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lunedì 26 marzo 2012

Palazzo S. Gervasio e S. Maria Capua Vetere - CIE a tempo indeterminato


Una direttiva del Governo Monti stabilisce l’apertura permanente dei centri. Intanto in Libia ed in altre zone dell’Africa si consumano torture e violenze

Roberto Maroni li aveva aperti durante la cosiddetta emergenza nordafrica. Lo scorso 21 aprile 2011, con una ordinanza firmata da Silvio Berlusconi venivano istituiti i centri di Palazzo San Gervasio e Santa Maria Capua Vetere (insieme alla tendopoli di Kinisia), in cui dopo porchi giorni vennero recluse centinaia di persone provenienti dalle coste tunisine.
Il Governo Moniti, con una direttiva dei giorni scorsi, ha ora ufficializzato la nuova natura di questi centri che perdono la dicitura CIET (dove la T stava per temporanei) per diventare a pieno titolo due nuovi centri di detenzione sul territorio italiano.
Neppure il veccchio ministero dell’interno era arrivato a tanto, annunciando più volte la costruzione di un CIE in ogni regione per poi non riuscire neppure ad individuare le zone dove ipoteticamente sarebbero dovuti sorgere.
L’apertura di questi centri è messa in stretta relazione alla recente sentenza con cui l’Europa ha condannato la politica dei respingimenti italiana. Il provvedimento, secondo le informative dei servizi segreti, dovrebbe aprire lo spazio per nuove "ondate di sbarchi".
Secondo alcuni insomma non poter più respingere donne e bambini in acque internazionali riconsegnandoli nelle braccia dei trafficanti e delle torture libiche sarebbe il motivo di eventuali viaggi in fuga vero l’Europa e non invece le notizie che continuamente arrivano dai paesi del Corno d’Africa, dai paesi sub-sahariani e dalla Libia stessa. E’ di pochi giorni fa la notizia secondo cui sarebbero migliaia i detenuti in prigioni illegali in Libia che subiscono terribili torture e maltrattamenti, la maggior parte dei quali accusati di essere fedeli dell’ex dittatore Muammar Gheddafi. La denuncia è partita ieri dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
L’Alto commissario nelle Nazioni unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha riferito al Consiglio “la mancanza di controlli da parte delle autorità centrali che creano un clima favorevole alle torture e ai maltrattamenti” e ha sottolineato l’urgenza di porre i centri di detenzione, per la maggior parte illegali, sotto il controllo del governo del Cnt.
I due CIE verranno quindi aperti in maniera permanente. Il Governo Monti sembra essere ostile al tempo indeterminato solo quando si tratta di quello legato al lavoro, ai diritti, alla continuità di reddito. Poco male per il governo della pacatezza e della sobrietà...

Tratto da: Melting Pot

domenica 25 marzo 2012

A sostegno della Campagna per il #diritto di scelta!!!


La video intervista del cantante prima del concerto al Rivolta di Marghera (VE)

 
Vengo dalla luna, Nessuna razza, Nn siete stato voi, Vieni a ballare in Puglia sono soltanto alcuni dei pezzi con cui Michele Salvemini, in arteCaparezza ha saputo ritornare con una frase o un ritornello ripetuto conn determinazione il suo pensiero in tema di migrazioni, differenze, annti-razzismo.
Così anche dal centro sociale Rivolta, prima di uno degli ultimi concerti dell’eretico tour, prima di passare alla versione estiva dello spettacolo, Caparezza ha voluto dire la sua sulla questione dei profughi provenienti dalla Libia ancora in attesa di una soluzione per la loro situazione.
Pagano per colpa dei nostri governi. Un permesso di soggiorno può evitare loro di stare nel limbo, anche quella è una forma di precarietà". Così l’artista pugliese sulla Campagna #dirittodiscelta.
La sua firma si aggiunge a quella di oltre quaranta amministratori locali, di centinaia di esponenti accademici, politici, di giuristi, del mondo del giornalismo, di rappresentanti dell’universo laico e cattolico, di organizzazioni ed associazioni oltre che a quello di artisti come Ascanio Celestini, Sabina Guzzanti, Elio Germano, Moni Ovadia, Militant A.

Tratto da: Melting pot

Sostiene Texeira


 
a cura di Ivan Grozny
Sostiene Texeira che quelli brasiliani saranno i più grandi mondiali della storia. Sostiene che solo un uomo della sua esperienza poteva fare diventare reale quello che fino a qualche anno era pura utopia anche solo pensare. Dopo 64 anni i Mondiali di calcio in Brasile. Lui lo sostiene ancora, ma peccato che coloro che avrebbero dovuto sostenere lui siano finiti male. Sono ben otto i ministri che si sono dovuti dimettere dalle loro prestigiose cariche a seguito di certificate tangenti ricevute da diverse aziende incaricate della costruzione e ammodernamento non solo degli stadi ma anche delle varie infrastrutture che servono in certi casi.
Non ci si vuole mai fare mancare nulla, dopotutto, in certi casi.
Sarebbe la solita storia se non fosse che Texeira è uno dei più longevi e potenti presidenti di federazioni calcistiche esistenti. Quella brasiliana, appunto. La CBF.

Teixeira, settantenne, si è messo in congedo per malattia giovedì 8 marzo. Originale come uscita di scena.. Ha lasciato la carica che presiedeva dal lontano 1989, nonché quella di presidente del comitato organizzativo locale (COL) dei Mondiali del 2014. "Oggi lascio definitivamente la presidenza della CBF", ha dichiarato Teixeira in una lettera che è stata letta dal suo successore, un altro giovinetto, Jose Maria Marin, ottantenne. Quest'ultimo si è subito prodigato di fare sapere che seguirà la linea tracciata dal suo predecessore. Come non credergli.
Per completezza di informazione è giusto ricordare che negli anni della sua presidenza Texeira è stato coinvolto in parecchi scandali che lo hanno visto accusato di corruzione, false fatturazioni, contrabbando e lavaggio di denaro nei paradisi fiscali.
Tra le tante società indagate attualmente per corruzione e per "finanziamenti occulti" a Texeira c'è anche l'agenzia di marketing ISL. Questa a suo tempo, nel 2008 aveva avuto un contenzioso (per usare un eufemismo..) con la FIFA, e della quale si erano appurati i metodi non proprio ortodossi. Le mazzette erano già allora all'ordine del giorno, e li portavano ad ottenere magicamente lucrosi contratti. Pratica che è placidamente continuata anche dopo, tanto per chiarire. Il processo che ne è scaturito, e parliamo del 2008, lo ricordiamo, ha sì mostrato il solito gioco delle scatole cinesi che fa sparire i soldi da una parte per fargli riapparire in un'altra, ma anche che tutte le federazioni della latino America ricevevano soldi da questa società. Alcuni addirittura risultavano possederne azioni, come l'allora presidente della federazione del Paraguay, Leoz, un'altro ragazzino che oggi dovrebbe avere più o meno ottantacinque anni.
Tutta gente che è stata legata ai regimi militari del passato, che hanno trovato rifugio e si sono alla grande riciclati nello sport.
Ne abbiamo parlato tante volte..
Senza andare troppo nel particolare, perché non c'è molto altro da aggiungere oltre a quello che potete immaginare, si può dire che la storia di uno dei più potenti dirigenti della FIFA è arrivata al capolinea. Sarebbe interessante capire se sono contate di più le pressione della federazione internazionale, o quelle interne al governo brasiliano. Al momento non è dato saperlo. Certo pensare a Blatter, presidente delle FIFA, che la mette sul piano della legalità e della limpidezza fa quasi tenerezza. Ma chiarisce sul fatto che la questione va al di la sia della corruzione che della scusa dei ritardi dei lavori. Per questo è molto interessante. Stiamo parlando di una delle potenze economiche emergenti che è in procinto di organizzare Mondiali e Olimpiadi in pochi anni. Un Paese che si sta trasformando.
Infine una curiosità riguardante due grandi e leggendari goleador brasiliani, che insieme hanno vinto un Mondiale.Romario ha dichiarato: "Oggi possiamo festeggiare, abbiamo estirpato il cancro dal calcio". Di tutt'altro avviso l'altro eroe di USA '94, Bebeto:"Mi rammarico per le dimissioni di Ricardo Teixeira ma dobbiamo rispettare la sua decisione di prendersi cura della salute e della famiglia".Due visioni opposte, ma c'è ancora qualcuno che sostiene Texeira.

Allarme razzismo


A cura di Mauro Valeri
Il recente episodio accaduto in seconda categoria, come troppo spesso accade, è riuscito a guadagnarsi una qualche attenzione solo per il coraggioso quanto eclatante gesto messo in atto dalla società giovanile Rimini. Ovvero, la “minaccia” di ritirare la squadra dal campionato per i continui insulti razzisti che ricevono i giocatori. Nulla di nuovo, anche nell’atteggiamento del presidente del Comitato provinciale della Figc di Rimini, che non solo ha minimizzato l’accaduto ma ha anche avanzato illazioni che quello del razzismo sia una semplice scusa per nascondere altri problemi.
In realtà, il problema non riguarda soltanto le cosiddette “categorie minori”, ma anche i campionati pro dove ha raggiunto livelli da vero e proprio allarme. A dirlo sono le stesse sentenze emesse dal giudice sportivo e raccolte dall’Osservatorio sul razzismo nel calcio. Con l’ultimo episodio registrato nella partita di seconda divisione Santarcangelo-Lecco, che ha visto i tifosi del Lecco “intonare reiteratamente cori offensivi e inneggianti alla discriminazione razziale nei confronti di un calciatore di colore del Santarcangelo in occasione delle sue giocate” siamo a 44 episodi. Se si tiene conto che negli ultimi dieci anni la media stagionale è di 50 episodi (già di per sé piuttosto elevata), c’è da dire che quello attuale potrebbe essere uno dei campionati “più razzisti” degli ultimi tempi.
Dopo diverse stagioni, al primo posto troviamo gli episodi registrati in serie A (ben 19), seguiti da quelli di serie B (10). Quindi, siamo di fronte ad un razzismo che riguarda le categorie maggiori, senza che questo però abbia sollevato alcun serio dibattito sul problema. Forse perché dimostrerebbe che le misure antiviolenza proposte negli ultimi anni non hanno avuto alcun effetto sul fenomeno della discriminazione razziale?
A dimostrazione che la situazione sia da vero allarme ci sono le ultime sentenze dei giudici sportivi. In serie B, il Verona, dopo la partita contro il Torino, ha rimediato 40.000 euro di multa (con diffida, per via della “recidiva reiterata e specifica”: siamo al terzo episodio relativo alla discriminazione razziale attribuito al Verona). Nonostante siano diverse le società che potrebbero vantare una certa recidiva, solo ora il giudice sportivo ha deciso di applicarla, forse perché consapevole che la situazione sta per sfuggire di mano. Anche perché finora i giudici sportivi di serie A e B hanno sempre riconosciuto l’attenuante (ex art.13 del CGS), “per avere la Società concretamente operato con le forze dell’ordine a fini preventivi e di vigilanza”.
Curiosamente, l’eventuale attività contro il razzismo messo in atto dalla Società (così come invocata dallo stesso presidente del Verona) non è mai presa in considerazione, obbligando ad interpretare il contrasto al razzismo soltanto in termini di collaborazione con le forze dell’ordine e non di valorizzazione di una vera cultura sportiva.
L’altra novità è il riconoscimento della recidiva anche al Lecco (seconda divisione), una new entry in questa stagione, che in due gare – contro il Montichiari e contro il Santarcangelo – ha rimediato due ammende di quasi 12.000 euro. Sarebbe forse interessante capire cosa stia accadendo a Lecco, per questa improvvisa recrudescenza.
La tifoseria che resta saldamente al primo posto di questa classifica degli orrori è ancora la Lazio (6 episodi), seguita a “parimerito” da quelle della Juventus e del Padova (4), per le quali però la recidiva non è stata mai prevista (e non si sa bene il perché).
Infine un ulteriore dato: la somma delle ammende alle Società per la loro responsabilità oggettiva per i soli episodi di discriminazione razziale è stimabile intorno ai 241.000 euro, sul cui riutilizzo da anni avanziamo una semplice proposta: finanziare attività contro il razzismo nel calcio. Ma da questo orecchio (e in parte anche dall’altro) le istituzioni del calcio sembrano proprio non volerci sentire.

GIOCO ANCH'IO!


Siamo palestre, polisportive, semplici amatori, atleti, associazioni: quello che ci unisce è la pratica dello sport come esperienza che unisce, che offre possibilità di integrazione ed affermazione di diritti, da vivere come bene comune da condividere..
In questi anni a partire dalle nostre esperienze differenti per luogo, forma e storia abbiamo visto che è possibile con lo sport diventare punto di riferimento in molti quartieri e territori, anche difficili.
La pratica sportiva è una grande occasione per dare senso e valore all’aggregazione sociale, all’integrazione di chi troppo spesso perchè straniero o diverso viene escluso.
Oggi ci sembra sia arrivato il momento per affermare insieme, in tanti e diversi, che venga riconosciuto come diritto di cittadinanza per tutti compresi i migranti la possibilità di praticare lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna pre-condizioni.
Ad ormai 20 anni dal loro apparire, i flussi migratori verso il nostro paese non possono più essere considerati un fenomeno eccezionale, oggi gli immigrati regolari soggiornanti in Italia sono quasi 5 milioni, più un numero imprecisato di clandestini. Ma ancora oggi, purtroppo, nella nostra società esistono ancora due categorie ben distinte: i cittadini e gli stranieri. I primi vivono dentro la società e godono di determinati diritti civili e sociali, gli stranieri, invece ne sono esclusi.
L’attuale legge sulla cittadinanza (Legge 91/92 e successive modifiche) è strutturata ed impostata secondo il criterio del diritto di sangue (in termini giuridici si chiama jus sanguinis), cioè è cittadino italiano chi ha sangue italiano che scorre nelle vene.
Ma questa legge non soddisfa più i bisogni di una società come quella italiana dove quasi il 10% della popolazione scolastica è composta da figli di genitori entrambi stranieri, per questo è stata lanciata da più parti la mobilitazione che vuole affermare il diritto di cittadinanza per ius solis etc …
Anche dal mondo dello sport noi vogliamo contribuire alla conquista per tutti di una cittadinanza piena e completa.
La situazione attuale vede la stessa legislazione sportiva, peraltro diversa federazione per federazione, configurata in maniera tale da contenere diverse barriere e restrizioni per chi è straniero; esistono infatti limitazioni legali e amministrative per la partecipazione dei non italiani nell’attività sportiva sia a livello professionistico che dilettantistico.
Una caso emblematico è quello del mondo del calcio dilettantistico dove norme nate per evitare la cosidetta “tratta dei giocatori” volta a speculare sulla pelle e sui sogni di giovani migranti, oggi andrebbero riviste alla luce delle modificazioni dei fenomemi migratori.
Stiamo parlando in particolare dell'art. 40 delle Norme Organizzative Interne Federali della F.I.G.C. , dove si descrivono le condizioni di tesseramento, evidentemente discriminatorie, per soggetti stranieri che siano (comma 11) o non siano (comma 11 bis) precedentemente stati tesserati in paesi esteri.
Tali norme prevedono che in ogni squadra dilettantistica può essere inserito SOLO UN GIOCATORE precedentemente tesserato in campionati esteri e che chi non è stato tesserato all'estero per poter giocare deve essere residente in Italia da almeno 12 mesi e nel caso di extracomunitari deve avere il permesso di soggiorno valido fino alla fine del campionato.
Per restare sempre nel mondo del calcio un figlio di immigrati nato in Italia al diciottesimo anno d'età, mancandogli la cittadinanza, non può agevolmente continuare a giocare così come un giovane arrivato nel nostro paese attraverso il ricongiungimento famigliare si ritrova ad avere grosse difficoltà nel giocare.

Si crea così un evidente restringimento dell'accesso all'attivita soprtiva dilettatistica.
Noi crediamo fermamente nel diritto universale di accesso allo sport (per altro sancito a livello europeo dal trattato di Lisbona e a livello internazionale dalla Convenzione dei diritti del’uomo e del fanciullo) come la possibilità di accedere a pratiche indispensabili per la realizzazione della persona, basate sulla socializzazione, l'auto-affermazione, il benessere fisico e psichico, la partecipazione e la cultura.
Ciascuno di essi è un elemento indispensabile per la promozione e l’emancipazione dell’individuo all’interno dei gruppi e delle comunità entro cui si trova e tutti quanti sono dei requisiti che dovrebbero essere universalmente garantiti alla persona, indipendentemente dalla sua appartenenza o colore della pelle.
Dare cittadinanza ai migranti ed ai loro figli nello sport è per noi la scelta di riportarlo al suo  spirito originario, strappando alle  logiche del business e  dello sfruttamento economico di cui è purtroppo è ostaggio per aprire una battaglia di civiltà oramai indispensabile in questo paese.
Ci sembra importante che i regolamenti sportivi nazionali non ostacolino la partecipazione di migranti e di persone con background migratorio nello sport, soprattutto negli sport amatoriali.
Per questo chiediamo al Coni e alle Federazioni Sportive le revisioni dei regolamenti al fine di consentire il diritto al gioco a tutti, nessuno escluso!
In particolare per il calcio chiediamo che tutti i giovani stranieri siano equiparati, secondo la norma antidiscriminatoria, ai giovani calciatori italiani, e non debbano subire iter burocratici pesanti e trattamenti diversi dai loro coetanei.

mercoledì 21 marzo 2012

Razzisti organizzati e lupi solitari


nazistiIl giornalista e scrittore Stieg Larsson, scomparso nel 2004, autore di Uomini che odiano le donne e fondatore della rivista Expo, osservatore attento del fenomeno neonazista, già nel luglio 1999, in un'intervista al quotidiano francese Liberation, sottolineava come l'evolversi dell'estrema destra in Europa si stesse allineando al modello statunitense, con l'azione di individui isolati e di piccoli gruppi. Obiettivo principale la società multiculturale e la democrazia con i suoi rappresentanti.

Sembrerebbe proprio che ora la sua previsione si stia avverando. Prima la strage dello scorso 22 luglio a Oslo e sull'isola di Utoya, in Norvegia, 77 vittime, perpetrata da Anders Behring Breivik, poi quella del 13 dicembre a Firenze compiuta da Giancarlo Casseri, un militante di Casa Pound, che ha assassinato, sparando "nel mucchio", due ambulanti senegalesi. Quindi la scoperta in Germania di una cellula terroristica denominata «Clandestinità nazionalsocialista», responsabile tra il 2000 e il 2007 di ben dieci delitti, di cui nove a sfondo razziale, in maggior parte piccoli commercianti di origine turca. Solo poche ore fa, infine, la mattanza alla scuola ebraica di Tolosa.
Come per Breivik e Giancarlo Casseri, il rischio, ancora una volta sarà quello di veder derubricato sbrigativamente l'avvenimento come il frutto della pura follia. Ma tutte queste figure non sono cresciute isolate. Hanno solo portato alle estreme conseguenze la cultura xenofoba e fascista cui avevano aderito, ritenendo fosse giunto il momento dello scontro. Come "lupi solitari" sono passati all'azione, fuoriusciti dal magma del populismo e del radicalismo di destra.
Il nemico esterno
In Europa populismo, nazionalismo, estremismo di destra e neonazismo, per quanto continuino a rappresentare fenomeni specifici, tendono sempre più ad accavallarsi e sovrapporsi, mescolandosi l'uno nell'altro. Le situazioni, da paese a paese, sono spesso molto diverse. Diversa anche l'incidenza della crisi economica sulle realtà nazionali. Simile, invece, la scelta di scagliarsi, in primo luogo, contro un nemico esterno, di volta in volta identificato nei rom, nei gay, negli ebrei, nei musulmani o negli stranieri in genere. Un' "invasione" contro la quale riscoprire e rilanciare presunti valori patriottici attraverso un acceso nazionalismo o velleità separatiste. Un unico fenomeno con mille sfaccettature.
I processi di globalizzazione hanno accompagnato l'ascesa di queste tendenze. La loro progressione, prima lenta poi accelerata, è avvenuta in un quadro che è andato rapidamente trasformandosi, segnato da nuovi rapporti economici e finanziari come da profondi cambiamenti tecnologici, con l'introduzione di un'instabilità generale, di insicurezza e paura. Alcuni mutamenti epocali, come il crollo dell'Unione sovietica, le migrazioni dall'Africa, dall'Asia e dall'Europa orientale, l'11 settembre 2001, le catastrofi ecologiche, hanno a loro volta consentito di far incrociare e legare fra loro sentimenti nazionalistici e razzisti, in un quadro politico europeo segnato dalla crisi dei tradizionali partiti e il manifestarsi di una forte mobilità elettorale calamitata in maniera significativa da chi garantiva, di fronte al caos, soluzioni come la chiusura delle frontiere e la riappropriazione del territorio. In molti paesi a far da collante anche il senso di rabbia per una grandezza venuta meno.
La destra dei partiti conservatori 
A partire dalla metà degli anni Ottanta, si è anche prodotto il progressivo spostamento a destra dei partiti aderenti al Partito popolare europeo. L'originaria matrice cristiano democratica fu messa in discussione, prima con l'ingresso nel 1983 di Nuova democrazia, partito greco ultraconservatore, e qualche anno dopo, nell'aprile 1991, con l'apertura formale del Ppe ai conservatori britannici e danesi. Nel 1994 avrebbe dovuto entrarvi il partito italiano vincitore delle elezioni politiche in quello stesso anno, cioè Forza Italia. Dopo un iniziale rifiuto da parte del Ppe, a causa degli accordi politici ed elettorali con Alleanza nazionale, dati i trascorsi neofascisti di questo partito, l'ammissione ufficiale si concretizzerà definitivamente nel dicembre 1999. Grazie infine alla nascita del Popolo della libertà nel 2009 (partito subito ammesso nel Ppe), a seguito della fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale, anche alcune vecchie figure della storia del neofascismo italiano sono entrate a far parte della famiglia popolare europea.
La deriva ungherese
In questo quadro va colta la deriva in corso in Ungheria, un autentico processo di fascistizzazione. Da quando, nell'aprile 2010, il premier nazionalconservatore Viktor Orban e il suo partito Fidesz sono arrivati al governo del Paese, in una progressiva escalation è stata prima varata una nuova costituzione che ha cancellato ogni riferimento alla repubblica, sostituita da espliciti richiami religiosi, poi sono state approvate leggi liberticide con l'intento di sottomettere la magistratura, la produzione artistica, l'insegnamento universitario e la stampa al controllo del governo. Il governo ha anche introdotto «il lavoro utile obbligatorio» (koezmunka) per i disoccupati, in stragrande maggioranza di etnia rom, costretti per non perdere i minimi sussidi di povertà a prestare lavoro manuale, otto ore al giorno, con indosso magliette di riconoscimento, a favore dello Stato.
Da rilevare anche la forte crescita elettorale (il 16,7% alle ultime politiche) del Movimento per un'Ungheria migliore (Jobbik), che ha dato vita a veri e propri gruppi paramilitari (come la Guardia Magiara), protagonisti di marce di intimidazione nonché di diversi episodi di pogrom contro i rom. Di impronta antisemita, Jobbik, formalmente all'opposizione, dichiara di battersi contro le «congiure massoniche e sioniste», ispirandosi alle Croci frecciate, ossia alle milizie di Ferenc Szalasi, salito al potere nel 1944 sotto l'egida degli occupanti nazisti.
Neofascisti e neonazisti
Per quanto il quadro delle organizzazioni apertamente neonazifasciste in Europa si presenti oggi assai frammentato, ciò che con preoccupazione va rilevato è che in taluni casi manifesta un proprio autonomo insediamento elettorale: il British national party in Gran Bretagna (due eletti nelle ultime elezioni europee), l'Npd in Germania (è entrato in alcuni parlamenti regionali) e lo Jobbik ungherese, quest'ultimo diventato una sorta di modello da seguire con il suo mix di radicalismo populista e ideologia nazifascista.
Da segnalare anche l'ormai pluridecennale fenomeno delle bande naziskin, protagoniste, da Est a Ovest, di una innumerevole catena di aggressioni e omicidi, con picchi elevati di violenza in Germania (il tabloid «Bild», citando fonti delle forze di sicurezza, ha parlato di 607 feriti nel 2011), ma soprattutto in Russia, dove in questi anni si sono registrati centinaia di attacchi, spesso mortali, ai danni di immigrati asiatici e caucasici. Alcune reti, da Blood and honour ad Hammerskin, hanno d'altro canto svolto un lavoro spesso sotterraneo di raccordo e moltiplicazione di queste esperienze, favorendo la penetrazione di neonazisti in misura massiccia all'interno delle tifoserie ultras negli stadi di mezza Europa.
L'estrema destra italiana
L'evoluzione dell'estrema destra in Italia è ormai data dalle direttrici di sviluppo di ampi suoi settori, intenzionati, da un lato, a rinverdire le gesta del primo movimento fascista (si veda Casa Pound), dall'altro, a evolversi verso il neonazismo. La tendenza, in questo secondo caso, è all'assunzione in forme sempre più esplicite di riferimenti storici, mitologie e simbologie tratte dalla storia del Terzo Reich. Non un fatto astratto, ma una nuova identità destinata inevitabilmente a produrre conseguenze, riversandosi in una società a composizione sempre più multietnica e complessa. Ci riferiamo alla rivalutazione operata da Forza nuova di alcune formazioni collaborazioniste dei nazisti negli anni Quaranta: parliamo della Guardia di ferro rumena e delle Croci frecciate ungheresi. Ci riferiamo anche all'esaltazione di criminali di guerra come Leon Degrelle, ex generale delle Waffen-SS, ma soprattutto al rilancio di alcune teorie circa la cospirazione dei circoli finanziari e massonici all'origine dell'attuale crisi economica. Tornano a comparire in Italia sui blog del radicalismo di destra termini come «plutocrazia», accompagnati dalla pubblicazione delle vignette nazionalsocialiste degli anni Trenta, con i banchieri e i mercanti con il naso adunco in procinto di spartirsi il mondo.
Antiche ossessioni
In uno studio della fondazione Friedrich Ebert sul razzismo e l'intolleranza in Europa, pubblicato nel marzo scorso, alla domanda posta sull'influenza degli ebrei nei rispettivi paesi, emergeva l'assenso del 19,7% dei tedeschi, del 21,2% degli italiani, del 27,7% dei francesi, del 49,9% dei polacchi e del 69,2% degli ungheresi. Dati su cui riflettere.
Nel passaggio epocale verso società sempre più multiculturali, dentro agli sviluppi dell'attuale crisi capitalistica, va colto l'inquietante riemergere dei miti complottisti e delle antiche ossessioni sulla purezza del sangue e della razza. Pensavamo di essercele lasciati alle spalle.
GIOVANI DESTRE CRESCONO
Questo lo stato dei partiti dell'estrema destra in Europa.
Inghiterra - British National Party 6,2%.
Olanda - Partito per la libertà 17%.
Austria - Partito della libertà dell'Austria e Alleanza per l'avvenire dell'Austria 17%.
Belgio - Vlaams Belang 10,9%.
Danimarca - Partito del Popolo 14,8%.
Grecia - Laos 7,2%.
Francia - Front National 10%.
Svezia - Democrazia svedese 5,7%.
Svizzera - Unione democratica di centro 25,9%.
Norvegia - Partito del progresso 22,1%.
Ungheria - Jobbik 16,7%, Fidesz 52%.
Slovacchia - Partito nazionale 11,96%.
Bulgaria - Ataka 11,96%.
Romania - Partito della Grande Romania 8,6%.

Tratto da Il manifesto 21 marzo 2012

martedì 20 marzo 2012

La Milano - Sanremo si tinge di...No Tav!

napoli no tavQuesta mattina a Novi Ligure, durante il consueto appuntamento del sabato in centro città per distribuire volantini e spiegare ai cittadini il progetto della linea, il comitato novese contro il terzo valico ha salutato il passaggio della classicissima Milano -Sanremo con un fitto sventolare di bandiere no-tav. Persino dalle ammiraglie che sfrecciavano in centro sono giunti segni di apprezzamento, così come dai cittadini novesi, cosa a cui il comitato si sta ormai abituando. Avanza la sensazione di una consapevolezza sempre maggiore sull’opera, non certo grazie a chi l’ha voluta. L’amministrazione continua ad affermare di aver fatto il possibile per mitigare l’impatto del tracciato, ma la natura del  partito democratico è ormai chiara, specie dopo il tentato blitz pro-tav in consiglio regionale da parte di Rocchino Muliere. Il comitato novese sta lavorando  a produrre un’assemblea popolare che chiarisca lo stato dell’arte del progetto e, in base a quanto comincia a trapelare dai piani del costruttore, le caratteristiche della linea che renderebbero invivibile la città negli anni a venire: su tutti la devastazione delle falde acquifere ma anche cantieristica, viabilità, polveri, inquinamento, rumore e vibrazioni. Mentre il comitato novese era impegnato alla Milano – Sanremo quello di Arquata era presente come di conseuto al mercato cittadino. Duemila volantini fra distribuzione al mercato e porta a porta sono stati recapitati nelle mani degli arquatesi, oltre a cento manifesti che sono stati appesi di buon grado dai commercianti sulle vetrine dei negozi. Era terminata da poche ore l’assemblea di Voltaggio ed i comitati sono tornati per le strade. Oggi pomeriggio sarà in piazza quello di Tortona sempre per sensibilizzare la popolazione sulla grande opera devastante per la salute, la vita e il territorio dei cittadini.


Tratto da: notavterzovalico.info

Senza copertura sanitaria


Regolari ma senza possibilità di accesso alle cure sanitarie: è il paradosso vissuto da migliaia di cittadini rumeni e bulgari in Lombardia. A denunciare la situazione è il rapporto “Comunitari Senza Copertura Sanitaria – Indagine sul difficile accesso alle cure per cittadini rumeni e bulgari a Milano e in Lombardia: quando essere comunitari è uno svantaggio” promosso dalle associazioni “Casa per la pace Milano”, “Centro Internazionale Helder Camara ONLUS”, “Comunità di Sant’Angelo Solidale” e “Naga”. Secondo quanto previsto dall’articolo 35 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n.286, in Italia le cure sanitarie sono assicurate anche per gli stranieri irregolarmente presenti, a cui viene assegnato un codice STP (Stranieri Temporaneamente Presenti). Dal 31 dicembre 2007 rumeni e bulgari sono diventati cittadini comunitari, senza bisogno di visto di ingresso o di permesso per entrare e soggiornare nel territorio italiano, ma acquisendo dei diritti ne hanno persi altri. Non essendo immigrati provenienti da paesi terzi, infatti, non possono ottenere un codice STP e possono usufruire dell’assistenza sanitaria solo lavoratori, studenti e pensionati o coloro in possesso di tessera TEAM (Tessera Europea di Assicurazione Malattia), ossia la tessera sanitaria valida in Europa rilasciata dal paese di origine. A causa delle carenze del sistema sanitario dei paesi di provenienza, però, molti cittadini rumeni e bulgari non sono in possesso della tessera TEAM e restano quindi esclusi dalle cure sanitarie se disoccupati o lavoratori in nero.
Per ovviare a questo problema, la maggior parte delle regioni italiane hanno creato il codice ENI (Europei Non Iscritti) che svolge per i cittadini comunitari, la stessa funzione che il codice STP svolge per gli immigrati provenienti da paesi terzi. A questo proposito, la regione Lombardia ha emesso una circolare secondo la quale i cittadini comunitari hanno diritto alle prestazioni mediche indicate nell’articolo 35 del Testo Unico sull’Immigrazione, senza chiarire quale codice dovesse essere utilizzato con questi pazienti. Di conseguenza, la circolare risulta non attuabile a livello operativo, facendo sì che molti cittadini rumeni e bulgari presenti sul territorio vivano una vera e propria discriminazione, vedendosi negato il diritto all’assistenza medica anche nel caso in cui siano affetti da patologie gravi ma non tali da dover essere curate al pronto soccorso (ipertensione arteriosa, diabete mellito, asma cronica, epatite B, polmonite, esiti di ictus celebrale o di infarto miocardio, sospetto di tubercolosi, etc.). Quando si presentano al CUP con una richiesta di visita specialistica, infatti, vengono solitamente respinti (con le uniche eccezioni dell’ospedale Niguarda di Milano e, in alcuni casi, dell’ospedale San Paolo), come è stato accertato dagli stessi volontari Naga che li hanno accompagnati. Simile trattamento ricevono, spesso, le donne nei consultori, in violazione a tutte le leggi per la tutela della maternità e della saluta della donna.
L’indagine è stata condotta nei mesi di Novembre e Dicembre 2011 sui pazienti che hanno avuto accesso alle cure dell’ambulatorio Naga (238 casi in totale), ai quali è stato sottoposto un questionario per la raccolta di informazioni su loro stessi e sui figli minori. Si tratta di persone con un’età media di 40 anni e che sono in Italia in media da 5,5 anni. Per molti di questi (47,9%) le cure dell’ambulatorio Naga costituiscono l’unica forma di assistenza medica ricevuta in Italia e solo 2 persone di quelle che sono state visitate da un pronto soccorso sono state dimesse con una ricetta medica per l’acquisto di farmaci. I dati sono ancor più preoccupanti per i bambini: il 41% non è mai stato visitato da un medico e il 24% non ha mai ricevuto una vaccinazione.
Per queste ragioni, le associazioni promotrici dell’indagine hanno lanciato un appello che verrà presentato all’assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, chiedendo che venga presentata un’interrogazione al Consiglio Regionale.

Insulti razzisti: la squadra multietnica si ritira


 

RIMINI - “Siamo discriminati dentro e fuori dal campo, così non si può andare avanti, ritiro la squadra”. Parola di Roberto Renzi, dirigente della Giovanile, formazione di calcio di seconda categoria girone T. Il motivo? “La maggior parte dei nostri giocatori sono extracomunitari, soprattutto senegalesi, albanesi e ivoriani. Quest’anno tre di loro hanno subito gravissimi infortuni, gli arbitri usano due pesi e due misure” attacca il dirigente. “Con noi - incalza - tengono comportamenti che con le altre squadre nemmeno si permettono, e questo solo perché abbiamo tanti extracomunitari. Non ne possiamo più degli insulti razzisti che sentiamo dagli altri giocatori e dai dirigenti delle altre squadre”. Non a caso, domenica scorsa la squadra non si è presentata a Saludecio dove si sarebbe dovuto tenere il match contro il Santa Maria del Monte. “Ma non perché non abbiamo giocatori” ci tiene ribadire Renzi, “solo per l’atteggiamento generalizzato contro di noi”.

La Giovanile, fondata nel 2003 e attualmente ultima in classifica con 7 punti, era già balzata alle cronache tre anni fa per un blitz della polizia che aveva interrotto una partita al campo dei ferrovieri per controlli su cinque giocatori stranieri. Erano tutti regolari in Italia ma avevano presentato documenti contraffatti per giocare, motivo per cui erano stati denunciati.
“Diamo fastidio a qualcuno, è evidente – sbotta Renzi -. Quest’anno abbiamo avuto cinque ragazzi stranieri con infortuni molto gravi, ma siamo sempre stati discriminati da arbitri e altre squadre. Non me la sento più di mandare i ragazzi in campo a prendere degli insulti razzisti, che poi li fanno arrabbiare e loro reagiscono. E’ un rischio che non vogliamo più correre”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata due settimane fa, quando nel match casalingo contro il San Patrignano l’arbitro non ha fatto giocare quattro calciatori della Giovanile (tre senegalesi e un albanese) perché avevano i documenti fotocopiati. “Poteva aspettare che qualcuno andasse a casa a prendere i documenti originali e controllarli all’intervallo – protesta Renzi -. Da anni denuncio questo clima pesante e razzista contro di noi, ma non si muove niente”. Nessun commento dalla presidenza provinciale della Figc, dove dicono di attendere comunicazioni ufficiali dalla società.

Tratto da: Romagnanoi.it

Ancora morti su quella rotta....ancora lotta ai migranti in fuga


Nuova tragedia nel Canale di Sicilia. 5 morti, intanto i paesi africani si apprestano a costruire un nuovo sistema di controllo. Sono 6.196 dal 1994. 1.822 soltanto nel 2011

Il primo summit africano sulla sicurezza alle frontiere si è concluso lunedì 12 marzo a Tripoli con un accordo che mira a rinforzare le pattuglie congiunte alle frontiere per lottare contro i traffici di armi e i crimini transfrontalieri.
Intanto nel Canale di Sicilia si è consumata l’ennesima tragedia. Sono cinque i cadaveri che erano su un gommone soccorso nel Canale di Sicilia, in acque di competenza libica, dalle unità italiane di Guardia Costiera e Guardia di Finanza. Lo ha confermato la centrale operativa delle Capitanerie di porto di Roma.
Sull’imbarcazione, che era alla deriva con il motore in avaria, si trovavano altri 52 migranti, tra cui cinque donne, tutti in precarie condizioni di salute; 19 sono stati imbarcati sul Pattugliatore della Guardia di Finanza; altri 32 sulla motovedetta della Guardia Costiera; un altro extracomunitario, in gravi condizioni, è stato invece soccorso da un elicottero di stanza sulla nave militare Bettica. Nella zona è stato dirottato anche un rimorchiatore d’altura per partecipare alle operazioni di soccorso. Tutte le unità stanno facendo rotta verso Lampedusa. Ieri invece sempre a Lampedusa erano erano sbarcati altri 54 migranti.
A poco più di un anno di distanza dall’esplosiaone del conflitto libico, con la fine della dittatura di gheddafi,il confine blu del Mar Mediterraneo torna a delineare le sue geografie.
La fine del dittatore, la fine dgli accordi, la sentenza contro i respingimenti, non mettono però fine alla guerra della frontiera Sud.
i governi europei ed africani concentrano la loro attenzione sulla lotta all’immigrazione irregolare verso l’Europa mentre in mare continuano a consumarsi le tragedie. Manca una strategia per la salvaguardia di migliaia di migranti in fuga da guerre, torture, conflitti e carestie.
"Abbiamo adottato il piano di azione di Tripoli sulla cooperazione regionale ed il controllo delle frontiere", ha dichiarato il Primo ministro libico ad interim Abdurrahim El Keib ai giornalisti all’uscita di questa riunione di due giorni, al quale hanno partecipato i ministri degli Interni e della Difesa di Algeria, Marocco, Mauritania, Tunisia, Libia, Ciad, Egitto, Mali, Niger e Sudan, così come i rappresentanti dell’Unione Europea, della Lega araba, dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite.
Il piano di Tripoli considera una formazione specializzata nella sicurezza di frontiera ed il collocamento in posto di leggi e di tecnologie avanzate per controllare meglio le frontiere.
I partecipanti al summit hanno riflettuto sulla possibilità di creare un comitato di esperti per meglio condividere le informazioni. Sono convenuti anche sull’esigenza di costruire un meccanismo permanente di cooperazione regionale nella lotta contro il crimine organizzato e l’immigrazione clandestina.
Il governo libico ha tenuto a rassicurare i propri vicini sul fatto che le loro frontiere comuni saranno molto presto sottoposte ad un controllo integrale. I quattro ultimi mesi non sono stati sufficienti a mettere in campo tutte l necessarie misure di sicurezza rispetto alle frontiere (“securizzare”), ha dichiarato El Keib. Il governo creerà dunque un’agenzia incaricata della protezione delle frontiere e la doterà di tutti i mezzi necessari, compresi dei mezzi aerei di sorveglianza e personale sul campo, ha aggiunto.
"Non vogliamo essere all’origine di alcun problema di sicurezza per nessun paese al mondo, in particolare per i nostri paesi vicini", ha aggiunto El Keib. “Lanceremo le ricerche e la localizzazione dei Sam-7, che non siamo tenuti a distruggere. Garantiremo una protezione sufficiente, e vorremmo rassicurare gli altri paesi su questo punto."Le armi che erano in possesso dei ribelli libici non costituiranno nessun pericolo per la sicurezza degli altri paesi, ha promesso il capo del governo libico”.
Il ministro della Difesa Osama al-Juwali ha insistito sul fatto che il problema era stato esagerato. "Questi missili che risalgono agli anni 1970, sarebbero inefficaci e non operativi. Siamo riusciti a recuperarne la maggior parte", ha precisato. Da parte sua, il ministro algerino dell’interno Dahou Ould Kablia ha dichiarato che "sono state distrutte solamente armi tradizionali come Kalashnikovs, esplosivi e missili terra-terra." E, ha giudicato i risultati del summit “molto postivi”. Gli esperti hanno permesso di identificare differenti minacce alla sicurezza per i paesi coinvolti, e proposto delle soluzioni che sono state adottate, ha precisato. "Tutti i paesi della regione, in particolare l’Algeria, lavoreranno con determinazione e senza compromessi alla loro realizzazione", ha dichiarato Ould Kablia. Ha negato che gli elementi libici che si trovano sul territorio algerino cerchino di "destabilizzare la Libia." Secondo lui, infatti, gli interessi securitari dell’Algeria sono strettamente collegati a quelli della Libia. "Non vogliamo instabilità perché ne abbiamo già lungamente sofferto, così come abbiamo sofferto la minaccia terroristica che ha condizionato la situazione in tutta la regione", ha dichiarato. Nel momento del suo incontro col presidente del Consiglio nazionale di transizione libico (CNT), Mustafa Abdel Jalil, Ould Kablia ha ricordato inoltre che il suo paese colpirà ogni tentativo di "scalzare la rivoluzione libica."
El Keib ha insistito però sul fatto che gli aiuti di Mouammar Kadhafi "utilizzano il denaro per tentare di destabilizzare la Libia" dall’estero.
"Vorremmo ringraziare i nostri paesi vicini per le assicurazioni che ci danno, ma siamo determinati a rimpatriarli da noi per farli comparire davanti alla giustizia", ha affermato. La sposa di Kadhafi, Saifa, sua figlia Aïsha, e suoi figli Hannibal e Mohamed, così come i loro bambini ed i loro autisti, erano infatti fuggiti in Algeria ad agosto. La loro presenza nel paese ha costituito un punto di blocco nelle relazioni tra i due paesi.
Infine anche il ministro marocchino dell’interno Mohand Laenser ha riconosciuto che questo summit ha dato dei risultati positivi. Il Marocco ha infatti proposto di ospitare la prossima riunione ministeriale che avrà luogo alla fine dell’anno.
Dei morti in mare, dei percorsi di fuga di migliaia di persone, di un eventuale corridoio umanitario, dei loro diritti, nessuna traccia nell’ordine del giorno...

Tratto da: Melting Pot

venerdì 16 marzo 2012

Serata Polisportiva SanPrecario - Padova


 
E' stata un'enorme successo l'appuntamento organizzato dalla Polisportiva SanPrecario venerdi 24 febbraio presso il C.S.O. Pedro di Padova.
La serata è iniziata con l'assemblea della Polisportiva dove atleti e supporter hanno discusso e approvato il nuovo statuto all'insegna dello sport come bene comune (statuto di cui potete prendere visione presso il sito polisportivasanprecario.it).
Successivamente è stata la volta del Talk Food Show, un esperimento che ha voluto unire il piacere di un'ottima cena con vari interventi delle persone, associazioni, polisportive che con noi condividono l'idea dello sport come bene comune contro ogni discriminazione.
Da Carlo Balestri della direzione nazionale della Uisp che ci ha presentato l'appuntamento dei Mondiali Antirazzisti di quest'anno, passando per le polisportive nostre sorelle come l'Independiente di Vicenza e il collettivo Socrates di Treviso, sono stati moltissimi gli interventi di chi ha voluto partecipare a questo momento molto importante per la nostra Polisportiva.
Tra i tanti vogliamo menzionare le associazioni Razzismo Stop e La Zattera Urbana con cui stiamo organizzando la “Gioco Anch'io” CUP (21/25 aprile), torneo di calcio (e non solo) nel quale verrà promosso l'omonimo appello contro le discriminazioni nello sport.
Da bravi sportivi abbiamo concluso la giornata con la degustazione di due birre artigianali promosse dall' Open Live del C.S.O. Pedro.


Vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno partecipato e anche quelli che non sono potuti venire ma avrebbero voluto esserci.
E' importante condividere e intrecciare esperienze tessendo continuamente una rete nella quale far cadere pregiudizi e ingiustizie.
Siamo convinti che questo sia solo l'inizio di un lungo percorso per rendere lo sport libero e accessibile a tutti...intanto abbiamo fatto un primo significativo passo.

Un ringraziamento particolare alle sorelle ed ai fratelli del centro sociale Pedro che come sempre supportano le iniziative della Sanpre.

Polisportiva SanPrecario

Di seguito presentiamo alcuni video della serata.
Intervista al presidente Roberto Mastellaro
Intervista a Ivan Grozny di Sportallarovescia.it
Intervista alla SanPrecario Volley - Padova 
Intervista a Matteo - Polisportiva Independiente, Vicenza 

Fuori Gioco - Intervista a Francesco Turano


 
Gianfrancesco Turano smonta la teoria secondo la quale i presidenti di Serie A facciano questo tipo di attività per passione, per mecenatismo. Senza un tornaconto o un guadagno diretto.
In "Fuori Gioco", edizione Chiare Lettere, vengono svelati retroscena che ci dicono quanto sia infondato questo assunto.
"Sono invece il tornaconto economico - racconta Turano - e anche politico che li spingono a entrare nel mondo del cali o. La politica spesso si rivolge ai presidenti di serie A, sia per salvare i club in difficoltà, sia per altri motivi. Il bacino di tifosi di queste squadre vale molto dal punto di vista elettorale. Le squadre sono di fatto piccoli patiti politici. Se pensiamo a Berlusconi, è l'esempio più lampante, ma ce ne sono molti altri".
I presidenti di serie A sono per lo più in perdita, tranne qualche eccezione, come l'Udinese, l'unica che riesce a vendere a peso d'oro i suoi calciatori perché ha sempre ottimi ricambi. Pozzo ha avuto parecchi guai fiscali, ha subito anche processi per una questione legate a delle minusvalenze legate al dichiarare meno tasse. Gli altri presidenti comprano invece giocatori a quotazioni molto altre.
Nono deve ingannare il fatto che il libro parli di imprenditori che hanno investito nel calcio, perché sono gli stessi che coprono cariche politiche, sono dentro a consigli di amministrazione delle più grandi aziende italiane, sono legati a banche e a centri di potere che condizionano non poco la vita pubblica. Sono gli editori dei giornali che acquistiamo. E scopriamo che De Laurentiis ha come prima voce di guadagno il calcio Napoli, non il cinema. Che il fair-play finanziario dell'Inter è legato alla vicenda libica e alla caduta
di Gheddafi, e non è come ce lo vogliono raccontare.
E ancora la guerra Agnelli vs Elkann, Della Valle la Fiorentina e la sua insospettabile vicinanza a Forza Italia nei primi anni della discesa in campo di Berlusconi. E soprattutto viene ricostruita come attraverso un inutile torneo in Uruguay si è cambiata la storia della televisione di questo Paese. E come l'ex Premier ha saputo da li costruire l'impero televisivo che oggi conosciamo.
Si passa quindi da politici a petrolieri, da editori all'inventore dei Gormiti, Preziosi. Uno che ha fatto fallire più di una società e ha fatto finire in C il Genoa per una nota vicenda legata a una borsa piena di soldi trovata nella macchina del dirigente della squadra avversaria che avrebbe dovuto affrontare pochi giorni dopo..
E' lui a ricordarci che in fondo è tutto un gioco.

Marsiglia - Apertura ufficiale del Fame. Tra gli intervistati anche Anne Le Strat, vicesindaco di Parigi, e Gerlinde Schermer


 

Una grande assemblea plenaria ha dato il via ai diversi tavoli di lavoro.

Mercoledì 14 marzo ore 17.30. Apertura del FAME 2012.
fame marsigliaCentinaia di delegazioni provenienti da tutto il mondo riempiono le stanze immense del Doc Du Sud. Un’antica struttura portuale una volta adibita allo scambio di merci ed ora utilizzata dalle popolazioni di tutto il mondo per immaginare e sperimentare un’uscita differente dalla crisi del capitalismo. E’ proprio questo l’assunto comune da cui parte il Fame. Il capitalismo è in crisi e non può, attraverso i processi di privatizzazione, continuare ad espropriare le popolazioni del mondo dall’acqua, dalle risorse comuni, dalla vita.
E Marsiglia è il teatro di questa contrapposizione, tra la rapina delle risorse comuni e i percorsi di gestione partecipata delle stessa, l’opposizione tra i processi di finanziarizzazione di ogni aspetto della vita e la solidarietà e il mutualismo, tra la governance globale e la spinta democratica.
Queste le differenze tra i due forum. Il Fame, nato dall’autorganizzazione dei movimenti globali, eThe Word Water Forum, imposto dalle grandi corporation che fanno profitti sull’acqua, che ha visto calare la partecipazione delle delegazioni provenienti dal resto del mondo, dalle 20000 presenze previste a non più di 2000 stimate.
I 700 euro per l’iscrizione al forum ufficiale contro le mille lingue del mondo che si sono incontrate al Doc du Sud.  Basterebbe questo a raccontare quanto il Fame sia un processo reale, fatto di uomini e donne che ogni giorno lottano per vedersi riconosciuto il diritto a decidere su un bene comune così necessario alla vita. E l’altro un feticcio, il prodotto della finanza, fatto di curve di domanda e di offerta, di un potere  sordo alle istanze provenienti dai territori.
Il forum delle corporation è ufficiale ma illegittimo. Sono queste le prime parole raccolte all’apertura del Fame,  attraverso l’appello di Oscar Olivera, portavoce del movimento boliviano di Cochabamba.
Il primo dato che salta agli occhi attraversando l’inizio dei lavori del Fame, è l’ampissimo interesse che tutti dimostrano per la lotta italiana. Il movimento per l’acqua italiano è considerato da tutti come un grande esempio di riaffermazione di democrazia dal basso. L’intervento della delegazione italiana del Forum del Movimento per l’Acqua, dal palco del Fame, è stato accolto da una platea calorosa che vede dall’Italia partire un movimento europeo capace di contrapporsi con la partecipazione dal basso ai meccanismi di cattura dei beni comuni imposti dalle istituzioni europee. Un chiaro segnale è stato espresso rispetto alla necessità di recepire, da parte del governo, la decisione imposta da 27 milioni di elettori che lo scorso giugno hanno affermato l’impossibilità di creare profitti sull’acqua.
In Europa sono tante le esperienze che puntano alla ripubblicizzazione dell’acqua e ad una gestione partecipata di questa risorsa. L’esempio di Parigi e quello di Berlino ci dicono che gli amministratori locali possono svolgere un ruolo importante di contrasto alla privatizzazione e alle direttive imposte dalla governance europea.
Globalproject ha intervistato a questo proposito Gerlinde Schermer, parlamentare tedesca, ex PSD, estromessa dal Partito Socialdemocratico Tedesco perché contraria alla privatizzazione dell’acqua, eAnne Le Strat, Vice sindaco di Parigi, Presidente Generale della municipalizzata Eau de Paris e Presidente Aqua Publica Europea.
Le interviste sono state realizzate da Domenico Fantini, Franco Carassi, Clarissa San'Ana, Luigi Iasci e Lucia Longinotti (redazione globalproject parma).


Tratto da: GlobalProject

mercoledì 14 marzo 2012

La primavera araba dei CIE: 580 evasioni nel 2011

                                           Un graffito sul muro di cinta del CIE di torino
Scioperi della fame, autolesionismo, incendi, evasioni e vere e proprie rivolte. Il 2011 sarà ricordato come l'anno più caldo nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) italiani. I giovani ribelli sono i ragazzi tunisini sbarcati a Lampedusa e finiti a migliaia nei Cie, dopo l'accordo tra Roma e Tunisi del 5 aprile 2011. All'impossibilità di vedere riconosciuto per le vie legali il proprio diritto a viaggiare, hanno deciso di riconquistarselo con l'unica cosa che gli è rimasta a disposizione: i propri corpi. Gli stessi corpi che hanno esposto alle pallottole della polizia del regime di Ben Ali durante la rivoluzione di gennaio in Tunisia. I corpi con cui hanno attraversato il mare, e con i quali adesso tentano di scavalcare le gabbie dove sono stati rinchiusi, al rischio di finire in ospedale con le ossa rotte dalle manganellate, oppure in prigione con l'accusa di aggressione a pubblico ufficiale.

L'analogia con le rivolte popolari d'oltremare non è affatto forzata. Chi ha avuto modo di conoscere di persona i giovani tunisini sbarcati in Italia l'anno scorso avrà visto che, a parte un'esigua minoranza di ex detenuti fuggiti dalle carceri tunisine, perlopiù si trattava di ragazzi che avevano partecipato alle manifestazioni di protesta. Che fossero dei quartieri popolari di Tunisi (Mallasin, Hay Nur, Jebal Ahmer, Kabbariya, Hay Tadhamun) e Sfax, oppure dell'entroterra povero delle campagne del sud (Zarzis, Mednin, Tataouine, Gafsa, Gabes), nessuno di loro rinnegava la rivoluzione. Al contrario
 alcuni dicevano di avere trovato solo dopo la rivoluzione il coraggio per partire. Ovvero soltanto dopo avere imparato sulla propria pelle che ribellarsi è giusto. Contro un regime o contro una frontiera. E' anche per quello, sull'onda lunga del delirio collettivo seguito alla fine della dittatura, che sono partiti in migliaia, grossomodo tutti quelli che avevano sempre sognato di farlo. Con in mente le due stesse parole che la piazza ripeteva come un mantra durante la rivoluzione: hurriya karama. Libertà e dignità.

Per vivere dignitosamente un uomo o una donna ha bisogno di un lavoro, di una prospettiva, e per farlo ha bisogno di essere libero di spostarsi e di cercare il suo posto nel mondo. Quella libertà e quella dignità in cui quei giovani hanno creduto fino al punto di giocarsi la vita in mare, e in cui hanno continuato a credere quando hanno deciso di rivoltarsi alla macchina delle espulsioni, bruciando e devastando le strutture dei Cie, oppure devastando il proprio corpo, tagliandosi le vene, ingoiando vetri e pezzi di ferro per finire all'ospedale e evitare il rimpatrio.

E tutti quelli che condannano la violenza fisica utilizzata spesso dai reclusi contro le forze dell'ordine e contro le strutture detentive dei Cie, dovrebbero invece pensare alla violenza istituzionale di tutta la macchina delle espulsioni. Ne abbiamo parlato per tutto il 2011. Di come una volta la Costituzione del nostro paese sancisse l'inviolabilità della libertà individuale e di come invece oggi sia diventato normale rinchiudere per un anno e mezzo in una gabbia dei ragazzi colpevoli di viaggio. Ragazzi che non avrebbero mai sognato di imbarcarsi per Lampedusa senza documenti, se soltanto i loro passaporti avessero avuto un minimo di valore presso le nostre ambasciate all'estero. Se così fosse stato, sarebbero tutti saliti sul primo low cost per Milano o Parigi.

Ma così non è. Nel mondo globalizzato, la mobilità è potere. E solo i cittadini degli Stati più ricchi vi hanno pieno accesso. Chi ha il passaporto sbagliato, può scordarsi di vedere il mondo. A meno che non decida di ribellarsi. E forse dovremmo farlo anche noi. Iniziando a rovesciare la nostra estetica della frontiera. E vedere che su quelle barche si muove da vent'anni il più grande movimento di massa di disobbedienza alla frontiera. E che va incoraggiato, fino al giorno in cui si potrà circolare liberamente tra le due rive del Mediterraneo.

Di seguito trovate un elenco cronologico delle rivolte e delle evasioni nei Cie d'Italia nel 2011. Le proteste hanno interessato tutti i centri, in particolare nei mesi di agosto e settembre, quando il parlamento ha approvato le legge che ha portato da 6 a 18 mesi il limite di detenzione nei Cie. Basandoci sulle sole notizie raccolte da Fortress Europe, il numero di evasi nel 2011 è di almeno 580 persone. Un dato senza precedenti a nostra memoria, a cui vanno aggiunti decine di feriti e di arrestati. Sui danni provocati alle strutture detentive dalle rivolte non ci sono stime ufficiali, ma è facile immaginare che siano dell'ordine di grandezza di milioni di euro, considerando che intere sezioni sono state devastate e incendiate durante le sommosse a Torino, Roma, Milano, Gradisca, Brindisi, Modena, Bologna, senza contare che un padiglione del centro di accoglienza di Lampedusa è stato completamente distrutto dalle fiamme.

Il premio groviera spetta al Cie di Roma, dal quale sono riusciti a fuggire ben 191 reclusi durante i mesi di agosto e settembre. Al secondo posto c'è il Cie di Brindisi, da dove sono riusciti a scappare in 140, segue Trapani (79 evasi tra il Cie di Milo e il Vulpitta), Torino (59), Modena (35), Bologna (20) e Cagliari (2). Infine, anche se tecnicamente non è un Cie, o forse a maggior ragione, visto che parliamo di un luogo di detenzione amministrativa illegale, ricordiamo i 54 tunisini riusciti a fuggire dall'hangar del porto di Pozzallo, a Ragusa.

Il dato dei 580 evasi è tutt'altro che trascurabile rispetto ai numeri della macchina delle espulsioni. Considerando il totale dei 3.600 cittadini tunisini rimpatriati dall'Italia nel 2011, il dato delle evasioni rappresenta un 16% in meno di espulsioni verso la Tunisia. E il dato rimane significativo anche se paragonato con le statistiche di tutto il sistema CIE, se si considera che mediamente (dati Caritas Migrantes 2009) nei CIE transitano ogni anno una media di 11.000 persone delle quali circa 4.500 vengono poi effettivamente rimpatriate con la forza.

Detto questo però, non ci illudiamo. Per i 580 evasi dell'anno scorso non c'è molto da festeggiare. Vivere in Europa senza documenti è dura. La paura di essere fermati dalla polizia mentre vai da un amico o appena esci dalla tua città. L'impossibilità di firmare un contratto di lavoro o di affitto. Per i più fortunati c'è il lavoro nero, e per chi ha perso l'indirizzo della fortuna, lo spaccio. E' un calvario da cui è passata la maggior parte di chi oggi ha un permesso di soggiorno nel paese delle sanatorie che è l'Italia. Compresi quelli (quasi tutti) che in Italia ci sono arrivati in aereo o in autobus con un visto turistico. L'attesa per i documenti a volte dura mesi, a volte dura anni. A volte non finisce più, e allora la fortezza Europa diventa una trappola. Un labirinto nel quale è molto più facile entrare che non uscire.


CRONOLOGIA DELLE RIVOLTE NEI CIE NEL 2011
Fortress Europe

Dicembre 2011
Fuga di capodanno al Cie di Torino
Grande evasione di Natale dal Cie di Torino
Nuova rivolta al Cie di Bologna. In libertà un tunisino 
Cie Bologna: fuga riuscita per 3 tunisini e 1 algerino 
Ancora autolesionismo al Cie di Milo. Fuga al Vulpitta
Rivolta al cie di Torino: 3 feriti, ancora alta la tensione 

Novembre 2011
Cie Bologna: in un giorno 2 rivolte con tentata fuga 

Ottobre 2011
Cie Bari: arrestati per danneggiamento 4 tunisini
Ancora una fuga dal cie di Brindisi. Liberi 18 tunisini 
Brindisi: rivolta al Cie, in 18 tornano in libertà

Settembre 2011
Altra maxi evasione dal Cie di Roma, liberi 60 tunisini
Cie Modena: tentata evasione con incendio
Fuga dal Cie di Torino. Scappano in 22, dieci arresti
La guerra di Lampedusa. In fiamme il centro d'accoglienza
Brindisi: evasione riuscita dal Cie! In fuga 62 reclusi
Incendio e tentata fuga al Cie di Gradisca
Metal detector al Cie di Torino dopo la fuga
Tensione al Cie di Modena. Tentativo di fuga al policlinico
Cie Torino: fuga riuscita per 12 reclusi
Liberi tutti! Quarta evasione in un mese al Cie di Roma
Rivolta al Cie di via Corelli a Milano

Agosto 2011
Tentata fuga al Cie di Brindisi, in 6 tornano liberi 
Cie Milo: le fughe, il pestaggio e i lacrimogeni
Ancora rivolta a Pozzallo: 54 reclusi in fuga, 13 arresti
Protesta al cpa di Cagliari, 2 ragazzi algerini in fuga
Cie Torino: sciopero della fame dopo la rivolta 
Rivolta al Cie di Modena, 3 reclusi riescono a fuggire
Pantelleria: rivolta nel centro d'accoglienza
Dopo l'evasione, ancora disordini al Cie di Roma 
Riuscita evasione per 30 reclusi del Cie di Roma
Cie Torino: tentata fuga e espulsioni in Tunisia

Luglio 2011
Rivolta in diretta al Cie di Ponte Galeria
Rivolta anche a Lampedusa, minorenni picchiati
Cie Bologna: detenute in rivolta appiccano il fuoco
Trapani: rivolta al cie di Milo, in fuga 20 reclusi
Pozzallo: rivolta e arresti dopo sbarco egiziani
Cie: cronologia di tre mesi di rivolte e censura

Giugno 2011
Modena: altra fuga dal Cie, liberi 30 tunisini
Cie Roma: notte di tensione, rivolta e incendio
Cie Modena: in rivolta una decina di tunisini
Brucia il cie di S.M.C. Vetere. E scatta il sequestro
Bari: rivolta, fuga e pestaggio al centro espulsioni
Lampedusa: lamette in gola contro i rimpatri, in 28 tentano il suicidio.
Chinisia: fuga dal Cie. A Lampedusa ingoiano lamette

Maggio 2011
Lampedusa: 200 tunisini iniziano sciopero della fame
Cie Roma: tentativo di fuga a Ponte Galeria
Fuga dal Cie. A Modena due ragazzi di nuovo liberi
Cie Trapani: l'incendio, il pestaggio e la conferma
Cie Milano: arrestati 7 tunisini dopo la rivolta

Aprile 2011
Bologna: in 15 riescono a fuggire dal Cie

Marzo 2011
Guantanamo Italia. Su facebook la protesta dei tunisini del Cie di Torino
Tunisini in rivolta nei centri di espulsione. Le foto del cie di Gradisca

Febbraio 2011
Brucia il cie di Modena. Aggiornamenti da Bologna, Gradisca e Brindisi
Bologna, Trapani, Bari e Gradisca. Le rivolte annunciate dei Cie
Fughe e autolesionismo. Si scalda l'atmosfera nei Cie
Rivolte in arrivo nei Cie?
I tunisini sbarcati nei giorni scorsi in fuga dai Cie

Gennaio 2011
Capodanno nei Cie. Rivolta a Milano e Lamezia Terme 


Tratto da: Fortress Europe

Accordo di integrazione - In vigore da sabato 10. Online accordointegrazione.dlci.interno.it. Ecco le circolari i modelli e le brochure in lingua


Al via il permesso a punti. Con i primi ingressi le prime vittime
I primi a farne le spese saranno i prossimi nuovi arrivati in Italia. Dal 10 marzo entrerà in vigore l’accordo di integrazione, il cosiddetto permesso di soggiorno a punti.
Così come per la tassa sui rinnovi, anche questo provvedimento del vecchio governo Berluscni trova applicazione con l’esecutivo Monti in cui spiccano i nomi della Cancellieri e Riccardi all’Interno ed all’Integrazione.
Gli stranieri, giocatori forzati di un gioco che avrebbero fatto certo a meno di partecipare, potranno controllare il loro punteggio attraverso il sito accordointegrazione.dlci.interno.it.
Con le circolari del 2 e del 5 marzo, il Ministero dell’Interno ha fornito le indicazioni utili agli operatori delle prefetture e delle questure per la gestione della nuova procedura.
In particolare, con la circolare del 2 marzo, è stata chiarita la questione della revoca del permesso di soggiorno e dell’espulsione come sanzione per la perdita dei crediti, in caso di inadempimento dell’accordo per gli stranieri che rientrano nelle titolari di permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari o per motivi familiari, dei titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’Unione europea, e degli stranieri titolari di altro permesso di soggiorno che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare.






Tratto da: Melting Pot