
La due giorni è stata caratterizzata da momenti
diversi, in cui dal triangolare di calcio di sabato alla riunione della
domenica, siamo stati insieme per conoscerci ed approfondire le relazioni già
esistenti.
Ne è emerso un panorama estremamente vivo e ricco di
attività differenti e sperimentazioni che ci hanno suggerito la necessità di
intraprendere un confronto costante sia per moltiplicare le iniziative,
sia per sostenerci nelle problematiche in cui ci imbattiamo ogni
giorno.
Nonostante le differenze territoriali e quelle legate alla
specificità di ogni proprio percorso, abbiamo tutti manifestato l’esigenza di
portare il concetto di sport all’interno dei ragionamenti sui beni comuni.
Anche lo sport è e deve essere un bene comune come tutto ciò che struttura i
fondamentali della nostra vita.
Lo sport è vita in quanto è ricerca consapevole del
benessere così come è ricerca di aggregazione e bisogno di misurarsi con
esso per apprendere dei comportamenti sani e auto-educanti. Lo sport fa parte
del nostro bios e ci permette di imparare a gestire il nostro corpo e quello
altrui.
Abbiamo anche condiviso l’estrema forza che attraversa lo
sport come mezzo per comunicare le nostre battaglie e con esso intraprenderne
altre nuove. Significative le esperienze di alcune realtà in cui grazie
all’attività delle palestre popolari sono riuscite a diventare
punto di riferimento in molti quartieri anche difficili in cui si è ridato
senso e valore all’aggregazione giovanile e all’integrazione con chi
troppo spesso viene definito diverso e per questo escluso. Come non citare gli
esempi di chi oggi utilizza lo spazio della palestra popolare per dare
cittadinanza a coloro a cui è stata tolta: malati psichiatrici, detenuti, rom…
In questo senso ci siamo resi conto che anche
inconsapevolmente abbiamo sdoganato il concetto di popolare che oggi acquisisce
un nuovo significato rispetto alla capacità di includere all’interno delle
rivendicazioni dello sport per tutti, anche le rivendicazioni proprie dei
movimenti.
Le nostre scuole oggi, grazie alla riforma Gelmini, rischiano
di perdere le ore dedicate all’educazione fisica e gli spazi in cui praticarla.
Il desiderio e il bisogno di riappropriarci del nostro tempo libero per fare
“ginnastica” parte anche da questa presa di coscienza.
Quando riempiamo gli spalti per seguire le nostre squadre di
calcio amatoriali o di terza categoria che sia, lo facciamo condividendo
quello spazio insieme ad altre persone alle quali si cerca di trasmettere
i nostri contenuti e il senso della scelta fatta quando ci siamo costituiti in
vere società sportive.
Vogliamo attraversare più ambiti possibili per fare emergere
le contraddizioni esistenti e denunciare le profonde discriminazioni che ci
sono nello sport e nei regolamenti che lo “governano”.
Per questo abbiamo voluto lasciarci con elementi concreti
con cui iniziare a strutturare il nostro lavoro di rete. Innanzi tutto vogliamo
aprire una campagna pubblica a livello nazionale per chiedere che venga
riconosciuto come diritto di cittadinanza la possibilità per un migrante, o
figlio di quest’ultimo, di praticare lo sport a qualsiasi livello e senza
nessuna pre-condizione.
Una battaglia di dignità che sentiamo urgente proprio in un
momento in cui si moltiplicano i casi in cui la FGCI rifiuta tesseramenti di
stranieri a causa dei propri regolamenti discriminatori.
Indipendentemente dalle categorie in cui un ragazzo, anche figlio di seconde
generazioni, vuole tesserarsi per giocare a calcio,i vincoli ed i requisiti
richiesti sono troppi ed illogici sia rispetto alla composizione dei nostri contesti
sociali sia rispetto alla struttura precaria con cui le nostre vite
fanno i conti ogni giorno.
Questa campagna che ci vedrà tutti uniti vuole attivare
un meccanismo di riproducibilità in ogni territorio in cui siamo
presenti, dal nord al sud dell’Italia, per raccogliere numerose adesioni
e per far nascere una discussione più ampia possibile.
Dare cittadinanza ai giovani migranti nello sport è per noi
motivo di riportarlo al suo spirito originario e per strapparlo
alle logiche del business e dello sfruttamento economico di cui è
purtroppo ostaggio. E anche se sappiamo quanto sia importante il calcio nel
nostro paese siamo anche consapevoli dell’importanza di tantissime altre
discipline che vogliamo promuovere e che in parte già stiamo facendo per
coinvolgere e mescolare linguaggi e pratiche diverse.
Per fare questo abbiamo pensato di dover potenziare i nostri
mezzi di comunicazione per far risaltare l’enorme ricchezza di cui siamo
portatori e soprattutto di continuare ad occuparci dello sport non come
un nostro passatempo personale ma come ambito di strutturazione di un percorso
politico in cui costruire la nostra alternativa.
Tratto da: Globalproject.info
Nessun commento:
Posta un commento