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giovedì 14 luglio 2011

Volare alto per ricostruire lo sport dal basso




 Interrogatori. Ammissioni. Delazioni. Ricusazioni. Accuse. Smentite. Indignazione. Ecco la sintesi della giornata “calcistica” odierna. E le parole di Abete come sempre misurate. Secondo lui è il condizionale che uccide. Il si direbbe. E se vogliamo, avrebbe pure ragione, in una situazione normale. Perché il garantismo vale sempre, non può andare bene solo quando fa comodo.
Ma siccome la situazione non è normale, e il problema molto più vasto, può sì interessare sapere se questo o quel personaggio è implicato in loschi intrighi. Ma sicuri che è questa la sostanza?
Davvero ancora una volta si taglia il ramo per salvare l’albero?
E quindi, in controtendenza con quanto predica il Presidente della FIGC Giancarlo Abete, noi, nel nostro piccolo, vogliamo volare alto. Ma che dico alto. Altissimo.
Perché con un grosso dubbio ci eravamo lasciati, con l’immagine del monolite inattaccabile.
E mi rivolgo a tutti coloro che non solo amano il calcio, ma che vorrebbero cambiare le cose. Perché chi ci segue lo sa, parliamo di sport, ma pensiamo anche ad altro. Eccome se ci pensiamo.
Quindi, per cominciare, la class action, come proposto a Marghera sabato scorso in occasione dell’Alerta Cup/Torneo del Bae, contro la federazione per omesso controllo che ha consentito di generare partite e interi campionati a dire poco taroccati. E’ vero, si può obiettare che questo tipo di iniziative non hanno mai successo anche perché non portano a dei risarcimenti, ma davvero ci importa di essere risarciti? E’ questo il fine? Certo toccarli nel portafoglio non sarebbe male, ma ci si può accontentare di qualche pesante azione di disturbo, per cominciare.
L’obiettivo è mettere in difficoltà chi mal-governa lo sport. E lo fa da troppo tempo. E succede anche a livello internazionale. Pensate a Blatter, ad esempio. Ancora una volta è lui il padrone assoluto del calcio mondiale. Le elezioni alla FIFA sono state a dire poco una farsa. Lui unico candidato. Quando si dice che l’ineluttabile è la morte della democrazia..
Possibile che non ci sia modo per scalfirlo? Cominciamo dai nostri, e poi vediamo.
E per questo, poniamo questioni serie. Lo dico ai fruitori dello spettacolo football. A quelli che comprano i giornali sportivi, si abbonano alle Pay-tv o vanno allo stadio. Che hanno quindi un certo peso. Spesso inconsapevolmente.
E ce ne sono tantissime di questioni che si possono porre. Dalla tessera del tifoso, che si è rivelata per quello che è. Al fatto che curve metropolitane siano in mano o a gruppi neonazisti o alla malavita, che fa il bello e il cattivo tempo, quando invece certi tipi di controlli dovrebbero scongiurare certi problemi. Secondo qualcuno. Ma lo si sa, il proibizionismo cosa genera, dopotutto.
Che squadre di prima e seconda divisione (la vecchia serie C) siano in mano a clan camorristi è risaputo. Che si utilizzano i pullman delle squadre per trasportare chi lo sa che merci in giro per l’Italia. E’ successo anche questo. Che giocatori vengono corrotti, altri ricattati ed altri ancora minacciati. Lo stesso vale per gli arbitri. Che spesso gli stipendi non arrivano e bisogna arrangiarsi. E succede quello che sappiamo.
Questo perché ogni uno è abbandonato a se stesso. Le leghe, le società, gli atleti. Sono alla mercé di chiunque.
E ancora.
Negli stadi si può però gridare di tutto. Questo si può fare. Non c’è educazione in questo senso. Mi spiego: se allo stadio urlare ingiurie razziste è quasi visto come folcloristico, perché pensare che poi la stessa non verrà detta sull’autobus alla prima occasione. Se lo sport è cultura, che lo sia davvero. Cosa c’è di arricchente nell’umiliare l’altro? Possibile che non si riesca a dare un input differente? E invece troppo spesso si minimizza, si giustifica.
Sono i comportamenti che poi diventano così un tutt’uno con i costumi delle persone che genera e alimenta diffidenza e razzismo. E aggressività. Non mi pare poco.
Andare in controtendenza. Dare dei segnali diversi. Nuovi. Positivi.
Smettere di chiudere un occhio con i cattivi invece di punire con daspo e altri provvedimenti restrittivi che non trovano giustificazioni se non sperimentare nuove forme di controllo. Basti pensare alla proposta di estendere queste limitazioni anche in occasione di manifestazioni politiche.
Ci sono tantissime associazioni che si muovono attorno alle curve e gruppi Ultras che propongono, socialmente, iniziative a dire poco lodevoli. Culturali, di aggregazione, antirazziste. E che agiscono anche fuori dagli stadi. Ci sono poi le polisportive che in questi anni sono nate in diverse città italiane. E che oltre al proporre sport, lanciano segnali di tolleranza, di apertura totale anche alla sperimentazione. Come è successo nelle Marche con il cricket, ad esempio. Ma chi lo sa quanti esempi ci sono, in questo senso. A Roma tra campionati autogestiti e palestre autogestite, ce ne sarebbe dire. Perché non dare a queste realtà maggiore visibilità?
L’azionariato popolare è un’altra strada che si deve e si può intraprendere. Anche solo entrare nel consiglio di amministrazione di una società, come è successo ad esempio ad Ancona, è un risultato da non sottovalutare. E presto, ci auguriamo, possa accadere anche a Venezia. Potere dire la propria rispetto alle decisioni da prendere ha un valore inestimabile.
E’ facile obiettare che mettere in atto anche solo alcune di queste iniziative può sembrare proibitivo. E chi lo ha detto che non lo è? Ma le sfide che mirano ai cambiamenti non possono mai essere dei percorsi agevoli. Ma gli esempi fatti sono animati dalla voglia delle persone. Se questa voglia si moltiplica e si trasforma, diventa consapevolezza, e la faccenda potrebbe essere interessante.
Immaginiamoci infine stadi disertati, abbonamenti non rinnovati, anche alle pay tv. E altre forme di boicottaggio che sono ancora altre alternative per dare una scossa. Lo sport è un’azienda? E allora noi faremo i clienti. Lucidamente inferociti.
Perché non provare. In fondo si vuole solo cambiare il governo dello sport e il modo in cui questo si vuole gestire.
Per ricostruire lo sport dal basso, occorre volare alto. Non è la rivoluzione. O forse si.
di Ivan Grozny

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