata Shakur
I compagni e gli amici di Alessio

Tratto da: Globalproject.info

giovedì 27 ottobre 2011

Editoriale - Roma 15 ottobre 2011: Il conflitto è un bene comune!













A Roma, il 15 ottobre, 500 mila persone hanno deciso di scendere in piazza per non perdere un occasione (ricordiamolo non di adesione a un appuntamento sindacale o partitico, ma dentro un processo di convocazione autorganizzata dai movimenti stessi), in cui finalmente le lotte che vediamo estendersi in ogni angolo del pianeta potessero incontrarsi, riconoscersi, e fare un passo ulteriore verso un orizzonte di conflitto e trasformazioni globali che giorno dopo giorno appare sempre più concreto.
Questo è il primo punto che ci interessa sottolineare, perché nel dibattito pubblico del nostro paese, sempre miope e patetico, sembra che tutti si siano dimenticati lo straordinario contesto in cui inserire tutte le vicende che hanno caratterizzato la giornata del 15 ottobre in Italia, giornata che si è presentata molto complessa, articolata, e carica di tutte le contraddizioni che insieme abbiamo affrontato in questi anni di mobilitazione diffusa e continua. Vogliamo provare a dire la nostra rispetto ai fatti di quella giornata, perché, come sempre in queste occasioni, parla di noi chi nei movimenti non c'è mai stato e chi vuole usare la giornata di sabato come pretesto per chiudere ogni spazio di partecipazione in un paese che da anni ormai vive una crisi profonda del suo “sistema democratico”.
Durante il corso della manifestazione si sono verificati episodi e fatti estremamente variegati che è corretto differenziare se si vuole fare chiarezza e non contribuire ad annebbiare la percezione di quel che è successo con l'intento di criminalizzare l'intero movimento e marginalizzare tutti quelli che in questo paese pensano che un futuro diverso possa passare solo attraverso le lotte e la loro messa in comune. Possiamo riassumere queste dinamiche così complesse – facendo ovviamente un'opera di semplificazione – sugli episodi che hanno coinvolto un numero ristretto di persone in via Cavour e la “resistenza allargata” che in piazza San Giovanni ha visto protagonisti migliaia di manifestanti.

Rispetto ai fatti di via Cavour pensiamo che politicamente la pratica messa in atto non sia utile al movimento e a chi immaginava il 15 ottobre come un nuovo punto di partenza. Nell’orizzonte di costruire forme comuni di “rottura” e “alternativa radicale” ci sfugge l’utilità politica di incendiare delle macchine ad un metro dal corteo che sfila o incendiare un palazzo. La pratica di chi, autoreferenzialmente e senza nessuna condivisione, utilizza i grandi cortei per degli sfoghi minoritari, pericolosi per incolumità dei compagni stessi, non ci appartiene e non fa altro che legittimare i discorsi di chi vorrebbe rappresentarci come una minoranza isolata.
Differentemente Piazza San Giovanni ha visto svilupparsi una rabbia espressa da centinaia o migliaia di giovani orientata a rispondere alla violenza delle forze dell’ordine. Se c’era qualcuno che cercava il morto lo si può trovare nei reparti di carabinieri, guardia di finanza, celere e ministero degli interni, che in maniera scellerata hanno ripetutamente tentato di investire decine di manifestanti disarmati, ma giustamente determinati a respingere gli attacchi. Certo è stata una dinamica articolata, confusa e complessa, in cui tante soggettività differenti hanno espresso un'insofferenza forte rispetto alla stretta autoritaria che avvertiamo svilupparsi nel nostro paese. La  complessità però non ci spaventa: ci rafforza e arricchisce. Detto che sulle “azioni” di via Cavour, permeate di un residuale e dannoso “esibizionismo”, non vale la pena spendere troppe parole, su quello che è successo per ore a San Giovanni è giusto soffermarsi di più perché ci dice più cose sul movimento, portando a galla inadeguatezze comunicative e strategiche.

I movimenti che si sono affacciati sullo spazio europeo, nord-africano e, più di recente, negli Stati Uniti, ci parlano non solo della crisi della rappresentanza o della assunta centralità di elementi come il reddito e  i beni comuni, ma aprono anche nuovi spazi di conflitto in cui finalmente a diventare protagonista del dibattito politico è la possibilità concreta di modificare l’esistente. La rabbia, l’insoddisfazione e la precarietà esistenziale che ormai pervadono completamente la vita di milioni di persone ci costringono a fare i conti con un’opportunità e uno scenario nuovi e quanto mai concreti, in cui il conflitto sociale radicale determina dinamiche di consenso diffuso e generalizzato. Uno scenario dove il conflitto sociale potrebbe finalmente declinarsi secondo una logica maggioritaria e per questo vincente. Piazza San Giovanni ci parla proprio della nostra urgente necessità di aprire una discussione vera e responsabile su questo e trovare, attraverso un nuovo piano di interlocuzione tra le varie componenti che animano il movimento stesso, la strada più efficace per interpretare senza semplificazioni questo “elemento sfuggente” e fare in modo, tutti insieme, che la rabbia e l’insofferenza che legittimamente permea sempre più un’intera generazione, possa essere espressa all’interno di un piano organizzativo e strategico intelligente e condiviso. Esattamente quello a cui abbiamo dato vita, pur dentro mille difficoltà, recentemente in Val Susa e a Roma il 14 dicembre scorso.
Senza scivolare sul pernicioso piano morale che definisce trascendentalmente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cos’è violenza e cosa no, crediamo che ciò che è avvenuto sabato a Roma ci costringa ad aprire un ragionamento serio sulle pratiche, sulle modalità e sugli obiettivi che ci diamo in piazza. Ma questi sono affari nostri e non di questure o delatori di sorta (tanto meno di chi si arroga di rappresentare ciò che sfugge ad ogni rappresentanza e rappresentazione).

Detto questo, nei giorni successivi alla straordinaria giornata del 15 ottobre il dibattito pubblico del nostro paese si è come sempre concentrato sul tentare di dividere un movimento che fino a sabato era riuscito a spostare l'attenzione pubblica verso la violenza che la crisi e le sue conseguenze stanno portando nella vita di tutti noi.
Fin dalle prime battute  media main stream e forze politiche hanno costruito il discorso pubblico sulla dicotomia interna al movimento tra buoni e cattivi, tra bene e male. Da anni respingiamo questo ragionamento. Da anni, nelle lotte reali, all'interno delle assemblee, questa divisione costruita ad arte sembrava essere sorpassata. Nella lotta contro la riforma Gelmini una moltitudine di pratiche e posizionamenti differenti sono state in grado di creare la più grande mobilitazione sociale del nostro paese degli ultimi anni. Ci sembra questo il cuore del ragionamento che debba prodursi all'interno del movimento, ponendo come punto comune da cui non arretrare il fatto che solo dentro i processi di lotta possono essere individuati gli strumenti più utili nella costruzione e nell'avanzamento delle lotte stesse. Respingere i tentativi di divisione significa uscire da questo piano del discorso, sempre fuorviante e volutamente provocatorio, e ribadire che solo nella contaminazione di pratiche e discorsi possiamo immaginare un futuro differente.

In questo contesto non ci stupisce che si dia spazio a ridicole reti universitarie (vedasi Run, rete universitaria dei Giovani Democratici), mai viste e mai sentite nelle nostre facoltà, pronte ad aiutare la polizia, che si intervistino black block chiaramente inventati, che si provi a tracciare la mappa dei movimenti buoni e di quelli cattivi.

Ci riempie di rabbia invece guardare a Repubblica e al Partito Democratico e vederli in prima fila nell'incoraggiare la delazione di massa nel riconoscimento di chi ha resistito in piazza San Giovanni: una pratica triste e fortemente reazionaria. Ci interroghiamo su come chi ha deciso di essere in piazza sabato, ognuno con la propria attitudine, si possa prestare a legittimare i discorsi di chi giorno dopo giorno continua a sfruttare, rubare e violentemente imporre tutte le conseguenze di questa crisi a precari, lavoratori e studenti. E invitiamo tutti quelli che hanno partecipato ai movimenti negli ultimi anni, a ripensare i media come strumento di chi svuota ogni giorno di più il senso della democrazia e della partecipazione. Ci sembra evidente che contribuire a moltiplicare questo discorso non possa che chiudere ogni spazio democratico in un paese che vive in questo senso già una profonda e drammatica situazione.

Infine vorremmo spendere due parole (perché non ne meritano di più) su quei politici che dopo la manifestazione di sabato hanno parlato di cancrena nei movimenti e hanno invocato una legislazione speciale per bloccare il conflitto sociale del nostro paese. Non possiamo nascondere il forte rammarico nei confronti di Nichi Vendola che, per probabili questioni di “opportunità”, ha fatto delle gravi dichiarazioni mostrandosi assolutamente dissociato dalle vere contraddizioni che in questi mesi vediamo dispiegarsi nel nostro paese, rivelando quanto lontana sia da lui l'attitudine a capire e a contaminarsi con la complessità delle dinamiche sociali, mai lineari e sempre in divenire. Antonio Di Pietro si spinge oltre e arriva ad invocare una nuova legge Reale per prevenire lo svilupparsi di conflitti che, nel processo di crisi strutturale, si preannunciano potenti e potenzialmente determinanti. Immediatamente Maroni accoglie le denunce dei due esponenti dell'”opposizione”. Ed è così che quelli che potevano in qualche modo sembrare degli interlocutori del  movimento si presentano in prima fila, ancora prima che lo faccia un vero fascista come Maroni, ad invocare la chiusura degli spazi di partecipazione e di conflitto o quantomeno, nel caso di Vendola, ad alimentare un insopportabile frame generale connotato da semplificazioni che nutrono il piano strategico di criminalizzazione del movimento e delle sue istanze.

Tutto questo per noi è stato il 15 ottobre. E ripartiamo consapevoli che nonostante tutto il nostro paese è in fibrillazione e che, dove regna il caos, c'è sempre una possibilità di trasformare la realtà che viviamo, intrecciando l’istinto e l’intelligenza tattica, le pulsioni rabbiose e la lucidità necessaria per vincere.


Lab Cr.a.C.K - Reality Shock
UniCommon Padova
Tratto da: Unicommon.org

sabato 22 ottobre 2011

LIBERO ARBITRIO


di Ivan Grozny
Arbitrarsi da soli? Non sarebbe meglio? Può sembrare una provocazione, ma forse non è proprio un’idea da buttare. Ma andiamo per ordine..
Se si mettono a protestare anche i rugbysti, vuole dire che c’è davvero qualcosa che non funziona. Già, perché la semifinale di Coppa del Mondo di Rugby che si sta disputando in Nuova Zelanda è giunta al suo atto finale non senza polemiche. 
Nella semifinale tra Galles e Francia, c’è stato un grande spettacolo. Un grande match. I gallesi possono però recriminare per l’espulsione, al 18′, del capitano, il terza linea Sam Warburton, reo di un placcaggio violento nei confronti dell’ala francese Julien Clerc. ”Lui non è un giocatore violento. Perché rovinare così una semifinale con un cartellino rosso?”, si è chiesto dopo l’incontro l’allenatore del Galles, il neozelandese Warren Gatland. Va ricordato che il match, combattutissimo, è finito col risultato di 9 – 8. E in Francia ci sono state non poche polemiche sulla qualità del gioco espresso dal team transalpino, ma questa è un’altra storia…
In precedenza, Eliota Sapolu Fuimaono, campione delle Samoa ha criticato fortemente l’operato dell’arbitro nella partita persa con il Sudafrica, e rischia una squalifica lunghissima. Addirittura la radiazione. Questo per avere criticato via Twitter il direttore di gara. Alle Samoa hanno pure organizzato una colorata manifestazione contro quella che potrebbe essere la decisione della federazione internazionale.
Nel rugby sarebbe tradizione non fare questo tipo di considerazioni. Dare troppa importanza alla prestazione dell’arbitro. Per rispetto di chi da sempre pratica, segue e si appassiona a questo sport, quindi, lasciamo a chi legge le proprie considerazioni.
Anche perché, in realtà, il fatto di cui voglio parlare è strettamente collegato, ma anche no, potrebbe obiettare qualcuno.
Sono partiti tutti i campionati di calcio, a questo punto della stagione. Anche quelli non professionistici, per intenderci. E quelli per i più piccini.
Fino a qualche tempo fa erano i dirigenti di questa o quella squadra a occuparsi di arbitrare le partite. Da adesso, invece, la FIGC ha deciso che saranno gli stessi ragazzini ad autoregolamentarsi. Ad arbitrarsi, di fatto. Com’è sempre accaduto in patronato, in quartiere, in strada.
Le notizie buone sono due. La prima è che la decisione che ha preso la Federazione è assolutamente sensata. E questa, consentitemi, è già una notizia.
La seconda è che mi sembra una decisione assolutamente condivisibile. Nel mio piccolo sono anni che auspico questa scelta, e sono piacevolmente sorpreso. Sono certo che se accadesse la stessa cosa anche ad alti livelli ci permetterebbe di assistere a partite migliori e credo anche più regolari.
Ma siccome stiamo parlando di bambini, e su questo che mi soffermerei.
Mi sembra positivo perché non può che alimentare comportamenti leali. Perché di sicuro il gioco diventa così più veloce, e ci si ferma proprio quando è inevitabile. Si conoscono a fondo le regole, e inoltre credo che, non solo con gli avversari, ma anche tra compagni, i comportamenti migliorerebbero inevitabilmente. Ne sono certo.
Anche lo scorso week end, nelle serie maggiori, ci sono state polemiche e squadre scontente dei direttori di gara. Dichiarazioni al vetriolo per richiamare l’attenzione del designatore. Questo non fa altro che creare un clima teso e un’atmosfera che non da  un’idea di trasparenza e correttezza.
Siccome questo è, come potrei dire, un male difficile da curare, speriamo almeno che i ragazzini sotto i dieci anni che hanno iniziato tale nuovo percorso, sapranno insegnare anche ai più grandicelli l’atteggiamento da tenere. Mi sembra un ottimo investimento per il futuro.
Anche perché conosciamo bene il clima che spesso si crea in queste partite, dove gli spettatori sono gli stessi genitori, e non sempre il loro comportamento è così educativo. Speriamo che questo cambiamento contribuisca a rasserenare il clima generale, prima che a qualcuno venga in mente di risolvere il problema dando la daspo a famiglie intere..

Tratto da: Sportallarovescia.wordpress.com

Parma - L'autorecupero di Art Lab e i nuovi progetti


Dopo cinque mesi di occupazione

mettiamo in onda l'alternativaFino ad oggi, l'associazione “Generazioni Precarie” ha investito € 935,55 per svolgere la prima fase del progetto di autorecupero degli spazi al pian terreno in Borgo Tanzi 26.
Rendiamo note le spese sostenute per dimostrare che l'autogestione non è un concetto astratto e irrealizzabile, bensì una pratica reale attraverso cui le persone possono diventare concretamente soggetti di cambiamento della società in cui vivono, a differenza del sistema di gestione pubblico che sperpera denaro, che lascia andare in malora e svende il patrimonio di tutti al mercato privato, sottraendolo così alla collettività.
A distanza di 5 mesi dall'occupazione dello stabile, avvenuta in occasione dello sciopero generale del 6 maggio, gli studenti hanno realizzato un impianto idrico ed elettrico a norma, lavori di muratura, riparazione delle finestre, lavori di capitolato e arredamento. Ad oggi tre sale sono fruibili da tutti e potrebbero essere idonee per una convenzione tra l'istituzione universitaria e l'aps Generazioni Precarie. L'associazione, infatti, ha ottenuto l'iscrizione al registro provinciale delle associazioni di volontariato ed ha già avviato un dialogo costruttivo con altri enti pubblici istituzionali, in particolare con l'assessorato alle politiche giovanili della Provincia di Parma.
Però, a fronte delle molteplici richieste di incontro rivolte sia al Rettore Ferretti che al CdA di Ateneo, e nonostante le spese sostenute, l'impegno, la costanza, l'energia e l'entusiasmo messe in campo, per svolgere i lavori di autorecupero, l'Università di Parma, proprietaria dello stabile, ha negato all'associazione qualsiasi possibilità per un tavolo di trattativa. A quanto pare il Rettore e il CdA non hanno intenzione di mettersi in gioco e di credere sulle potenzialità del progetto Art Lab.
Al contrario delle istituzione universitarie, però, il corpo vivo dell'università, quello che subisce quotidianamente i tagli, la sospensione dei servizi e dei corsi di laurea, il caro prezzi degli affitti e delle mense, ha deciso  di crederci, di finanziarlo e di promuoverlo: sono tantissimi i docenti, i ricercatri e gli studenti che hanno attraversato lo spazio, che hanno fatto donazioni per l'autorecupero e che hanno dato vita a progetti e laboratori. E' con loro che il desiderio di cambiamento prenderà vita ed è grazie a loro che l'università di Parma ha ancora una possibilità di resistere alle miserie del presente.
I progetti che inizieranno nelle prime tre sale autorecuperate sono tanti: una sala studio aperta nel weekend quando le normali biblioteche sono chiuse, rassegne cinematografiche tematiche che offrano spunti di approfondimento sulla politica e l'attualità, il book-crossing come come costruzione di una biblioteca fluida e cangiante attraverso lo scambio gratuito di libri, la sala lettura con abbonamenti a riviste e quotidiani e annessa caffetteria, il laboratorio fotografico di inchiesta sociale.
In questi cinque mesi si è ridato vita ad uno spazio abbandonato da vent'anni, organizzando assemblee pubbliche, incontri, proiezioni, dibattiti, proponendo un modo alternativo di vivere il quartiere e la città e strappando con forza nuovi spazi democratici. Abbiamo conosciuto gli abitanti del quartiere, giovani e anziani, che ormai sono diventati amici e che sostengono e partecipano attivamente ai nostri progetti.
Vedere che tanti e tante credono e contribuiscono alla crescita di un'alternativa partendo da questo spazio, ci spinge ad urlare ancora più forte che ART LAB E' UN BENE COMUNE.
Contatti web:
artlaboccupato.blogspot.com
generazioniprecarie@gmail.com
Le assemblee:
Assemblea di approfondimento e analisi politica: lunedì ore 21.30
Assemblea del collettivo degli studenti medi: mercoledì ore 17
Assemblea di gestione dello spazio pubblico Art Lab: mercoledì alle ore 18.30...Se hai proposte, idee, progetti questo è il momento giusto per proporli!
Prossimi appuntamenti:
I giovedì di art Lab: serata studentesca/universitaria al Book Block Cafè
I giovedì universitari di Art Lab: il book block cafè
Le domeniche di Art Lab: rassegne cinematografiche (la prima sarà sulla crisi globale), arte (esposizioni, mostre, live painting exibition) e musica.
Le domeniche di Art Lab: cinema e arte
Borgo Tanzi 26 Parma

Tratto da: Globalproject.info 

mercoledì 19 ottobre 2011

Oltre il 15 ottobre - Non un passo indietro, neanche per prendere la rincorsa



Il 15 ottobre oltre 50 000 studenti e studentesse provenienti da tutt’Italia si sono ritrovati a piazzale Aldo Moro, rispondendo all’appello della Sapienza per la costruzione di uno spezzone studentesco che confluisse nel corteo insieme a tutti gli altri soggetti sociali che hanno promosso la costruzione di quella giornata. L’intuizione di costruire uno spezzone studentesco unitario si è dimostrata vincente, convinti che esista un filo conduttore che lega la crisi del debito pubblico e della finanziarizzazione dell’economia allo smantellamento della formazione e della ricerca pubblica.
Non è retorica: ci sentiamo davvero quel 99% che non sopporta più di leggere le scelte della politica attraverso la lettera di Draghi e Trichet, quel 99% che pensa che non ci sia democrazia senza coinvolgimento dei soggetti sociali nelle scelte che riguardano le nostre vite. Siamo quel 99% che partendo da un’idea diversa di scuola e università, attraverso percorsi di mobilitazione reali, prova a costruire un’idea diversa di democrazia, di economia, di politica, di società.
Per fare questo il movimento studentesco ha scelto negli ultimi anni di costruire e praticare un conflitto sociale largo, attraverso pratiche di massa che sapessero tenere insieme pratica dell’obiettivo, conflitto sociale e consenso, radicalità ed efficacia. Non abbiamo mai esitato a sfidare i divieti di chi voleva impedirci di manifestare nei luoghi e nelle forme che sceglievamo durante la mobilitazione, convinti che il conflitto sia un’opportunità politica, nel momento in cui si pone l’obiettivo di invertire i rapporti di forza e di opporsi alla repressione del potere politico, per riaprire spazi di cambiamento. Tramite decisioni collettive, abbiamo deciso se e quando violare le zone rosse per manifestare sotto i palazzi del potere (politico ed economico), così come abbiamo deciso se e quando lasciare quei palazzi del potere soli nelle zone rosse per riprenderci le strade che ci venivano sottratte da un governo sordo e da un parlamento svuotato di senso.
Con questo spirito abbiamo costruito la data del 15 ottobre, attraverso percorsi assembleari nell’università, coinvolgendo le migliaia di studenti che hanno deciso di tornare a invadere le strade di Roma, riportando in piazza i book block, che hanno caratterizzato il nostro movimento lo scorso anno.  L’abbiamo fatto insieme a quel mezzo milione di persone che, nell’irriducibile molteplicità di pratiche e di idee che contraddistingue i movimenti più grossi, è sceso in piazza spontaneamente per porre fine a un presente schiacciato dallo strapotere delle Banche Centrali e della Finanza e per riprendersi il futuro.
Non ci piacciono le semplificazioni, ma siamo convinti che il livello del conflitto sia espressione della capacità di un movimento di autodeterminarsi, non delle forzature di pochi.  Per questi motivi leggiamo come un attacco alla stessa manifestazione la volontà di alcuni gruppi di sovradeterminare le modalità di un intero corteo, mettendo in campo delle azioni che, in una logica del tutto minoritaria ed incomprensibile ai più, hanno impedito agli altri manifestanti di protestare liberamente, nelle forme da loro scelte.
Crediamo che sia diversa la scelta di quanti hanno resistito in piazza S. Giovanni alla reazione repressiva e scomposta della polizia che, attraverso l’utilizzo di idranti e caroselli con i blindati ha attaccato l'intera piazza. Il comportamento delle forza dell’ordine, guardavano sicuramente al giorno dopo, quando (come sta accadendo) si sarebbe potuto parlare di Legge Reale di arresti nel mucchio, perquisizioni a tappeto, di chiusura di ogni spazio di agibilità per chi vuole manifestare in un momento in cui l’autunno sarebbe stato particolarmente caldo.
Non ci piacciono le semplificazioni della stampa, perché provano a dividere i manifestanti tra aggressori e vittime, ma noi “vittime” non ci sentiamo. Lo spezzone studentesco ha proseguito la giornata del 15 ottobre con un corteo selvaggio non autorizzato, che ha bloccato la città e la tangenziale fino alle 21 di sera, raccogliendo ancora una volta il consenso della gente che applaudiva e si univa a noi.
Per questo motivo ripartiamo dal 15 ottobre per rilanciare una nuova stagione di lotta in questo paese. Siamo convinti che la sfida lanciata in tutto il mondo della costruzione di un movimento globale non possa arrestarsi. Manifestazioni in 1.000 città e 82 paesi di tutto il mondo ci parlano di un’opportunità enorme per la costruzione di un’alternativa economica, sociale e politica. Un movimento che non si spaventerà davanti ai deliri repressivi di Maroni, che invaderà ancora le strade e le piazze, con quella indignazione e quei desideri che da sempre hanno caratterizzato le nostre pratiche e i nostri cortei.
Ripartiamo già da domani dall’università, rilanciando i percorsi di mobilitazione nelle forme che hanno caratterizzato le nostre manifestazioni lo scorso anno e provando a proporne delle nuove, anche analizzando le esperienze di altri paesi come Spagna, U.S.A., Cile
Siamo convinti di non poter tornare indietro adesso, nemmeno per prendere la rincorsa.

Studenti e studentesse della Sapienza in Mobilitazione

Tratto da: Unicommon.org

lunedì 10 ottobre 2011

Reggio Emilia- Torneo "Welcome", giochiamo a calcio con i migranti arrivati da Lampedusa




L’associazione Città Migrante, Ga3, Asnocre e i gruppi locali di Emergency ed Amnesty International hanno promosso il torneo Welcome!, manifestazione sportiva -giochiamo a calcio coi migranti arrivati da Lampedusa, che si è svolto sabato 8 ottobre a partire dalle 15.30 presso il campo si Cadè , Via Reggiolo (Reggio Emilia).
Il torneo ha coinvolto molte persone che si sono organizzate in squadre e i migranti arrivati da Lampedusa che abitano e vivono il nostro territorio. Al torneo hanno partecipato sia squadre della provincia che provenienti da fuori, oltre che squadre miste di singoli cittadini di ogni provenienza. Hanno giocato in totale una decina di squadre, le persone presenti erano circa un centinaio. Dopo ore di gioco si è arrivati al vincitore: ha vinto la squadra della dignità! Ringraziamo la polisportiva di Cella che ha messo a disposizione il campo di cadè e l'utilizzo degli spogliatoi, la polisportiva Zelig per le casacche e tutto l'occorrente per lo svogimeto del torneo, le persone e le tante associazioni che hanno partecipato alla giornata.

L’idea del torneo è stata quella di offrire occasioni di scambio, socialità e relazioni per costruire reti e legami fra le persone, in questo caso utilizzando lo sport come strumento per unire e contro il razzismo, come recita lo slogan della giornata: diamo un calcio al razzismo! Il percorso che come associazioni già da tempo mettiamo in campo, come per esempio la festa organizzata alla Gabella di via Roma lo scorso giugno ( che ha visto la partecipazione di più di 100 persone) è quello di cercare di offrire un’accoglienza vera che possa andare oltre il vitto e l’alloggio ma che sia in grado di costruire opportunità nel territorio.
Oltre a costruire reti sociali il torneo è anche strumento importante per ribadire la nostra indignazione rispetto alle politiche in tema di immigrazione portate avanti dal Governo, pensiamo soltanto alla deportazione dei migranti con le navi lager e alle manganellate a Lampedusa.
Il problema della clandestinità potrebbe presentarsi nei prossimi mesi anche ai profughi provenienti dalla Libia originari di paesi dell’Africa subsahariana in caso che sia respinta la domanda di asilo perché potrebbe non rientrare nelle regole rigide della protezione internazionale
Per tutti questi motivi il torneo welcome oggi più che mai grida dignità non clandestinità


Tratto da: Globalproject.info

domenica 9 ottobre 2011


#occupiamobancaditalia


Roma 12.10 ore 16 - #occupiamobankitalia Per non pagare il debito! Per riscuotere il credito sociale! Verso il #15oct


https://fbcdn-profile-a.akamaihd.net/hprofile-ak-snc4/276434_183372021741029_732139704_n.jpgI Draghi ribelli apronola campagna su facebook e su twitter #occupiamobancaditalia - Ecco il comunicato che riportiamo sul nostro sito.
In tutto il mondo si moltiplicano le mobilitazioni contro la dittatura finanziaria delle banche e della speculazione globale che usano la crisi per attaccare e smantellare i servizi pubblici, il welfare, la formazione, per cancellare i diritti e appropriarsi dei beni comuni. Da Madrid a New York, da Santiago del Cile ad Atene, da Tel Aviv a Re...ykjavik, si alza la voce delle "(multi)generazioni senza futuro" che non vogliono pagare la crisi, che si sottraggono alla retorica della "responsabilità generale" del debito, che immaginano un'alternativa di società a partire dalla redistribuzione radicale delle ricchezze e dalla condivisione delle risorse comuni. Il 99% del pianeta è indisponibile a subire l’avidità di pochi.

In vista della giornata globale del 15 ottobre contro le politiche di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea e dal governo Berlusconi, il 12 ottobre organizziamo un evento pubblico di protesta e di proposta che individui nella Banca d'Italia e nella BCE le istituzioni di una nuova governance globale che impone decisioni al di fuori da qualsiasi legittimità democratica.

Il 12 ottobre, a palazzo Koch, nel cuore della capitale, si terrà il convegno internazionale "L’Italia e l’economia mondiale, 1861-2011", con la presenza del Presidente della Repubblica Napolitano e del Presidente della Banca d'Italia Draghi.

Ai piani segreti della Bce e alle sue "raccomandazioni riservate", alle lettere di Draghi e Trichet rispondiamo con una lettera pubblica al Presidente Napolitano, in quanto garante della Costituzione italiana, oggi oggetto dell'attacco neoliberista bipartisan che vorrebbe inserire nella nostra carta fondante il vincolo del pareggio di bilancio. La chiamano la “regola d’oro”, noi la conosciamo come povertà e la chiamiamo ingiustizia: le nostre vite non sono in debito, le nostre società non le detiene nessuno.
Vogliamo mettere in discussione il ricatto del debito, far emergere l’urgenza della redistribuzione delle ricchezze, per difendere i diritti di chi lavora e per un nuovo welfare universale che contrasti la precarietà e l'intermittenza di reddito.

In sintonia con le acampadas e le libere occupazioni in Spagna, negli Usa e in tanti altri paesi, costruiamo uno spazio pubblico di incontro e di protesta prolungata. Esprimiamo la nostra voglia di giustizia sociale e di cambiamento attraverso una semplice rivendicazione: non paghiamo il debito! Riscuotiamo il credito sociale!

Il 12 ottobre alle 16, troviamoci sotto la sede della Banca d’Italia di via Nazionale, senza bandiere e oltre i recinti delle identità, per rivendicare insieme il diritto all’insolvenza. Siamo il 99%, abbiamo un mondo intero da reinventare.

12 ottobre, ore 16, @ Banca d’Italia (Via Nazionale, Roma)
#occupiamobankitalia verso il 15Ottobre

Tratto da: Unicommon.org

Serbia – Italia: l’inutile e l’ineluttabile


di Ivan Grozny
Quella che si giocherà al Marakanà di Belgrado è fondamentalmente una partita inutile per l’Italia. Affrontare i padroni della Serbia avendo già raggiunto la qualificazione dovrebbe lasciare tranquilli tutti. Invece, nel ricordo di quanto è successo all’andata, è chiaro che ci si ponga delle domande.
Almeno ogni tanto, è lecito aspettarselo anche da parte di chi solitamente non lo fa.. ma il problema è stabilire che tipo di domande ci si pone.
Mi spiego. In questi giorni tutti a ricordare Ivan Bogdanov – Ivan il Terribile, la “bestia”, l’uomo che ha messo a ferro e fuoco lo stadio Marassi di Genova. Tutti a dire che sono episodi da stigmatizzare, e lo ha fatto anche Mihajlovich, a dire poco criticando il comportamento degli Ultras serbi quel giorno.
Quindi, tutti a dire che è stata una vergogna, che certi comportamenti sono inaccettabili.
E quindi? No, voglio dire. Tutto qui?
Perché le questione, e mi sembra di potere dire, non solo a me, erano tante, diverse e inquietanti. Ma possibile che tutto si racchiuda in una questione di “disordine pubblico”?
No, io non ci credo. Non può sempre essere tutto ridotto a impedire di andare allo stadio queste e quelle persone. E’ non solo riduttivo, ma sfacciatamente inaccettabile.
Ricordiamo cosa abbiamo detto in occasione della partita di andatahttp://sportallarovescia.wordpress.com/2010/10/13/nostalgia-canaglia/
Il piccolo dibattito che si è aperto sul blog in quella occasione può già darci diversi spunti di riflessione. Aggiungiamoci che, gli italiani che si stavano mobilitando per andare a seguire la Nazionale fanno parte tutti di Ultras Italia, sigla che raccoglie supporter dalle curve più nere d’Italia: Verona, Treviso, Padova, Ascoli Piceno, Pescara, Reggio Calabria, Angri, tanto per fare dei nomi.
Chi avrà seguito le partite della selezione azzurra ha potuto notare che in curva non ci sono striscioni ma bandiere tricolori con scritta la città di provenienza. Nient’altro. Si sono contraddistinti per l’opposizione a certe scelte di Prandelli, che ha aperto le porte anche ai nuovi italiani, cosa che ad esempio, Marcello Lippi si era ben guardato di fare. Salutano il camerata Buffon intonando un coro che non lascia il campo a nessuna ipotesi di dubbio. E lui risponde salutando.
Inneggiano al duce, sì, proprio lui, ma non mi sembrava fosse un gran che come giocatore. Neppure in quello, figuriamoci..
Quindi, mi chiedo, cosa ci sia di diverso tra gli ultras serbi e quelli italiani? Di destra, sono di destra. Nazionalisti e xenofobi, lo sono entrambi. Forse la differenza la fa che quelli serbi, forse non solo per merito loro, hanno raggiunto il loro obiettivo, a Genova, mentre quelli italiani neppure lo stadio di Belgrado?
I supporter serbi addirittura sostengono che è la stessa polizia Serba che avrebbe accolto a dovere i sostenitori italiani, con il dente avvelenato per come i colleghi liguri hanno trattato i tifosi della nazionale serba. E bisogna ricordare che a Genova, c’era un chiaro intento politico da parte di chi ha scatenato i disordini, e riguarda l’annosa questione dell’entrata in Europa del paese balcanico.
Un bel quadretto, vero? Ma non era una partita inutile, svuotata di troppi contenuti tecnici?

La battaglia di Karen Murphy – Come sconfiggo Sky!


di Ivan Grozny
Devo dire che raccontare e commentare questo tipo di notizie è proprio uno spasso. Eh già!
Evitiamo pure di dirlo sotto voce, diffondiamo invece il più possibile quello che ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea a proposito di diritti televisivi. Tutto nasce dall’esposto risalente a otto anni fa della English Football Association che denunciò Karen Murphy, la titolare del Red, White and Blue, un pub di Portsmouth (UK) dove venivano trasmesse le partite della Premier League (la serie A inglese) senza rivolgersi all’esclusivista Sky, e invece utilizzava piattaforma, decoder e scheda prepagata di un gestore greco, molto più a buon prezzo.
Partita la denuncia è partito anche il contrattacco della Sig.ra Murphy, che si è rivolta alla Corte Europea e, ebbene sì, l’ha avuta vinta lei. Già, perché, citando un passaggio della sentenza, “Una normativa che vieti l’importazione, la vendita o l’utilizzazione di schede di decodificazione straniere è contraria alla libera prestazione dei servizi” e non può essere giustificata né per ”tutelare i diritti di proprietà intellettuale” né “per incoraggiare l’affluenza del pubblico negli stadi”. Gli incontri sportivi, precisa inoltre la Corte Europea, “non possono essere considerati creazioni intellettuali proprie di un autore” e il divieto di utilizzare schede televisive straniere va “al di là di quanto necessario per garantire un’adeguata remunerazione dei titolari di tali diritti”.
Come l’avrà presa Murdoch, secondo voi? E i dirigenti della federazione inglese? Che sono poi gli stessi che hanno dato il via a un sistema che oggi è realtà in tutta Europa, e non solo. E che di fatto ha permesso alla Premier di crescere e arrivare ai livelli che conosciamo. Ci chiediamo se un cittadino inglese, consapevole di quest’opportunità, abbia ancora motivo di rivolgersi a Sky dal momento che può scegliere una soluzione più conveniente. La domanda è lecito porsela. C’è il rischio che il sistema possa davvero andare incontro a grosse difficoltà, perché la stessa emittente di Murdoch, conscia dei rischi che questo provvedimento può creargli, perché dovrebbe pagare cosi tanto, versando milioni di sterline a club e federazione, quando da adesso non ha più la garanzia che il consumatore dovrà per forza rivolgersi a loro?
Interessante.
E questo non vale solo per l’Inghilterra…voglio proprio vedere cosa succederà. Verrebbe da ordinare una pinta di birra, sedersi a un pub e vedere cosa accade. Il libero mercato è una parola che spesso è vuota di senso, perché in realtà dietro vi si nasconde un monopolio. Ma quando questo viene scalfito, bisogna innanzi tutto aspettarsi le contromosse da parte del gruppo del tycoon australiano. Allo stesso tempo un brindisi a Karen Murphy è proprio meritato. Perché dopo la denuncia non si è arresa nonostante di fronte avesse nientemeno cheSky e la federazione inglese.
“Sono felicissimo per Karen – racconta un assiduo frequentatore del Red, White and Blue – e per tutti i fan del calcio del paese, il calcio ora dovrà diventare realista come tutti noi. Le squadre dovranno abbassare i prezzi per competere con i pub perché ci saranno cosi tanti canali satellitari che trasmetteranno le partite”.
E di conseguenza una reale concorrenza. Perché ampliandosi la possibilità di scelta (in certi Paesi i prezzi sono molto inferiori rispetto all’Inghilterra o alla Germania, ma anche all’Italia) è molto probabile che ci si rivolga ad altre aziende piuttosto che a quelle finora praticamente imposte.
Esattamente l’opposto di quello che volevano coloro che escono sconfitti da questa sfida che sembrava impari, ma il cui esito è destinato, un po’ come fu per la sentenza Bosman, a cambiare ancora una volta questo amatissimo sport.
Intanto, cheers… beviamoci su

Ti amo campionato


di Ivan Grozny
Finalmente è cominciato il campionato. Lo so, lo so, qualcuno obietterà che siamo alla quinta giornata, e che quindi è da un po’ che si è dato inizio alle danze.
Ma visto che non c’erano state ancora polemiche vere e proprie, era come se fosse ancora calcio d’agosto, non solo per le temperature medie stagionali.
Invece ora si è davvero dato fuoco alle polveri. I primi big match, i primi verdetti, e le prime grandi polemiche.
Da cosa cominciare? Da queste ultime?
No, io vorrei cominciare dalla tessera del tifoso, forse solo perché ho voglia di divertirmi un po’.
Milano, sabato 2 ottobre. SI gioca Inter – Napoli. Per l’organo di controllo delle manifestazioni sportive è una partita mediamente a rischio. Mediamente. Infatti i tifosi sono come sempre mescolati, a parte gli ultras che finiscono in terzo anello, tutti gli altri tifosi partenopei, e sono tanti,
si distribuiscono nei vari settori. Devo ammettere che a me la cosa piace, perché San Siro è un po’ come il teatro, si va con la consapevolezza di potere assistere a uno spettacolo comodamente seduti. Come dovrebbe accadere ovunque. Ed è bella l’atmosfera che si crea. Il derby è poi qualcosa di speciale. Pure essendo stato costruito quasi ottantacinque anni fa, è stato infatti inaugurato nel settembre del 1926, l’ottica era già quella di costruire un impianto solo per il football. E ancora oggi è uno dei pochi impianti italiani da cui la partita si vede benissimo. E non sfugge proprio nulla.
Ma non è di questo che volevo parlare, bensì della tessera del tifoso. Del fatto che interisti e napoletani erano appunto mischiati gli uni agli altri, e ci sono stati momenti di grande tensione. Addirittura si sono viste lame e aggressioni in tribuna, davanti a bambini e gente che di queste cose proprio non ne vuole sapere. Non un bello spettacolo. Allora mi chiedo, ma che senso ha tutta questa propaganda dietro a una tessera che non è altro che una carta di credito, che non serve a nulla oltre all’acquisto di prodotti di questo o quel club? A me piace molto vedere la partita mischiato a tifosi dell’altra squadra, ripeto. E’ davvero piacevole, non c’è che dire. Ma è necessaria una cultura sportiva, e in questo Paese è merce rarissima. Perché tutto nasce dal fatto che la partita è stata assolutamente rovinata dal direttore di gara, che è riuscito a creare una tensione tra il pubblico che di fatto prima non c’era. E questo causa malcontento perché l’arbitro in questione era a dire poco recidivo, e assolutamente inviso a tutto il pubblico, che di memoria un po’ ne ha.
L’arbitro Rocchi ha appunto dei pessimi precedenti con l’Inter, e mandarlo a dirigere una partita così non è stata una buona idea. Il suo modo arrogante di arbitrare (e non alludo al rigore o alle ammonizioni) ha indispettito il pubblico più che le decisioni sbagliate.
Ma appunto, la cultura sportiva tanto decantata fa fatica a imporsi se gli atteggiamenti sono quelli mostrati al Meazza sabato sera. E peccato perché la partita era davvero bella. Fino a quando l’hanno giocata i giocatori in campo. Ma siccome è la FIFA che non vuole risolvere questo problema,
adottando le tecnologie di cui si potrebbe disporre, è tutto a discrezione della terna arbitrale che assume quindi un potere che non dovrebbe avere. Ma questo, si sa, è un argomento che nessuno vuole affrontare seriamente. E sappiamo bene tutti perché.
Si è poi giocato Juve – Milan. Da notare che Galliani non è andato a mangiare con Agnelli dopo il match. Doveva esserci questa cena che una volta era prassi, ma poi è scoppiata Calciopoli e certe abitudini sono cambiate. Ma se avesse vinto il Milan, invece… Già, la cultura sportiva!
Il nuovissimo Juventus Stadium è davvero un gioiello, e la squadra di Conte è forse la più in forma del campionato. Ma considerando che la strada è ancora lunga, il campionato si dovrebbe profilare abbastanza aperto.
Vogliamo parlare di quello che accade in serie B? Torino e Samp sono tra la favorite, e stanno rispettando i pronostici. Il Padova è la sorpresa del campionato, ma al seguito in trasferta ci vanno pochi tifosi. E questo perché si rifiutano di fare la tessera del tifoso.
La società manda ogni giorno messaggi in questo senso. La posizione dei supporters è chiara. Chi farà un passo indietro?
Insomma, le solite polemiche che ci si porta dietro da anni.
Gli arbitraggi, la violenza, gli impianti inadeguati. Lo spettacolo che non è all’altezza.
E siccome sono stufo, e anche voi credo, dei soliti discorsi, mi viene voglia di parlare di basket.
Perché?
Perché la violenza c’è anche li, gli impianti, anche quelli, sono inadeguati, e il livello del gioco, se si escludono poche eccezioni come Siena e Cantù, è scarso. Gli stranieri che giocano nel nostro campionato non sono più le stelle di una volta (Oscar, Mc Adoo..) e solitamente sono seconde se non
addirittura terze scelte. Il campionato NBA americano è fermo e non si sa se il 1 Novembre potrà ripartire. Così molte squadre europee si stanno attrezzando per ingaggiare a tempo campioni come Kobe Bryant, tanto per fare un nome. Il Messi del basket, traducendo per chi non è avvezzo a questo sport. Per poterlo ingaggiare però serve una deroga, che alcune squadre non vorrebbero concedere. O almeno, sembrava non volessero concedere. Invece, visto che alla fine lo sport è business, e avere la più grande stella del mondo in campionato è una grande operazione di marketing, la soluzione mi pare ovvia. Perchè ci guadagnerebbero tutti, perché televisioni di tutto il mondo vorranno accaparrarsi le dirette dei match. E i palazzetti sarebbero strapieni.
Ma è giusto concedere a una squadra un vantaggio del genere?
Se lo sport è business, sì. Se lo sport è confrontarsi alla pari, con regole uguali per tutti, invece, allora la faccenda è diversa.
La sensazione è quindi che ci potremo godere Kobe Bryant per un mesetto…e chi lo avrebbe mai detto.
Il presidente della Virtus Bologna Sabatini è anche sincero: “Ragazzi, questo non è sport. E’ marketing. Lo faccio anche per voi, lo faccio per l’Italia”.
Viva l’Italia.